Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 37928 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 37928 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 04/06/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME, nato a Napoli il DATA_NASCITA;
COGNOME NOME, nato a Napoli il DATA_NASCITA;
COGNOME NOME, nato a Pomigliano d’Arco (Na) il DATA_NASCITA;
NOME NOME, nato a Santa Maria a Vico (Na) il DATA_NASCITA;
COGNOME NOME, nato a Napoli il DATA_NASCITA;
COGNOME NOME, nato a Napoli il DATA_NASCITA;
COGNOME NOME, nato a Maddaloni (Ce) il DATA_NASCITA;
avverso la sentenza n. 3853/2023 della Corte di appello di Napoli del 20 marzo 2023;
letti gli atti di causa, la sentenza impugnata e i ricorsi introduttivi;
sentita la relazione fatta dal AVV_NOTAIO COGNOME;
letta la requisitoria scritta del PM, in persona del AVV_NOTAIO COGNOME, il quale ha concluso chiedendo: quanto a COGNOME NOME, l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata e la trasmissione degli atti alla Corte di appello di Napoli; l rigetto del ricoiquanto a COGNOME NOME, l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata quanto alla determinazione del trattamento sanzionatorio, da operarsi da parte di questa Corte in anni 1 e mesi 8 di reclusione ed euri 2.400,00 di multa e la dichiarazione di inammissibilità del ricorso nel resto; quanto ad COGNOME NOME e COGNOME NOME, dichiarazione di inammissibilità dei rispettivi ricorsi; quanto a COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, il rigetto dei rispettivi ricorsi;
sentiti, altresì, per i ricorrenti COGNOME NOME, COGNOME, COGNOME e COGNOME, NOME COGNOME, del foro di Napoli, in sostituzione dell’AVV_NOTAIOCOGNOME, del foro di Napoli, per il COGNOME, e dell’AVV_NOTAIO COGNOME, del foro di Noia, quanto a COGNOME e COGNOME, il quale, per tutte le posizioni da lui patrocinate ha insistito l’accoglimento dei ricorsi.
Ft/TENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Napoli, in parziale riforma della sentenza emessa, in esito a giudizio celebrato nelle forme del rito abbreviato, in data 9 febbrai 2022 dal Gup del Tribunale di Napoli, ha, per quanto ora interessa, ridotto, ai sensi dell’art. 599-bis cod. proc. pen., la pena inflitta ad COGNOME NOME, ordine ai reati a lui contestati – tutti ritenuti riferibili ad ipotesi di cess sostanze stupefacenti di tipo “leggero” – e, previa concessione della attenuanti generiche equivalenti alla contestata recidiva, la ha portata da anni 6 di reclusione ed euri 77.468,00 di multa, alla pena, concordata di anni 3 e mesi 6 di reclusione ed euri 20.000,00 di multa; analogamente previa riqualificazione dei reati contestati a COGNOMEcelli NOME sub E5 ed E6 del capo di imputazione nell’ambito di cui all’art. 73, comma 5, del dPR n. 309 del 1990, ha rideterminato la pena inflitta a quest’ultimo, a suo tempo calcolata sulla base della originaria imputazione in anni 4 e mesi 4 di reclusione ed euri 18.000,00 di multa, in quella di anni 1 e mesi 10 di reclusione ed euri 2.400,00 di multa, revocando conseguentemente la pena accessoria della interdizione temporanea dai pubblici uffici a suo tempo irrogatagli unitamente alla pena principale; ha, ancora, ridotto la pena inflitta a COGNOME NOME, determinata in sede di giudizio di primo grado in anni 3 di reclusione ed euri 22.000,00 di multa, sino a quella di anni 2 é mesi 2 di reclusione ed euri 6.400,00 di multa, revocando, altresì, la misura cautelare dell’obbligo di dimora disposta a suo carico; ha, infine, per ciò che attiene alle posizioni d RAGIONE_SOCIALE NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, confermato la sentenza di condanna disposta nei loro confronti dal Gup del Tribunale di Napoli (il quale aveva, peraltro, escluso, la ipotesi di cui all’art. del dPR n. 309 del 1990, che era stata contestata a tutti i predetti imputati ad eccezione dell’COGNOME), rispettivamente alla pena di anni 3 e mesi 4 di reclusione ed euri 16.000,00 di multa; anni 6 e mesi 6 di reclusione ed euri 34.000,00 di multa; anni 7 di reclusione ed euri 43.000,00 di multa; anni 1 di reclusione ed euri 3.000,00 di multa. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Avverso la sentenza del giudice del gravame hanno interposto ricorso per cassazione, ciascuno assistito dal proprio difensore fiduciario, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, svolgendo le argomentazioni qui di seguito sinteticamente esposte.
