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Concordato in appello: limiti al ricorso in Cassazione

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 1829/2024, ha dichiarato inammissibili i ricorsi di alcuni imputati che, dopo aver stipulato un concordato in appello, contestavano la qualificazione giuridica dei reati e la mancata concessione delle attenuanti generiche nella massima estensione. La Suprema Corte ha ribadito che l’accordo ex art. 599-bis c.p.p. implica una rinuncia a dedurre tali doglianze nel successivo giudizio di legittimità, salvo il caso di pena illegale.

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Pubblicato il 25 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Concordato in appello: quando l’accordo preclude il ricorso in Cassazione

L’istituto del concordato in appello, previsto dall’art. 599-bis del codice di procedura penale, rappresenta un’importante modalità di definizione del processo nel secondo grado di giudizio. Tuttavia, la sua adozione comporta conseguenze significative sulla possibilità di impugnare la successiva sentenza in Cassazione. Con l’ordinanza n. 1829 del 2024, la Suprema Corte ha ribadito i rigidi limiti del ricorso, dichiarandolo inammissibile quando verte su punti che sono stati oggetto dell’accordo tra le parti.

I Fatti del Caso

La vicenda processuale trae origine da una sentenza di primo grado del Tribunale di Napoli Nord, che aveva condannato diversi imputati per reati gravi, tra cui associazione per delinquere, furto pluriaggravato e ricettazione. In secondo grado, la Corte di Appello di Napoli, in parziale riforma della prima pronuncia, ha accolto le richieste di concordato in appello formulate dagli imputati.

Di conseguenza, la Corte ha rideterminato le pene in senso più favorevole (in mitius), dichiarando al contempo l’improcedibilità per alcuni reati di furto a causa della mancanza di querela. Nonostante l’accordo raggiunto, alcuni degli imputati hanno deciso di presentare ricorso per cassazione avverso la sentenza d’appello.

Il Ricorso in Cassazione e i motivi di doglianza

I motivi del ricorso erano eterogenei. Alcuni ricorrenti contestavano la qualificazione giuridica dei fatti a loro ascritti:

* Un imputato sosteneva che la sua condotta dovesse essere inquadrata come favoreggiamento anziché ricettazione.
* Un altro negava la sussistenza degli elementi costitutivi del reato di associazione per delinquere, ritenendo si trattasse di un mero concorso di persone in reato continuato.
* Un terzo lamentava che un furto fosse stato ritenuto consumato anziché solo tentato.

Altri due imputati, invece, si dolevano del mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche nella loro massima estensione, pur essendo state concesse in regime di equivalenza con le aggravanti contestate.

La Decisione della Corte sul concordato in appello

La Corte di Cassazione ha dichiarato tutti i ricorsi inammissibili. La decisione si fonda su un principio consolidato in giurisprudenza: l’accordo delle parti sui punti del concordato in appello implica la rinuncia a dedurre, nel successivo giudizio di legittimità, ogni doglianza relativa a tali punti.

Le Motivazioni

La Suprema Corte ha chiarito che il potere dispositivo riconosciuto alle parti dall’art. 599-bis c.p.p. non solo limita la cognizione del giudice di secondo grado, ma produce anche effetti preclusivi sull’intero svolgimento processuale, incluso il giudizio di legittimità. Quando le parti concordano sulla pena, accettano implicitamente anche la qualificazione giuridica del fatto e il bilanciamento delle circostanze che hanno portato a quella determinazione.

Secondo gli Ermellini, un ricorso avverso una sentenza emessa a seguito di concordato in appello è inammissibile se volto a censurare la qualificazione giuridica del fatto. L’accordo, una volta consacrato nella decisione del giudice, costituisce un negozio processuale che non può essere modificato unilateralmente. L’unica eccezione a questa regola si verifica quando viene irrogata una pena ‘illegale’, ovvero una sanzione non prevista dalla legge o al di fuori dei limiti edittali, circostanza non riscontrata nel caso di specie.

Allo stesso modo, sono state ritenute inammissibili le censure relative alla mancata concessione delle attenuanti generiche nella massima estensione. Anche questo aspetto rientra nell’accordo sulla pena e, una volta raggiunto il consenso, non può essere rimesso in discussione davanti alla Cassazione. L’accordo sulla pena assorbe e supera ogni valutazione discrezionale sul punto.

Conclusioni

L’ordinanza in esame rafforza la natura vincolante del concordato in appello. Le parti che scelgono questa via deflattiva devono essere consapevoli che stanno rinunciando a future contestazioni sui punti concordati. Il ricorso per cassazione rimane possibile, ma solo per vizi che non sono stati oggetto dell’accordo, come quelli relativi alla formazione della volontà delle parti o all’illegalità della pena. Questa pronuncia offre un chiaro monito sull’importanza di ponderare attentamente la scelta del rito, le cui conseguenze si estendono fino all’ultimo grado di giudizio.

È possibile impugnare in Cassazione la qualificazione giuridica di un reato dopo aver stipulato un concordato in appello?
No, la giurisprudenza consolidata, confermata da questa ordinanza, stabilisce che il ricorso per cassazione volto a censurare la qualificazione giuridica del fatto è inammissibile, in quanto l’accordo tra le parti implica la rinuncia a dedurre tale doglianza.

Se le circostanze attenuanti generiche sono state concesse in misura minore di quanto sperato, si può ricorrere in Cassazione dopo un concordato?
No, anche questo motivo di ricorso è inammissibile. La determinazione della pena, che include il bilanciamento delle circostanze, è il cuore dell’accordo. Una volta accettata la pena concordata, non è più possibile contestare le valutazioni discrezionali che hanno portato a quella sanzione.

Quali sono le uniche eccezioni per cui un ricorso è ammissibile dopo un concordato in appello?
Il ricorso per cassazione è ammissibile se deduce motivi relativi alla formazione della volontà della parte di accedere al concordato, al consenso del pubblico ministero, oppure se contesta l’illegalità della pena irrogata (ad esempio, una pena di specie diversa da quella prevista o inflitta fuori dai limiti edittali).

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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