Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 15199 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 15199 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 12/03/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da COGNOME NOMECOGNOME nato a Torre Annunziata il 25 marzo 1979, Colonia NOME, nato a Torre Annunziata il 7 maggio 2000, COGNOME NOME, nato a Torre Annunziata il 20 luglio 1990, COGNOME NOME, nato a Torre Annunziata il 28 agosto 1989, COGNOME NOME, nato a Castellammare di Stabia il 4 gennaio 1999, avverso la sentenza del 10/06/2024 della Corte di appello di Napoli; visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udite le conclusioni rassegnate dal Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott.ssa NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi di COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, e per l’annullamento senza rinvio, con rideterminazione della pena per COGNOME COGNOME udite le conclusioni dell’avv. NOME COGNOME del foro di Roma, in sostituzione dell’avv. NOME COGNOME difensore di fiducia di NOME COGNOME, che si è
riportato ai motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 10 giugno 2024, la Corte di appello di Bari confermava la sentenza del Tribunale di Napoli in data 18 ottobre 2023 che aveva condannato NOME COGNOME alla pena di sette anni di reclusione e NOME COGNOME alla pena di cinque anni di reclusione, per il reato di cui agli artt. 110, 582, 583, comma 2, n. 3, cod. pen., per aver cagionato lesioni personali gravissime a NOME COGNOME, COGNOME colpendolo più volte al volto e all’occhio con il calcio della pistola fino a sfondargli il bulbo oculare, procurandogli la perdita definitiva dell’occhio medesimo, COGNOME condividendo l’azione lesiva materialmente eseguita dal COGNOME, nonché del reato di cui agli artt. 110, 10, 12 e 14 I. n. 497/1974 per aver illecitamente detenuto e portato in luogo pubblico una pistola che utilizzavano per sparare contro NOME COGNOME con le circostanze aggravanti di cui all’art. 416-bis.1 e 61 n. 2 cod. pen.
Con la predetta sentenza la Corte di appello di Napoli riformava, altresì, la sentenza del Tribunale di Napoli, applicando, ai sensi dell’art. 599-bis cod. proc. pen., le pene concordate che seguono:
— anni cinque, mesi otto di reclusione ed euro 22.000,00 di multa nei confronti di NOME COGNOME per i reati di detenzione e cessione a terzi di sostanze stupefacenti ex art. 73 d.P.R. n. 309/1990 contestati ai capi D, F, G della rubrica, nonché per i reati di detenzione illegale di armi da sparo e da guerra ex artt. 10 e 14 1, n. 497 del 1974 contestati ai capi H, O della rubrica;
— anni tre, mesi quattro di reclusione ed euro 6.000,00 di multa nei confronti di NOME COGNOME per il reato di detenzione a fini di spaccio di sostanza stupefacente ex art. 73 d.P.R. n. 309/1990 contestato al capo S della rubrica;
— anni due, mesi sei di reclusione ed euro 3.333,00 di multa nei confronti di NOME COGNOME per il reato di detenzione illegale di armi da sparo ex artt. 10 e 14 I. n. 497 del 1974 contestato al capo N della rubrica.
Avverso la sentenza della Corte di appello di Napoli, NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME tramite i rispettivi difensori, hanno proposto ricorso per cassazione.
NOME COGNOME tramite il difensore avv. NOME COGNOME lamenta che il concordato raggiunto con il Procuratore generale prevedeva una pena finale di anni cinque, mesi quattro di reclusione ed euro 22.000,00 di multa, mentre la Corte territoriale, errando, aveva inflitto quattro mesi in più di
reclusione, pervenendo alla pena finale di anni cinque, mesi otto di reclusione ed euro 22.000,00 di multa.
NOME COGNOME tramite il difensore avv. NOME COGNOME lamenta inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche ex art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., in ordine alla erronea motivazione nel calcolo della formulazione della pena.
In sintesi, la difesa deduce che l’atto di appello formulava specifici motivi relativi al trattamento sanzionatorio che dovevano essere comunque vagliati dalla Corte di appello, anche d’ufficio, segnatamente con riferimento alla richiesta di riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, svolgendo l’imputato regolare attività lavorativa a tempo indeterminato come impiegato presso una società di Pompei, e alla applicazione della recidiva, atteso che i precedenti penali erano riferibili a condotte parecchio datate nel tempo.