COGNOME NOME, il quale aveva visto la sua impugnazione definita ai sensi dell’art. 599-bis cod. proc. pen., ha censurato la sentenza ritenendo che gli
fosse stata del tutto illegittimamente contestata la recidiva specifi infraquinquennale, essendo egli gravato da un solo precedente specifico peraltro risalente nel tempo; tale contestazione integrerebbe una violazione di legge, deducibile anche in caso di definizione del procedimento con il cosiddetto patteggiamento in appello; il ricorrente ha, altresì, segnalato ch avendo proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di Napoli anche NOME COGNOME, concorrente in numerosi reati contestati all’COGNOME, trattandosi di motivi di impugnazione non esclusivamente personali, egli potrebbe giovarsi degli eventuali effetti della sentenz pronunziata a carico del predetto correo.
COGNOME NOME ha affidato le sue doglianze a due motivi di impugnazìone; con il primo di essi egli, rammentato che l’affermazione della sua penale responsabilità ha ad oggetto il solo capo di imputazione E12, concernente la detenzione ed il porto di armi da guerra, lamenta il vizio di motivazione della sentenza impugnata sul punto, essendosi il giudicante limitato a giustificare solo l’ammontare della pena ma non indicando le ragioni per le quali era stata dichiarata la sua responsabilità; con il secondo motivo d impugnazione è lamentata l’affermata ricorrenza a suo carico della recidiva qualificata, sebbene egli abbia avuto, nella vicenda per cui è stat condannato, sulla base delle stesse, contestate, affermazionì contenute nella sentenza impugnata, un ruolo di carattere secondario, rispetto a quello ricoperto dal fratello NOMENOME
COGNOME NOME ha affidato le sue lagnanze a 4 motivi di ricorso; i primo, di carattere processuale, riguarda il fatto che, avendo egli chiesto d potere definire ai sensi dell’art. 599-bis cod. proc. pen., il procedimento, Corte napoletana, non ha rigettato la sua richiesta, in relazione alla quale era l’adesione del Pg, disponendo procedersi nelle forme ordinarie, ma la ha disattesa solo in sede pronunzia dei dispositivo, senza che la difesa de COGNOME avesse rassegnato le proprie conclusioni diverse dall’accoglimento della istanza di definizione concordata del giudizio; ha quindi lamentato la violazione di legge in relazione alla ritenuta impossibilità da parte della Cort di merito di valutare la richiesta di riconoscimento della continuazione in quanto la stessa avrebbe avuto un oggetto diverso rispetto a quello devoluto in sede di gravame (in particolare, la Corte di Napoli ha ritenuto non ammissibile la istanza di riconoscimento della continuazione con i fatti già oggetto di una precedente sentenza in quanto in quella erano stati già ritenuti unificati con il vincolo della continuazione con i fatti di cui a tale sentenza illeciti oggetto di una altra precedente sentenza che non era stata menzionata
dal ricorrente in occasione della presentazione dei motivi di appello); con il terzo motivo è stata ritenuta illogica la motivazione con la quale la Corte di appello ha ritenuto non accoglibile la richiesta di riconoscimento della continuazione fra i fatti illeciti dianzi ricordati; infine con il quarto motivo la sentenza della Corte di merito è stata contestata in quanto, in termini illogici ed apparenti, è stata esclusa la prevalenza delle circostanze attenuanti generiche e sono stati determinati gli aumenti di pena per effetto della ritenuta continuazione fra le diverse attività di cessione di droga.
NOME COGNOME ha formulato, a sostegno del suo ricorso due motivi di impugnazione; il primo motivo attiene all’avvenuta affermazione della penale responsabilità del ricorrente sulla sola base degli elementi ricavabili dalle intercettazioni operate in sede di indagini preliminari, senza che sia emerso obbiettivamente alcun reato in materia di sostanze stupefacenti addebitabile al prevenuto; gli elementi a suo carico sono esclusivamente il frutto della superficiale interpretazione delle conversazioni captate; il secondo motivo di impugnazione concerne, invece, la contraddittorietà della sentenza che ha, per un verso, ritenuto di dovere qualificare í singoli episodi ascritti al prevenuto come rientranti nell’ambito delle ipotesi di cui al comma 4 dell’art. 73 del dPR n. 309 del 1990, non essendoci elementi per ritenere che si trattasse di “droga pesante”, ma non ha ritenuto, in assenza di elementi per qualificare la condotta in termini non di lieve entità, di dovere attribuire ad essi anche il nomen iuris di cui al comma 5 della medesima disposizione legislativa.
