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Concordato in appello: i motivi validi di ricorso

Un imputato ha presentato ricorso contro una sentenza per reati di droga, ottenuta tramite concordato in appello, sostenendo che il giudice non avesse valutato le sue esigenze di risocializzazione. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ribadendo che i motivi di impugnazione per un concordato in appello sono limitati a vizi nella formazione dell’accordo e non possono riguardare il merito della pena concordata, che è stata accettata dalle parti.

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Pubblicato il 11 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Concordato in Appello: La Cassazione Chiarisce i Limiti del Ricorso

Il concordato in appello, noto anche come patteggiamento in appello, è uno strumento processuale che permette di definire il giudizio di secondo grado attraverso un accordo tra le parti sulla pena. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 13686/2024) ha ribadito con fermezza i confini entro cui è possibile impugnare una sentenza che ratifica tale accordo, chiarendo quali motivi di ricorso sono ammessi e quali, invece, destinati all’inammissibilità.

I Fatti del Caso

Il caso trae origine da un ricorso presentato da un imputato condannato per violazione della normativa sugli stupefacenti (artt. 73 e 80 del d.P.R. 309/1990). In secondo grado, le parti avevano raggiunto un accordo sulla pena ai sensi dell’art. 599 bis del codice di procedura penale, accordo poi recepito dalla Corte d’Appello di Napoli nella sua sentenza. Nonostante l’accordo, l’imputato ha deciso di rivolgersi alla Corte di Cassazione, lamentando un vizio di motivazione e una violazione di legge. In particolare, sosteneva che il giudice d’appello avesse ratificato l’accordo sulla pena senza compiere un’adeguata valutazione delle sue esigenze di risocializzazione, un aspetto fondamentale del trattamento sanzionatorio.

Il Concordato in Appello e i Limiti all’Impugnazione

La difesa dell’imputato ha tentato di portare la discussione sul merito della pena concordata, un terreno che, come vedremo, è precluso in caso di concordato in appello. La scelta di accedere a questo rito speciale comporta, infatti, una rinuncia a far valere determinate doglianze. La Cassazione è stata chiamata a decidere se una critica alla valutazione del giudice sul trattamento sanzionatorio potesse costituire un valido motivo di ricorso contro una sentenza frutto di un accordo tra le parti.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, fornendo una chiara lezione sui limiti del sindacato di legittimità sulle sentenze emesse ex art. 599 bis c.p.p. Gli Ermellini hanno ricordato che il ricorso in Cassazione in questi casi è consentito solo per motivi specifici e circoscritti. Essi non riguardano la congruità della pena concordata, ma piuttosto la legalità e la correttezza della procedura con cui si è formato l’accordo.

Le Motivazioni

La Corte ha motivato la sua decisione richiamando la propria giurisprudenza consolidata. Le uniche doglianze proponibili contro una sentenza di concordato in appello sono quelle relative a:

1. Vizi nella formazione della volontà: Se il consenso della parte all’accordo è stato viziato (ad esempio, per errore o violenza).
2. Mancato consenso del Procuratore Generale: Se l’accordo è stato ratificato senza il necessario assenso dell’accusa.
3. Pronuncia difforme dall’accordo: Se la sentenza del giudice si discosta da quanto pattuito tra le parti.
4. Illegalità della sanzione: Se la pena concordata e inflitta è illegale (ad esempio, perché supera i limiti massimi previsti dalla legge o è di un genere non consentito).

Qualsiasi altro motivo, inclusa la critica alla valutazione del giudice sulla congruità della pena o sulla mancata considerazione delle esigenze di risocializzazione, è ritenuto inammissibile. Accettando il concordato, l’imputato rinuncia implicitamente a contestare tali aspetti. La Corte ha sottolineato che queste doglianze sono relative a motivi a cui la parte ha volontariamente rinunciato accedendo al rito. Di conseguenza, il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché basato su motivi non consentiti dalla legge.

Le Conclusioni

L’ordinanza in commento ha importanti implicazioni pratiche. Conferma che il concordato in appello è una scelta processuale strategica che cristallizza la pena e preclude, in larga misura, ulteriori contestazioni nel merito. La decisione di aderirvi deve essere ponderata attentamente, con la consapevolezza che le possibilità di impugnazione successiva sono estremamente ridotte. Inoltre, la pronuncia ribadisce il principio secondo cui la proposizione di un ricorso inammissibile comporta conseguenze economiche per il ricorrente: oltre alla condanna al pagamento delle spese processuali, è previsto il versamento di una somma alla Cassa delle ammende, che nel caso di specie è stata fissata in 3.000 euro.

È possibile ricorrere in Cassazione contro una sentenza emessa con “concordato in appello” lamentando l’entità della pena?
No, non è possibile. La Corte di Cassazione ha stabilito che le doglianze relative al trattamento sanzionatorio, come la sua presunta inadeguatezza rispetto alle esigenze di risocializzazione, non rientrano tra i motivi ammessi per impugnare una sentenza di questo tipo, in quanto si tratta di aspetti a cui la parte ha rinunciato accettando l’accordo.

Quali sono gli unici motivi validi per presentare un ricorso per Cassazione contro un “concordato in appello”?
I motivi ammissibili sono strettamente limitati a vizi che riguardano la formazione della volontà delle parti di accedere all’accordo, il consenso del Procuratore Generale, o un’eventuale pronuncia del giudice difforme rispetto a quanto concordato. È ammesso anche il ricorso per vizi che determinano un’illegalità della sanzione inflitta.

Cosa succede se un ricorso contro una sentenza di “concordato in appello” viene dichiarato inammissibile?
Quando il ricorso è dichiarato inammissibile, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro alla Cassa delle ammende, come stabilito dall’art. 616 del codice di procedura penale. In questo caso, la somma è stata fissata in 3.000 euro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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