NOME COGNOME tramite i difensori avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., mancanza della motivazione, nonché erronea applicazione delle norme di cui all’art. 133 cod. pen., con riferimento al calcolo del trattamento sanzionatorio effettuato in sentenza.
In sintesi, la Corte di appello si era limitata a ratificare gli accordi intercorsi tra le parti private e la pubblica accusa, senza fornire congrua motivazione in grado di giustificare l’individuazione della pena base e il calcolo dell’entità dell’aumento per la contestata recidiva.
NOME COGNOME tramite il difensore avv. NOME COGNOME affida il ricorso a tre motivi.
6.1 Con il primo motivo lamenta, ai sensi dell’art. 606, lett. b) ed e), cod. proc. pen., violazione dell’art. 192 cod. proc. pen., nonché manifesta illogicità della motivazione ed omessa motivazione.
Deduce la difesa che la Corte di appello non aveva valutato le doglianze difensive riferite alla identificazione degli autori del reato ai danni di NOME COGNOME a fronte delle dichiarazioni di quest’ultimo, che aveva riferito alle forze dell’ordine che qualcuno gli avrebbe confermato l’identità dei due aggressori con un messaggio, nessun accertamento era stato effettuato in ordine alla identità della presunta fonte di NOME COGNOME né era stato prodotto agli atti del processo il messaggio di cui riferiva la persona offesa. COGNOME aveva, infatti, spiegato agli agenti di P.G. che la sua conoscenza della presunta identità degli autori del delitto era mediata ed indiretta e derivava da una sua ipotesi che
sarebbe stata successivamente confermata da qualcuno non meglio identificato tramite messaggio che gli avrebbe fatto capire l’identità degli autori.
Deduce, inoltre, la difesa che la Corte territoriale aveva omesso di confrontarsi anche con le circostanze emerse dal deposito della consulenza effettuato in primo grado dalla difesa: NOME COGNOME aveva rilasciato dichiarazioni spontanee durante il giudizio di primo grado, affermando di aver fatto dei nomi che non c’entravano nulla con la vicenda in esame; e dette dichiarazioni trovavano riscontro positivo nella consulenza depositata dalla difesa ed avente ad oggetto la copia forense del telefono in uso a NOME COGNOME attraverso la quale emergeva che ad NOME COGNOME erano state mostrate alcune immagini di conversazioni tra COGNOME ed una utenza memorizzata con la lettera “A” in cui veniva a lui suggerito di dire che erano stati NOME e NOMECOGNOME così emergendo che COGNOME aveva volontariamente orientato le indagini sul ricorrente e su NOME COGNOME perché spinto da soggetti estranei alla vicenda sui quali, tuttavia, non erano state effettuate indagini di alcun tipo.
6.2 Con il secondo motivo lamenta, ai sensi dell’art. 606, lett. e), cod. proc. pen., manifesta illogicità della motivazione in relazione alla configurabilità ed applicabilità dell’aggravante ex art. 416-bis.1 cod. pen.
Deduce la difesa che il primo giudice aveva affermato che il movente del delitto si traeva da situazioni di astio personali e private e ciò escludeva il profilo della “agevolazione mafiosa” dell’aggravante in parola.
Quanto al profilo del “metodo mafioso”, sostiene la difesa che già la condotta tipica del delitto di lesioni gravissime è connotata da carattere violento e minatorio, così eliminando il confine tra la condotta minatoria e violenta necessaria ai fini della configurazione del reato di lesioni gravissime ed il quid pluris richiesto dalla giurisprudenza ai fini della applicabilità dell’aggravante incentrata proprio sulle modalità della condotta. In secondo luogo, la motivazione della sentenza impugnata era illogica nella parte in cui aveva affermato che gli autori del delitto, agendo a volto sostanzialmente scoperto, si sarebbero avvalsi della intimidazione mafiosa derivante dalle modalità criminali locali, dal momento che gli autori del delitto erano completamente travisati ed anche quando si sarebbero spogliati dei caschi sarebbero rimasti travisati con delle mascherine, tanto che COGNOME aveva fatto riferimento al colore dei capelli di uno di loro, non avendo avuto la possibilità di vederli a volto scoperto.