COGNOME NOME, unico soggetto nei cui confronti la Corte di appello ha ritenuto di dovere riqualificare i fatti a lui contestati nell’ambito della lieve entità, ha, in primo luogo, censurato la sentenza della Corte di Napoli per non avere fatto derivare da tale riqualificazione dei fatti la loro sopravvenuta irrilevanza penale per effetto della maturata prescrizione dovuta anche alla circostanza, sostenuta dal ricorrente, che non deve tenersi conto, ai fini del calcolo del tempo utile per il maturare della prescrizione, della recidiva a lui contestata posto che la stessa è stata ritenuta equivalente alle ritenute attenuanti generiche; come seconda ragione impugnatoria il ricorrente ha lamentato la determinazione della pena in concreto, avendo la Corte di appello applicato la diminuente per la scelta del rito in misura inferiore a quella predeterminata per legge.
NOME COGNOME ha contestato, sotto il profilo della violazione dì legge e del vizio di motivazione l’avvenuta conferma della sentenza di condanna
disposta a suo carico, essendo gli elementi sulla base dei quali è stat affermata la sua responsabilità, costituiti da intercettazioni telefoniche, n deponenti univocamente in questo senso, confermando essi il fatto che lo stesso fosse un semplice acquirentt per consumo proprio di stupefacenti.
COGNOME NOME, infine, ha censurato la sentenza affermando che la stessa fosse dotata di una motivazione meramente apparente e contraddittoria, tale da non avere fornito adeguate risposte ai motivi di appello da lui stesso presentati; il successivo motivo attiene alla violazione d legge in cui sarebbe incorso il giudice del merito nel non avere riqualificato gli episodi di reato attribuiti al prevenuto nell’abito della lieve entità.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Mentre taluni dei ricorsi proposti sono fondati, con il conseguente annullamento della sentenza impugnata o, comunque, con la modifica del suo dispositivo, i ricorsi di COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME sono inammissibili, con la applicazione delle derivanti conseguenze.
Partendo, per semplicità argomentativa dalla impugnazione presentata da COGNOME NOME, si rileva, preliminarmente, che nel caso di cui si tratta giudizio di fronte alla Corte territoriale a carico dell’imputato è stato defin con l’adozione di sentenza ai sensi dell’art. 599-bis cod. proc. pen. avendo i predetto espressamente rinunziato a tutti i motivi di doglianza incompatibili con la concordata proposta di determinazione della pena da irrogare a suo carico; tanto premesso si rileva che la doglianza ora da quello formulata in sede di giudizio di legittimità, avente ad oggetto l’avvenuto riconoscimento a sui carico della aggravante della recidiva specifica infraquinquennale, deve ritenersi inammissibile, avendo quello, in sede di formulazione della proposta di pena concordata in appello, espressamente rinunziato alla censura a suo tempo formulata in argomento.
Non può aderirsi alla tesi sollecitata dal ricorrente in occasione dell proposizione della sua impugnazione, secondo la quale la doglianza, avendo ad oggetto la ritenuta violazione di legge, sarebbe formulabile anche tramite il ricorso per cassazione avverso sentenza pronunziata ai sensi dell’art. 599-bis cod. proc. pen.; come infatti questa Corte ha evidenziato, fra i motivi che possono costituire l’oggetto della impugnazione di fronte a questa Corte delle sentenze emesse in applicazione della disposizione legislativa dianzi indicata non possono essere annoverate le questioni afferenti ai motivi di appello
rinunziati (fra le altre: Corte di cassazione, Sezione III penale, 28 dicembre 2023, n. 51557, rv 285628); essendo stato espressamente precisato nella sentenza impugnata, con affermazione non oggetto di alcuna contestazione, che il ricorrente, contestualrinente alla proposta di “concordato in appello”, aveva rinunzíato ad ogni motivo di gravame incompatibile con il concordato proposto, e tale dovendosi ritenere essere quello con il quale ci si duole dell’avvenuto riconoscimento della recidiva, trattandosi di circostanza inerente la persona del reo in relazione alla quale il motivo di gravame, ove ancora coltivato dal prevenuto, sarebbe stato comunque idoneo ad incidere sulla entità della pena per come, invece concordemente proposta dalle parti in causa, il motivo di impugnazione ora proposto deve essere dichiarato inammissibile.
Né da una tale decisione può far deflettere, neppure in via astratta, la circostanza che altro coimputato abbia dedotto quale motivo di doglianza la “insussistenza fatto” costituente taluno dei reati a lui contestati (spesso, sostiene, in concorso con l’COGNOME).
