Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 27944 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 27944 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 28/03/2025
ORDINANZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME COGNOME nato a CATANIA il 14/02/1987
NOME nato a CATANIA il 13/10/1996
avverso la sentenza del 04/06/2024 della CORTE APPELLO di CATANIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
Ritenuto che con sentenza del 4 aprile 2023 il Tribunale di Catania aveva condannato, in concorso con altri, COGNOME NOME COGNOME alla pena di anni 11 di reclusione ed C 41.000 di multa e COGNOME NOME alla pena di anni 13 di reclusione, avendoli ritenuti colpevoli dei reati loro rispettivamente contestati;
in parziale riforma della citata sentenza la Corte di Catania riduceva, con sentenza emessa in data 4 giugno 2024 ai sensi dell’art.599-bis cod. proc. pen. su accordo delle parti, la pena inflitta al Di COGNOME, previa esclusione della contestata recidiva, in complessivi anni 6 e mesi 4 di reclusione ed C 28.000 di multa;
riformando la precedente sentenza rideterminava in complessivi anni 4 e mesi 6 di reclusione ed C 18.000 di multa la pena inflitta al COGNOME per effetto della assoluzione del medesimo dal reato associativo e la conseguente sua condanna per il solo reato di cui all’art. 73 del D.P.R. 309 del 1990;
che avverso detta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione i prevenuti con atti disgiunti;
che il Di COGNOME con il proprio ricorso ha articolato un unico motivo di impugnazione con cui eccepiva il vizio di motivazione con riferimento alla dosimetria della pena inflitta;
che con il proprio il COGNOME articolava due motivi di impugnazione, il primo dei quali relativo alla deduzione del vizio di motivazione con riferimento alla statuizione di reità, il secondo relativo alla eccezione del vizio di motivazione con riferimento alla mancata riqualificazione del fatto nell’ambito del reato di cui all’art. 73, comma 5, del D.P.R. 309 del 1990;
lette le memorie depositate dal COGNOME.
Considerato che i ricorsi sono inammissibili;
che il ricorso del COGNOME risulta inammissibile in quanto secondo la giurisprudenza di questa Corte, è inammissibile il ricorso per cassazione relativo a questioni, anche rilevabili d’ufficio, alle quali l’interessato abbia rinunciato in funzione dell’accordo sulla pena in appello, in quanto il potere dispositivo riconosciuto alla parte, oggi dall’art. 599-bis cod. proc. pen., non solo limita la cognizione del giudice di secondo grado, ma ha effetti preclusivi sull’intero svolgimento processuale, ivi compreso il giudizio di legittimità, analogamente a quanto avviene nella rinuncia all’impugnazione (Sez. 4, n. 53565 del 27/9/2017, Ferro, Rv. 271258);
che nel caso di specie il quantum della pena da applicare è stato oggetto dell’accordo ex art. 599-bis cod. proc. pen. di tal che il ricorso risulta inammissibile;
quanto al COGNOME entrambi i motivi, i quali possono essere analizzati congiuntamente riguardando tutti la statuizione di reità riguardante il reato contestato, risultano manifestamente infondati atteso che la Corte territoriale,
con valutazione esente da vizi logici o giuridici, ha correttamente argomentato in ordine alla ritenuta penale responsabilità dell’imputato in ordine al reato di
cui all’art. 73 del D.P.R. 309 del 1990 dando rilievo alla non contestata circostanza che l’inizio dell’attività di spaccio coincideva con l’arrivo del
COGNOME sui luoghi di causa, escludendo la possibilità di qualificare il fatto nell’ambito della minore gravità stante il fatto che l’attività del ricorrente era
svolta, con continuità professionale, nell’ambito di una ben strutturata organizzazione, il che fa escludere la assoluta minimalità della offesa recata
attraverso la commissione del reato in contestazione;
che i ricorsi devono perciò essere dichiarati inammissibili e, tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale nonché
rilevato che nella fattispecie non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa
di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità dei ricorsi consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento
delle spese processuali nonché della somma equitativamente fissata in C
3.000,00 ciascuno in favore della Cassa delle ammende.
PER QUESTI MOTIVI
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma, il 28 marzo 2025 Il Consigliere estensore COGNOME>il Presidente