6.3 Con il terzo motivo lamenta, ai sensi dell’art. 606, lett. b) ed e), cod. proc. pen., violazione della norma di cui all’art. 99 cod. pen. e manifesta illogicità della motivazione.
Lamenta la difesa che, al momento della consumazione del reato, l’imputato non era gravato da più sentenze definitive per reati precedentemente commessi, sicchè era stata erroneamente applicata la recidiva reiterata.
Lamenta, inoltre, la difesa che la motivazione del giudizio di pericolosità, ai fini della recidiva, nella sentenza impugnata, era manifestamente illogico, non avendo tenuto conto del lungo tempo intercorso tra i fatti più recenti di cui alla condanna definitiva (commessi in data 27 settembre 2013) ed i fatti contestati nel presente processo (commessi in data 26 agosto 2020).
NOME COGNOME tramite il difensore avv. NOME COGNOME affida il ricorso a quattro motivi.
7.1 Con il primo motivo lamenta, ai sensi dell’art. 606, lett. c) ed e), cod. proc. pen., violazione di legge ed assenza e manifesta illogicità della motivazione, in relazione alla inutilizzabilità della consulenza peritale del dott. COGNOME.
Lamenta la difesa che la Corte territoriale aveva omesso di valutare l’utilizzabilità e la validità dell’attività difensiva relativa alla consulenza avente ad oggetto la copia forense del telefono in uso a NOME COGNOME attraverso la quale emergeva che ad NOME COGNOME erano state mostrate alcune immagini di conversazioni tra COGNOME ed una utenza dallo stesso memorizzata con la lettera “A” in cui veniva a lui suggerito di dire che erano stati NOME e NOME, così emergendo che COGNOME aveva volontariamente orientato le indagini sul ricorrente e su NOME COGNOME perché spinto da soggetti estranei alla vicenda sui quali, tuttavia, non erano state effettuate indagini di alcun tipo. Tanto che NOME COGNOME aveva rilasciato dichiarazioni spontanee durante il giudizio di primo grado, affermando di aver fatto dei nomi che non c’entravano nulla con la vicenda in esame, dichiarazioni alle quali i giudici di merito non avevano dato alcun valore, ritenendole generiche e poco precise.
7,2 Con il secondo motivo lamenta, ai sensi dell’art. 606, lett. e), cod. proc. pen., violazione di legge ed assenza e manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione, in relazione alla responsabilità del ricorrente per i reati di cui ai capi A e B dell’imputazione.
Deduce la difesa che, nonostante NOME COGNOME avesse riferito alle forze dell’ordine che qualcuno gli avrebbe confermato l’identità dei due aggressori con un messaggio, nessun accertamento era stato effettuato in ordine alla identità della presunta fonte di NOME COGNOME né era stato prodotto agli atti del processo il messaggio di cui riferiva la persona offesa, sebbene il telefono di COGNOME fosse sottoposto ad intercettazione.
7.3 Con il terzo motivo lamenta, ai sensi dell’art. 606, lett. e), cod. proc. pen., violazione di legge, manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione in relazione al riconoscimento della sussistenza dell’aggravante ex art. 416-bis.1 cod. pen. del “metodo mafioso”.
Deduce la difesa che il primo giudice aveva affermato che il movente del delitto si traeva da situazioni di astio personali e private, per cui l’affermazione della sussistenza dell’aggravante si poggerebbe sulle modalità del fatto e, nel caso specifico, si tradurrebbe nella confusione tra la violenza insita nella condotta tipica del delitto di lesioni gravissime con quella della condotta punita ex art. 416-bis.1 cod. pen. Per altro verso, deduce la difesa che il ricorrente avrebbe condotto l’auto e, pertanto, all’esterno della struttura, a poco avrebbe assistito e partecipato.
7.4 Con il quarto motivo lamenta, ai sensi dell’art. 606, lett. e), cod. proc. pen., violazione di legge ed assenza, manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione, in relazione al riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
Lamenta la difesa il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, non essendo stato adeguatamente valorizzato il ridimensionamento della vicenda contestata attraverso la riqualificazione da tentato omicidio a lesioni aggravate ed essendo stata irrogata una sanzione abnorme per un giovane che, al di là della vicenda contestata, non è mai stato convolto in alcuna vicenda criminale ed è privo di legami con la criminalità mafiosa del territorio di appartenenza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi presentati da NOME COGNOME e NOME COGNOME sono inammissibili, avendo costoro, in sede di concordato ex art. 599-bis cod. proc. pen., rinunciato a tutti i motivi di appello diversi da quelli relativi all determinazione della pena e, per la sola posizione di COGNOME, anche alla esclusione della circostanza aggravante speciale.