Anche se in relazione a tale ricorrente, non avendo egli rinunziato ai precedenti motivi di gravame, non ví sarebbero le medesime ragioni di inammissibilìtà della impugnazione rilevate con riguardo all’COGNOME, si rileva, a prescindere dalla tematica – peraltro risolta da questa Corte in senso negativo (si veda, infattí: Corte di cassazione, Sezione II penale, 25 novembre 2019, n. 47844, rv 277684) – involgente la compatibilità fra il fenomeno comunemente definito come “effetto estensivo della impugnazione penale” e la definizione del giudizio di appello ai sensi dell’art. 599-bis cod. proc. pen., come, censura ora dedotta dal ricorrente sia caratterizzata dalla estrema genericit argomentativa, essendo stata la questione solamente enunziata, senza che siano state neppure indicate le contestazioni in relazione alle quali i du ricorrenti avrebbero operato, secondo l’accusa, in concorso fra loro.
Passando al ricorso di RAGIONE_SOCIALE, si rileva che anche questo è inammissibile.
Tale è, infatti, il motivo di censura legato al difetto di motivazione i relazione alla conferma della dichiarazione di penale responsabilità del prevenuto quanto al reato di cui al punto E12 del capo di imputazione in quanto, a differenza di quanto riferíto dal ricorrente, nella sentenza di prim grado – cui la Corte di appello ha specificamente rimandato onde rispondere all’analogo motivo di ricorso presentato di fronte ad essa – a pag 203 della motivazione il Gup partenopeo ha puntualmente riferito, riportando brani di
una intercettazione telefonica che vedeva fra i conversanti il COGNOME NOME, le parole pronunziate dal COGNOME le quali inequivocabilmente dimostrano che lo stesso abbia commesso, in data 22 febbraio 2015, il delitto di cui si tratta; sfugge in quali termini una siffatta motivazione, nella quale i fatti costituenti reato sono puntigliosamente descritti nel loro divenire sulla base delle espressioni verbali utilizzate proprio dall’imputato, prim’attore della vicenda criminosa, possa essere definita lacunosa, posto che la descrizione del fatto costituente reato e la dimostrazione della sua attribuzione alla consapevole condotta dell’imputato sono fattori tali da esaurire, quanto alla affermazione della penale responsabilità di questo in ordine ad esso, l’obbligo motivazionale gravante sul giudice del merito; di tal che pienamente esauriente è la motivazione della Corte territoriale che, a fronte della censura afferente alla carenza di motivazione della sentenza di primo grado, ha diligentemente indicato i luoghi ed i passi della sentenza in questione ove, invece, è compiutamente motivata la affermazione della responsabilità del prevenuto.
Parimenti inammissibile è il secondo motivo di impugnazione formulato nel ricorso ora in esame; infatti, gli argomenti ivi sviluppati, riferiti alla determinazione della pena ed alla ritenuta ricorrenza della aggravante della recidiva qualificata, sono del tutto privi di pregio.
Quanto alla recidiva, si rileva che la stessa sarebbe stata erroneamente ritenuta in sede di merito in quanto, sostiene il ricorrente, la partecipazione dell’imputato alle condotte delittuose oggetto di contestazione sarebbe stata secondaria; si tratta, come è evidente, di rilievo privo di significato, posto che, quale che sia stata la incidenza dell’apporto del soggetto interessato nella realizzazione del reato, l’eventuale sussistenza di pregresse condanne a carico del predetto per delitti non colposi può legittimamente essere considerato fattore che, al di là della entità partecipazione nel determinismo criminoso del soggetto gravato da tali precedenti, ne può determinare – sussistendo gli altri requisiti sintomatici (che nel caso in questione sono stati ravvisati, legittimamente, nella omogeneità fra i reati e nella non occasionalità della loro commissione), che non solo stati contestati dalla ricorrente difesa, la quale ha solamente eccepito la ritenuta marginalità del ruolo di COGNOME NOME nella vicenda criminoso contestatagli – il maggiore allarme sociale che giustifica la attribuzione al prevenuto degli effetti della contestata recidiva.
La restante doglianza, relativa al complessivo trattamento sanzionatorio, oltre a ridursi alla mera denunzia della eccessività dell’aumento di pena legato alla ritenuta continuazione senza che siano in qualche modo argomentate le
ragioni che avrebbero dovuto indurre il giudice ad irrogare un aumento di pena più mite, è, in ogni caso inammissibile posto che, secondo quanto riportato nella sentenza impugnata, che sul punto non è stata oggetto di doglianza, una tale censura non aveva formato oggetto di appello.
Inammissibile è, anche, il ricorso di NOME COGNOME; questi si è lagnato che i giudici del merito non abbiano valorizzato gli elementi di carattere istruttorio rivenienti dalle intercettazioni acquisite, le quali dimostrerebbero che il NOME era un mero acquirente della sostanza stupefacente, essendone un assuntore.