1.1 Quanto al ricorso di NOME COGNOME è fermo, infatti, l’orientamento di questa Corte secondo cui, in tema di concordato in appello, è ammissibile il ricorso in cassazione avverso la sentenza emessa ex art. 599-bis cod. proc. pen. che deduca motivi relativi alla formazione della volontà della parte di accedere al concordato, al consenso del pubblico ministero sulla richiesta ed al contenuto difforme della pronuncia del giudice, mentre sono inammissibili le doglianze relative a motivi rinunciati, alla mancata valutazione delle condizioni di proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen. ed, altresì, a vizi attinenti alla
determinazione della pena che non si siano trasfusi nella illegalità della sanzione inflitta, in quanto non rientrante nei limiti edittali ovvero diversa dalla quella prevista dalla legge (Sez. 2, n. 7810 del 14/02/2025, COGNOME non mass.; Sez. 2, del 16/11/2023 n. 50062, COGNOME, Rv. 285619; “Sez. 1, n. 944 del 23/10/2019, dep. 2020, Rv. 278170; Sez. 2, n. 22002 del 10/04/2019, COGNOME, Rv. 276102).
Nella fattispecie, le doglianze relative alla congruità della pena base e dell’aumento per la recidiva sono del tutto generiche, non essendo stati indicati errori o incongruenze nel procedimento di calcolo della pena e, come più volte affermato dalla giurisprudenza di legittimità, la valutazione della Corte di appello deve incentrarsi sulla legalità della pena finale concordata, rispetto alla quale il ricorso non contiene alcuna doglianza.
1.2 Quanto al ricorso di NOME COGNOME deve essere ricordato che la rinuncia a tutti i motivi di appello, ad esclusione soltanto di quelli riguardanti la misura della pena, comprende anche il motivo concernente la sussistenza delle circostanze aggravanti del reato, in quanto relativo a un punto della decisione distinto e autonomo rispetto a quello afferente al trattamento sanzionatorio (Sez. 4, n. 46150 del 15/10/2021, COGNOME, Rv. 282413), nonché del motivo attraverso il quale l’appellante aveva richiesto il riconoscimento di circostanze attenuanti (Sez. 4, n. 827 del 21/11/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 271750; Sez. 4, n. 53340 del 24/11/2016, Castiglione, Rv. 26869; nello stesso senso, da ult., Sez. 7, n. 6323 del 19/12/2024, dep. 2025, Nocerino, non mass.).
2. E’ fondato il ricorso presentato da NOME COGNOME.
Secondo l’indirizzo di questa Corte (Sez. 6, n. 23614 del 18/05/2022, COGNOME, Rv. 283284), cui si intende dare continuità, nel concordato in appello le parti sono libere di determinare l’entità della pena finale, non essendo prevista la misura della riduzione, con la conseguenza che il giudice potrà sindacare la pena concordata esclusivamente con riguardo alla congruità della stessa, a nulla rilevando se nella sua determinazione le parti siano incorse in errori di calcolo. E tale conclusione è ulteriormente avvalorata dal fatto che, qualora il giudice recepisca la pena indicata, l’entità della stessa non potrà più essere oggetto di contestazione, se non nel caso di pena illegale.
Tanto premesso, nel caso di specie, l’esame del verbale di udienza del 27 maggio 2024 dinanzi alla Corte di appello di Napoli, che questa Corte è autorizzata a consultare in ragione della natura dell’eccezione sollevata, consente di rilevare che la pena finale concordata con il Procuratore generale è stata di anni cinque, mesi quattro di reclusione ed euro 22.000,00 di multa, pena
che non è illegale e che è diversa dalla pena di anni cinque, mesi otto di reclusione ed euro 22.000,00 di multa indicata nella sentenza impugnata.
Dalle precedenti considerazioni discende l’annullamento della sentenza impugnata in ordine al trattamento sanzionatorio e, versandosi in ipotesi senz’altro sussumibile nell’ambito applicativo dell’art. 620, lett. l), cod. proc. pen., la rideterminazione della pena, mediante eliminazione dei vizi riscontrati, in anni cinque, mesi quattro di reclusione ed euro 22.000,00 di multa.
3. Il primo motivo del ricorso presentato da NOME COGNOME e i primi due motivi del ricorso presentato da NOME COGNOME da esaminare congiuntamente perché incentrati sulla identificazione degli autori del reato ai danni di NOME COGNOME e sulla valutazione della consulenza redatta dal dott. COGNOME sono manifestamente infondati perché, non confrontandosi integralmente con la motivazione della sentenza impugnata, sollecitano questa Corte a un rinnovato esame degli elementi probatori raccolti nel corso del giudizio, mediante un confronto diretto con gli stessi.
Secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, tuttavia, esula dai poteri della Corte di cassazione quello di una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è riservata in via esclusiva al giudice di merito senza che possa integrare vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa valutazione delle risultanze processuali ritenute dal ricorrente più adeguate (Sez. U, n. 6402 del 02/07/1997, COGNOME, Rv. 207944) ovvero l’omessa valutazione di una tesi alternativa a quella accolta dalla sentenza di condanna impugnata, senza indicare precise carenze od omissioni argomentative ovvero illogicità della motivazione di questa, idonee ad incidere negativamente sulla capacità dimostrativa del compendio indiziario posto a fondamento della decisione di merito (Sez. 2, n. 30918 del 07/05/2015, COGNOME, Rv. 264441).
Sono, infatti, precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 5456 del 4/11/2020, F., Rv. 280601-1; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, COGNOME, Rv. 265482).
Diversamente da quanto sostenuto in ricorso, la Corte di merito, nel disattendere le analoghe censure formulate con l’atto di appello, si è fatta carico di valutare le doglianze difensive relative alla identificazione degli autori del reato e all’esame della consulenza forense del cellulare di NOME COGNOME. I giudici di
secondo grado, nel rinviare alla struttura motivazione della sentenza di primo grado, hanno, sul punto, non illogicamente, ribadito come NOME COGNOME fosse già consapevole nella immediatezza dei fatti della identità degli aggressori, richiamando in tal senso il contenuto di un messaggio pubblicato su Facebook poche ore dopo il verificarsi dei fatti e il contenuto di una conversazione del 28/08/2020, intrattenuta dalla persona offesa con la sorella NOME. La sentenza di primo grado, alla cui struttura motivazionale la Corte territoriale rinvia, condividendola, aveva precisato, infatti, come NOME COGNOME, alle 11.03 del 26/08/2020, vale a dire a poche ore di distanza dai fatti, aveva pubblicato (con falso profilo) su Facebook un messaggio contenente gravi minacce nei confronti della famiglia COGNOME e riferimenti espliciti a NOME COGNOME e NOME COGNOME da ciò desumendosi che, nella immediatezza, la persona offesa era ben consapevole della identità degli aggressori, ricostruendo anche, nella conversazione del 28/08/2020, iniziata con la sorella NOME e proseguita con persone ignote, l’origine dell’aggressione ai suoi danni. Per cui la Corte di merito spiega logicamente come l’atteggiamento onnertoso assunto da COGNOME il 02/09/2020 di fronte alle forze dell’ordine, in cui rifiuta di indicare i nominativi degli aggressori per tutelare la propria incolumità, dipenda anche dal timore di venire indicato come loro “confidente”, tanto che, nelle conversazioni successive, per un verso, lascia intendere che i poliziotti avessero già individuato l’identità degli aggressori e, per altro verso, esplicita i riferimenti alle generalità degli aggressori, con propositi di vendetta, specie allorchè non ha più timore di essere i n te rcetta to .
Le argomentazioni richiamate smentiscono che la consapevolezza della identità degli aggressori e i riferimenti ad essi siano solo successivi al 02/09/2020, data del colloquio di NOME COGNOME con le forze dell’ordine. Né rileva il mancato accertamento della identità del soggetto che avrebbe mandato il messaggio allo COGNOME, sia perché del detto messaggio è possibile rilevare l’orario, 15.25, non la data, e, come precisa la Corte di merito, anche a volerlo datare lo stesso giorno dei fatti, è comunque successivo alla pubblicazione del messaggio su Facebook in cui emerge la consapevolezza, nella persona offesa, della identità degli aggressori, sia perché è lo stesso COGNOME a far riferimento alla esistenza di detto messaggio, che gli aveva solo confermato l’identità degli aggressori.