Osserva al riguardo il Collegio che con il motivo di impugnazione ora in discorso il ricorrente – senza che ciò sia giustificato dalla manifesta illogicità della motivazione con la quale i giudici del merito hanno interpretato le conversazioni indicate come fattore probatorio a carico del COGNOME – ha tentato di attribuire ad esse un significato diverso da quello che è stato loro assegnato dai giudici del merito; una tale operazione, involgendo, tuttavia, i profili inerenti alla valutazione della prova, della quale, si ripete, non viene contestata la manifesta illogicità, è pratica inibita a questo giudice della legittimità cui si chiede, in sostanza, di sovrapporre la propria valutazione del materiale probatorio a quella già compiuta in sede di merito (fra le molte: Corte di cassazione, Sezione III penale, 2 maggio 2018, n. 18521, rv 273217).
Palesemente inammissibile è il motivo riguardante il difetto di motivazione riguardante l’esito del giudizio di valenza fra le circostanze del reato aventi verso opposto, avendo segnalato come la decisione di ritenere le attenuanti generiche solo equivalenti alle contestate aggravanti è stata, in termini di piena congruità motivazionale, come ora rileva questa Corte di cassazione, giustificata dal complessivo comportamento del prevenuto, il quale, anche dopo la commissione del reato per cui è processo non si è astenuto dal nuovamente delinquere, in tale modo manifestando una indole incline al crimine, di tal che egli non è meritevole della mitigazione della pena irrogata che deriverebbe dalla invocata prevalenza delle attenuanti generiche.
bue sono i motivi di impugnazione del ricorso presentato da COGNOME NOME; entrambi sono inammissibili; il primo motivo è riferito alla pretesa contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione con la quale la Corte di appello ha rigettato i motivi di impugnazione da lui a suo tempo presentati; si tratta di predicato non fondato posto che, con motivazione sicuramente non implausibile, e sulle cui conclusioni questa Corte non può, pertanto,
interloquire, i giudici del merito hanno accertato il fatto che il COGNOME fosse creditore di una non modesta somma di danaro che gli doveva essere versata dall’COGNOME; dalla circostanza, non contestata, che il secondo era appunto debitore del primo e che quello, essendo implicato nel commercio degli stupefacenti, non aveva altra possibile ragione debitoria verso l’altro (il qual si deve segnalare, non ha neppure allegato l’esistenza di alcuna possibile diversa causale del rapporto pseudo-obbligatorio intercorrente fra i due) i giudici hanno inferito che siffatto debito era legato, appunto, alla acquisizion di un compendio di sostanza stupefacente acquistata dall’COGNOME e ceduta dal Sirig nano.
Con riferimento al secondo motivo di ricorso, riferito alla mancata qualificazione del fatto nell’ambito della lieve entità, ai sensi dell’art. comma 5, del dPR n. 309 del 1990, anche in questo caso la sentenza della Corte di appello partenopea è più che esauriente, laddove, operando la complessiva valutazione dei fatti che la giurisprudenza di questa Corte sollecita ai fini della qualificazione o meno dei reati connessi al traffico del sostanze stupefacenti nell’ambito della lieve entità, evidenzia sia i significativo valore economico della sostanza in questione oggetto delle transazioni facenti capo al COGNOME (3.000,00 euri o anche 10.000,00), sia il fatto che siffatti delitti siano inseriti in una trama criminosa che prevede movimentazione di ancor più rilevanti quantità di stupefacente, sia la elevata qualità della sostanza, elementi questi che segnalano in termini di maggiore allarme e pericolosità sociale la complessiva condotta del prevenuto.
La censura deve, parimenti alla precedente, essere, pertanto, dichiarata inammissibile.
Lo scrutinio del ricorso presentato da NOME COGNOME, il quale si articola attraverso due motivi di censura, conduce all’affermazione della inammissibilità anche di questa impugnazione.
La prima delle due lagnanze ha ad oggetto la circostanza che, a sostegno delle imputazioni mosse al prevenuto non vi sarebbero elementi obbiettivi che ne dimostrino la fondatezza; rileva, infatti, la ricorrente difesa che non è stato operato alcun sequestro di sostanza stupefacente che possa essere ricondotta al COGNOME né è stata compiuta dalle forze dell’ordine una qualche attività di osservazione che abbia coinvolto la persona dell’attuale ricorrente.
Il tema dedotto pone all’attenzione del giudicante la problematica della cosiddetta “droga parlata”; sul punto questa Corte ha più volte ricordato che qualora gli indizi a carico di un soggetto consistano in mere dichiarazioni captate nel corso di operazioni di intercettazione senza che sia operato il sequestro della sostanza stupefacente, la loro valutazione, ai sensi dell’art.192, comma 2, cod. proc. pen., deve essere compiuta dal giudice con particolare attenzione e rigore e, ove siano prospettate più ipotes ricostruttive del fatto, la scelta che conduce alla condanna dell’imputato deve essere fondata in ogni caso su un dato probatorio “al di là di ogni ragionevole dubbio”, caratterizzato da un alto grado di credibilità razionale (per tutte Corte di cassazione, Sezione II penale, 16 luglio 2024, n. 28569, non massimata; Corte di cassazione, Sezione VI penale, 1 giugno 2017, n. 27434, rv 270299).