A fronte di tanto, come anticipato, le doglianze, non confrontandosi adeguatamente adeguatamente con le ragioni poste a base delle conformi pronunce di merito che si saldano in un unico corpo motivazionale, tendono a rivalutare il compendio probatorio, proponendo una inammissibile ricostruzione alternativa delle emergenze processuali.
Il secondo motivo del ricorso presentato da NOME COGNOME e il terzo motivo del ricorso presentato da NOME COGNOME da trattare congiuntamente perché relativi alla contestazione della sussistenza della circostanza aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., sono manifestamente infondati.
La Corte di Napoli, dopo aver ribadito l’estraneità del movente dell’aggressione a logiche associative, ha, diversamente da quanto rappresentato in ricorso e non illogicamente, individuato gli elementi caratterizzanti il metodo mafioso, oltre che nelle modalità eclatanti con le quali l’azione era stata posta in essere (nella prima mattinata, con armi, in luogo frequentato) e nella partecipazione di NOME COGNOME, soggetto appartenente all’organizzazione criminale camorristica denominata COGNOME e coinvolto, anche di recente, in azioni omicidiarie, anche nell’aver i ricorrenti agito a volto sostanzialmente scoperto (avevano sfilato i caschi ed erano rimasti con il volto coperto da mascherine), giungendo a distanza ravvicinata rispetto alla vittima, senza ucciderla, così mostrando di fare affidamento, oltre che sulle modalità cruente della condotta, anche sulla propria organicità agli ambienti criminali locali.
E’ erroneo il richiamo che il ricorso del COGNOME fa alla natura soggettiva dell’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen. per concluderne circa l’applicabilità di essa al solo partecipe che risulti consapevole dell’altrui finalità, dal momento che la ritenuta aggravante del ricorso all’uso del metodo mafioso è, invece, un’aggravante “oggettiva” e riguarda le modalità di estrinsecazione del reato (sulla natura oggettiva di tale aggravante tra le altre: Sez. 4, n. 5136 del 02/02/2022, COGNOME, Rv. 282602), presupponendo l’accertamento che la condotta sia stata commessa con modalità di tipo mafioso, non essendo anche necessario che l’agente appartenga al sodalizio criminale (Sez. 2, n. 15429 del 08/03/2024, COGNOME, Rv. 286280); per cui gli elementi caratterizzanti il metodo mafioso come sopra richiamati, la caratura criminale del Cherillo e i legami familiari esistenti tra i due imputati (cfr. pagina 131 della sentenza di primo grado) sono stati posti del tutto logicamente a fondamento della applicazione della circostanza aggravante in esame.
5. Il terzo motivo del ricorso presentato da NOME COGNOME è manifestamente infondato.
La Corte di appello, nel ritenere reiterata e specifica la recidiva contestata nei confronti del ricorrente, non è incorsa in errori di diritto, giacché le due condanne subite in precedenza, ancorché afferenti a reati unificati quoad poenam sotto il vincolo della continuazione, mantengono la loro autonomia anche ai fini della recidiva reiterata (Sez. 2, n. 35730 del 02/07/2020, COGNOME,
Rv. 280310; Sez. 4, n. 21043 del 22/03/2018, B., Rv. 272745; nello stesso senso, da ult., Sez. 2, n. 9218 del 14/02/2025, COGNOME).
Quanto al giudizio di pericolosità, la Corte di appello, nel ribadire che non vi fossero ragioni per escludere la recidiva contestata nei confronti del ricorrente, ha rilevato come la omogeneità del precedente rispetto ai fatti per cui si procede, la modesta risalenza nel tempo dello stesso e la assenza di qualsivoglia comportamento successivo ai fatti, in qualche modo apprezzabile, giustificavano ampiamente la mancata esclusione. In ragione di ciò ha, dunque, ritenuto che tanto giustificasse un giudizio di pericolosità aggravata nei confronti dell’imputato.