Nella specie il vaglio delle risultanze istruttorie è stato condotto, in sed di merito, con il necessario rigore, laddove è stata segnalata – a fronte del estrema genericità della doglianza esposta nel ricorso in grado di appello, non colmata neppure in occasione della proposizione del presente ricorso per cassazione, nella quale non sono affatto indicate le captazioni telefoniche il cui contenuto sarebbe stato distorto dalla Corte di merito – la evidente criptícità delle conversazioni intrattenute dal NOME con i suoi sodali, resa manifesta dall’uso palesemente decontestualizzato di espressioni quali “fatica”, dollaro”, “pasta nostra un poco cruda”, “pasta e cavolfiori”, “carciofi”, termini tutt quanti volti a coprire il reale riferimento che, in termini logicamente plausibil (e come tali non ora censurabili), i giudici del merito hanno inteso essere riferibili alle sostanze stupefacenti della quali i correi erano trafficanti.
Ribadita a questo punto la giurisprudenza di questa Corte, sulla base della quale, laddove lo scioglimento degli enigmi posti dalla natura criptica del linguaggio utilizzato dai conversanti non sia stato operato in termini illogici comunque applicando massime di esperienza prive di fondamento, i risultati cui è pervenuta l’attività di decrittazione operata dai giudici del merito no sono suscettibili di essere rivisitati in sede di legittimità (al riguar sufficiente il richiamo a: Corte di cassazione, Sezioni unite penali, 28 maggio 2015, n. 22471, rv 263715), si rileva che, diversamente da quanto il ricorrente ha affermato, la verifica compiuta dalla Corte distrettuale, fondata su plurimi elementi logici (quali: la impossibilità di attribuire un senso logic alle espressioni reiteratamente utilizzate anche dal prevenuto nel corso delle conversazioni captate, se non intendendolo come volte a nascondere qualcosa di compromettente se diversamente definito; l’allusione a rapporti legati a
transito di danaro, privi di causale ove non considerati connessi a scambi illeciti di merce vietata), assicura, con adeguata certezza, sull’effetti significato di quanto riportato nel corso delle conversazioni, sebbene le captazioni delle stesse non siano state supportate da alcun sequestro né da alcuna diretta osservazione visiva di traffici inerenti a sostanze stupefacenti.
Riguardo al secondo motivo di doglianza, riferito alla esclusione della qualificazione delle ipotesi criminose entro i limiti di cui all’art. 73, comma del dPR n. 309 del 1990, vale anche per quanto attiene al COGNOME il richiamo alla complessiva valutazione delle condotte a lui attribuite che, sebbene, nella impossibilità di attribuire una specifica qualità alle sostanze stupefacent trattate, siano state ricondotte alle ipotesi delittuose riferibili, in ossequ principio del favor rei, alle cosiddette “droghe leggere”, non conduce, stante appunto la articolazione dell’attività e la complessiva ampia disponibilità di sostanza stupefacente che il COGNOME era in grado di movimentare, a ritenere sussistente negli episodi a lui contestati quella minima offensività che è necessario rilevare affinché ricorra la ipotesi meno grave di reato di cui all’ar 73, comma 5, del dPR n. 309 del 1990 (Corte di cassazione, Sezione III penale, 21 luglio 2016, n. 31415, rv 267515).
Venendo, a questo punto, agli ultimi due ricorsi, quelli di COGNOME NOME e di COGNOME NOME, si rileva che sono entrambi fondati, sebbene quello del primo dei ricorrenti menzionati non conduca all’annullamento della sentenza gravata ma solo alla sua rettificazione.
Invero, il COGNOME ha articolato due motivi di censura, uno solo dei quali di pregio; con il primo, infatti, egli ha lamentato la mancata declaratoria d estinzione dei reati di cui ai capi E5 ed E6 per intervenuta esti-rei -o -ne; sostiene, in sintesi, il ricorrente che, una volta derubricati i fatti di cui all imputazioni in violazione del comma 5 dell’art. 73 del dPR n. 309 del 1990 operazione questa realizzata dalla Corte di appello, con conseguente rideterminazione della pena inflittagli – sarebbe stato conseguente rilevare l’avvenuta estinzione dei reati medesimi, atteso che, il diverso termine prescrizionale derivante dalla diversa sanzione edittale relativa ai reati pe come riqualificati, avrebbe dovuto condurre a tale approdo decisionale, a nulla rilevando la contestata recidiva, essendo stata questa assorbita per effett della ritenuta equivalenza con le attenuanti generiche riconosciute in suo favore.
E’ proprio in tale ultima proposizione che si annida l’errore che mina irrimediabilmente l’assunto difensivo; infatti, il ricorrente postula u
presupposto ermeneutico privo di fondamento, cioè che, una volta affermata la equivalenza fra una o più attenuanti e la contestata recidiva, l’esistenza di questa non determina più l’effetto di differire il termine prescrizionale dei reati di cui si tratta.
E’ questo un postulato erroneo, in quanto, secondo la previsione di cui al comma terzo dell’art. 157 cod, pen., il giudizio di valenza opera esclusivamente con riferimento all’effetto di aggravamento (ovvero di attenuazione) della pena in concreto, ma non determina ulteriori conseguenze rispetto a quelle che sono í reliquati, in questo, caso della recidiva che, sebbene equivalente (o, si aggiunge, persino subvalente), non per questo deve intendersi non sussistente e, pertanto, non idonea a determinare gli effetti che le sono propri, ulteriori rispetto a quelli immediatamente riferiti alla dosimetria della pena in concreto elisi dal giudizio di equivalenza con la o le attenuanti (Corte di cassazione, Sezione IV penale, 28 ottobre 2021, n. 38618, rv NUMERO_DOCUMENTO; Corte di cassazione, Sezione I penale, 17 dicembre 2020, n. 36258, rv 280059).
Fondato è, viceversa, il secondo motivo di impugnazione, legato all’erroneo calcolo della pena operato da parte della Corte di merito; questa, infatti, era stata determinata, anteriormente all’abbattimento per l’avvenuta scelta del rito, dalla Corte di appello di Napoli – chiamata a tale incombente a seguito, come detto, della riqualificazione in termini di lieve entità dei reati ascritti al COGNOME – in anni 2 e mesi 6 di reclusione ed in euri 3.600,00 di multa, già essendo stato così considerato l’aumento derivante dalla ritenuta continuazione; operato il ricordato abbattimento che, come è noto, è, quanto ai delitti, inderogabilmente stabilito dal legislatore, si veda, infatti, l’art. 442, comma 2, cod. proc. pen., nella misura di un terzo della pena che in concreto diversamente sarebbe stata irrogata a carico del prevenuto, la Corte di merito ha irrogato la pena di anni 1 e mesi 10 di reclusione ed euri 2.400,00 di multa.
Ora, facendo il calcolo aritmetico comportante la sottrazione di un terzo di pena da quella ritenuta congrua dalla Corte di appello di Napoli, si rileva che la stessa avrebbe dovuta essere pari, quanto alla pena detentiva, ad anni 1 e mesi 8 di reclusione, laddove la detta Corte ha, invece, irrogato la pena corretta quanto a quella pecuniaria ma non lo stesso ha fatto quanto a quella detentiva, determinata, come detto, in anni 1 e mesi 10 di reclusione.
Trattandosi, come è palese, di un mero errore di calcolo lo stesso può essere direttamente rettificato, ai sensi dell’art. 619, comma 2, cod. proc.
pen., da questa Corte, senza dovere disporre l’annullamento della sentenza impugnata, procedendo alla rideterminazione della sola pena detentiva, ferma restando quella pecuniaria, in anni 1 e mesi 8 di reclusione.
Quanto, infine, al ricorso di COGNOME NOME si osserva che è fondato il primo dei motivi di impugnazione, di natureLprocessuale, da questo formulato.
E’ indiscusso che la difesa del COGNOME ha presentato nei termini istanza di definizione del processo di appello ai sensi dell’art. 599-bis cod. proc. pen sulla quale vi era stata la adesione della pubblica accusa; su tale istanza tuttavia, la Corte di appello non ha provveduto, tanto che sia la difesa del prevenuto che la Procura AVV_NOTAIO non hanno rassegnato le proprie conclusioni di merito.
Come si può rilevare tramite l’esame della pertinente normativa, il subprocedimento volto alla definizione del processo in sede di gravame ai sensi dell’art. 599-bis cod. proc. pen. prevede che la parte privata possa rinunciare ad alcuni dei motivi di appello originariamente proposti, insistendo solo su altri il cui accoglimento è concordato con la controparte; in tale caso, ove siffatto accoglimento dovesse comportare una riduzione della pena questa viene, altresì, concordata fra le parti; in una tale ipotesi, che si può realizz sia in fase preprocessuale che nel corso del dibattimento in appello, il giudice, provvedendo in camera di consiglio, può disporre raccoglimento della richiesta, ove la ritenga congrua, ovvero ne dispone il rigetto.