Il percorso argomentativo adottato non può essere censurato, perché conforme ai principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimità, secondo la quale, nell’applicare la recidiva, il giudice deve verificare in concreto «se la reiterazione dell’illecito sia sintomo effettivo di riprovevolezza della condotta e di pericolosità del suo autore, avuto riguardo alla natura dei reati, al tipo di devianza di cui essi sono il segno, alla qualità e al grado di offensività dei comportamenti, alla distanza temporale tra i fatti e al livello di omogeneità esistente tra loro, all’eventuale occasionalità della ricaduta e a ogni altro parametro individualizzante significativo della personalità del reo e del grado di colpevolezza» (Sez. U, n. 35738 del 27/05/2010 , COGNOME, Rv. 247838).
Il quarto motivo del ricorso presentato da NOME COGNOME è manifestamente infondato.
Sul punto, la Corte di legittimità è ferma nel ritenere (v. ex multis Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, COGNOME) che il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche non costituisca un diritto dell’imputato, conseguente all’assenza di elementi negativi, ma richieda elementi di segno positivo (Sez. 4, n. 32872 del 08/06/2022, COGNOME, Rv. 283489; Sez. 3, n. 24128 del 18/3/2021, COGNOME, Rv. 281590); inoltre, stante la ratio della disposizione di cui all’art. 62-bis cod. pen., al giudice di merito non è richiesto di esprimere una valutazione circa ogni singola deduzione difensiva, essendo sufficiente l’indicazione degli elementi di preponderante rilevanza ritenuti ostativi alla concessione delle attenuanti (Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549; Sez. 2 n. 3896 del 20/1/2016, Rv. 265826; Sez. 4 n. 23679 del 23/4/2013, Rv. 256201), rientrando la stessa concessione di esse nell’ambito di un giudizio di fatto rimesso alla discrezionalità del giudice, il cui esercizio deve essere motivato nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente la sua valutazione circa l’adeguamento della pena alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo (Sez. 6 n. 41365 del 28/10/2010, Rv. 248737), non
essendo neppure necessario esaminare tutti i parametri di cui all’art. 1 cod. pen., ma sufficiente specificare a quale si sia inteso far riferimento (Se n. 43952 del 13/04/2017, COGNOME, Rv. 271269; Sez. 1 n. 33506 del 7/7/2010, Rv. 247959; ancora Sez. 6, n. 42688 del 24/09/2008, COGNOME, Rv 242419, la cui massima è stata così redatta: «la sussistenza di circostanze attenuanti rilevanti ai fini dell’art. 62-bis cod. pen. è oggetto di un giudizio di fatto e può essere esclusa dal giudice con motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria decisione, non sindacabile in sede di legittimità, purché non contraddittoria e congruamente motivata, neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell’interesse dell’imputato»).
La Corte di appello non ha ritenuto l’imputato meritevole del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, in ragione della gravità delle condo realizzate, con riferimento alle modalità delle stesse e alle conseguenze les sulla persona offesa, in uno con la assenza di qualsivoglia comportamento apprezzabile, essendo dati neutri il riferimento alla giovane età e al rispetto d prescrizioni inerenti la misura cautelare restrittiva domiciliare. D motivazione, con la quale non vi è un integrale confronto in sede di ricors è coerente e completa e non in contrasto con gli insegnamenti di legittimit affermati in proposito, avendo i giudici chiarito quali elementi di segno negati abbiano valorizzato nella decisione.
7. All’inammissibilità dei ricorsi di COGNOME Luca, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME Salvatore consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna dei predetti ricorrenti al pagamento delle spese processuali e, in assenza profili idonei ad escludere la colpa nella determinazione della causa inammissibilità, al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che appare equo determinare in euro tremila, esercitando la facoltà introdotta dall’art. 1, comma 64, I. n. 103 del 2017, di aumentare oltr massimo la sanzione prevista dall’art. 616 cod. proc. pen. in caso inammissibilità del ricorso, considerate le ragioni dell’inammissibilità stessa co sopra indicate.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, nei confronti di COGNOME Giorgio, limitatamente al trattamento sanzionatorio, rideterminando la pena in anni cinque e mesi quattro di reclusione e ventiduemila euro di multa. Dichiara inammissibili i ricorsi di COGNOME NOME, COGNOME UmbertoCOGNOME COGNOME NOME, COGNOME
NOME che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 12/03/2025.