In tale caso provvede per la prosecuzione (o per l’instaurazione laddove la richiesta di concordato sia stata formalizzata anteriormente alla notificazione della citazione di fronte al giudice del gravame) del processo, evenienza questa che non è preclusiva della presentazione di un’ulteriore richiesta di concordato.
Nel nostro caso, a quanto risulta dall’esame degli atti processuali, che è consentito a questa Corte data la natura processuale della censura che caratterizza il presente motivo di doglianza, la Corte di merito, senza prendere posizione sulla richiesta concordata fra le parti, ha provveduto nel merito rigettando l’appello del RAGIONE_SOCIALE e confermando in toto nei suoi confronti la sentenza del giudice di primo grado.
Un tale modus procedendi ritiene il Collegio che sia viziato e conduca all’annullamento della sentenza impugnata; è ben vero che, come questa Corte ha segnalato ancora di recente in tema di concordato in appello, le
irregolarità del procedimento camerale integranti vizi di legittimità destinati riverberarsi sulla validità della sentenza che ha recepito l’accordo, in forza de principio di tassatività delle nullità di cui all’art. 177 cod. proc. pen., deducibili con il ricorso per cassazione solo se sanzionate a pena di nullità e se ricorre un pregiudizio giuridicamente apprezzabile (Corte di cassazione, Sezione III penale, 6 febbraío 2024, n. 23397, rv 286543), ma, quanto meno con riferimento al caso di specie, la procedura seguita dalla Corte di appello ha indubbiamente comportato un apprezzabile pregíudizio alla parte ora ricorrente cui non solo è stata, di fatto, inibita la possibilità di formular proprie difesa in relazione ai motivi che solo in caso di accoglimento della richiesta di “concordato in appello” dovevano intendersi rinunziati, ma, non avendo avuto alcuna risposta in relazione ai termini della richiesta anteriormente formulata, non è stata posta in condizione né di impugnare l’eventuale rigetto (aderendo questo Collegio alla tesi secondo la quale è suscettibile di censura in sede di legittimità il rigetto della richiest definizione ex art. 599-bis cod proc. pen.: si veda, infatti, in tale senso in presenza di pronunzie orientate in senso opposto quale, fra le altre: Corte di cassazione, Sezione II penale, 26 gennaio 2024, n. 3124, rv 285819 Corte di cassazione, Sezione III penale, 22 aprile 2024, n. 16692, rv 286181; Corte di cassazione, Sezione II penale, 14 luglio 2023, n. 30624, rv 284869), né di formulare una ulteriore proposta di concordato che potesse incontrare raccoglimento anche del giudice di secondo grado.
Per le esposte ragioni, che chiaramente sono assorbenti delle restanti argomentazioni impugnatorie del ricorrente, dal cui esame può ora pertanto questa Corte essere esentata, la sentenza impugnata, limitatamente alla posizione del RAGIONE_SOCIALE deve essere annullata senza rinvio con trasmissione degli atti alla Corte di Napoli la quale, previa espress valutazione della istanza di “concordato in appello” a suo tempo presentata dal ricorrente in attuale esame provvederà, in conformità all’esito di tale valutazione, ai successivi adempimenti processuali.
In conclusione – mentre i ricorsi di COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, debbono essere dichiarati inammissibili ed i predetti ricorrenti vanno condannati, visto l’art. 616 cod proc. pen. al pagamento delle spese processuali e della somma di euri 3.000,00 ciascuno in favore della Cassa delle ammende – in esito al presente giudizio la pena inflitta a COGNOME NOME deve essere rideterminata nei limiti di cui in dispositivo, con la dichiarazione di inammissibilità del motivo d ricorso da questo presentato in relazione alla intervenuta estinzione per
prescrizione dei reati a lui contestati, e, in accoglimento del ricorso di COGNOME NOME, la sentenza impugnata deve essere, nei suoi confronti, annullata senza rinvio con la trasmissione degli atti alla Corte di appello di Napoli che, in diversa composizione personale, provvederà nuovamente a celebrare il giudizio di gravame nei confronti del predetto.
PQM
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Annulla . rinvio la sentenza impugnata nei confronti di RAGIONE_SOCIALE e dispone trasmettersi gli atti alla Corte di appello di Napoli.
Visto l’art. 619 cod. proc. pen., rettifica la pena detentiva nei confronti di COGNOME NOME in anni 1 e mesi 8 di reclusione.
Dichiara inammissibile nel resto il ricorso di COGNOME NOME.
Dichiara inammissibili i ricorsi di COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 4 giugno 2024
Il AVV_NOTAIO estensore
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Il Presidente