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Concordato in appello: i limiti del giudice

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 12282/2024, ha dichiarato inammissibili i ricorsi di due imputati che avevano stipulato un concordato in appello. La Corte ha chiarito che, in caso di accordo sulla pena in secondo grado, il giudice non è tenuto a motivare la mancata assoluzione ex art. 129 c.p.p., poiché la sua valutazione è limitata ai soli motivi di ricorso non oggetto di rinuncia. L’ordinanza affronta anche l’applicazione della pena accessoria a durata fissa.

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Pubblicato il 8 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Concordato in Appello: la Cassazione ne Definisce Portata e Limiti

L’istituto del concordato in appello, reintrodotto dalla legge n. 103/2017, rappresenta uno strumento processuale di grande rilevanza pratica. Con la recente ordinanza n. 12282/2024, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi sui suoi effetti, chiarendo i confini del potere decisionale del giudice di secondo grado. La decisione sottolinea come l’accordo tra le parti limiti la cognizione della Corte d’Appello, escludendo l’obbligo di motivare su cause di proscioglimento relative a motivi rinunciati.

I Fatti di Causa

Due soggetti, condannati in primo grado dal Tribunale per un reato contro il patrimonio (riqualificato come furto in abitazione ex art. 624-bis c.p.), proponevano appello. In sede di giudizio di secondo grado, le parti raggiungevano un accordo sulla rideterminazione della pena, ai sensi dell’art. 599-bis del codice di procedura penale. La Corte d’Appello di Roma, accogliendo l’accordo, riformava parzialmente la sentenza di primo grado, riducendo la pena inflitta.

Nonostante l’accordo, gli imputati ricorrevano per Cassazione, sollevando diverse censure:
1. Entrambi lamentavano la mancata motivazione in ordine a una possibile causa di proscioglimento immediato, come previsto dall’art. 129 c.p.p.
2. Uno dei due ricorrenti contestava l’applicazione della pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici.
3. Lo stesso ricorrente eccepiva vizi relativi al riconoscimento della recidiva.

L’ambito del concordato in appello e i poteri del giudice

Il fulcro della decisione della Suprema Corte risiede nella disamina del primo motivo di ricorso. I giudici di legittimità hanno ribadito un principio consolidato: quando si accede al concordato in appello, l’imputato rinuncia a parte dei motivi di impugnazione. Questo atto di rinuncia produce un effetto devolutivo limitato: la cognizione del giudice d’appello si restringe ai soli motivi che non sono stati oggetto di rinuncia.

Di conseguenza, il giudice non è tenuto a motivare sul perché non abbia prosciolto l’imputato per una delle cause indicate nell’art. 129 c.p.p. (ad esempio, perché il fatto non sussiste o l’imputato non lo ha commesso). L’accordo tra le parti preclude questa valutazione, concentrando il giudizio esclusivamente sulla corretta quantificazione della pena concordata.

La questione delle pene accessorie

Interessante è anche la statuizione sul secondo motivo di ricorso, relativo alla pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici. La Corte d’Appello aveva applicato la misura temporanea per la durata fissa di cinque anni. Il ricorrente sosteneva che la durata avrebbe dovuto essere determinata in concreto dal giudice, richiamando una nota sentenza delle Sezioni Unite.

La Cassazione ha giudicato il richiamo non pertinente. Ha chiarito che, nel caso di specie, trova applicazione l’art. 29 del codice penale, il quale prevede una durata fissa di cinque anni per l’interdizione temporanea quando la pena principale inflitta è superiore a tre anni di reclusione. Non vi era quindi spazio per una valutazione discrezionale da parte del giudice, a differenza dei casi in cui la legge prevede un minimo e un massimo edittale per la pena accessoria.

Le motivazioni

La Corte di Cassazione ha dichiarato tutti i motivi di ricorso manifestamente infondati, portando all’inammissibilità dell’impugnazione. La motivazione principale si fonda sulla natura stessa del concordato in appello. Questo istituto, basato su un accordo processuale, implica una rinuncia implicita a far valere determinate censure. L’effetto devolutivo proprio dell’impugnazione viene così circoscritto, e il giudice non può né deve pronunciarsi su questioni che esulano dai punti non rinunciati.

Per quanto riguarda la recidiva, la Corte ha sottolineato come lo stesso ricorrente avesse ammesso nel suo atto che tale questione era stata oggetto di “ratifica dell’accorso sanzionatorio”, confermando la sua inclusione nell’accordo e la conseguente rinuncia a contestarla.

Le conclusioni

L’ordinanza in esame consolida l’interpretazione degli effetti del concordato in appello. La scelta di questo rito processuale comporta una precisa assunzione di responsabilità da parte della difesa, che accetta una definizione più rapida del processo in cambio di una pena certa, rinunciando però a far valere tutti i potenziali motivi di doglianza. Per i professionisti del diritto, questa pronuncia ribadisce la necessità di valutare attentamente i pro e i contro dell’accordo, illustrando chiaramente al proprio assistito le conseguenze della rinuncia a specifici motivi di appello. La decisione del giudice d’appello, in questi casi, si concentrerà unicamente sulla congruità dell’accordo, senza estendersi a una rivalutazione completa del merito della vicenda processuale.

Quando si sceglie il concordato in appello, il giudice deve comunque valutare se l’imputato debba essere assolto?
No. La Cassazione chiarisce che, a seguito della richiesta di concordato, la cognizione del giudice è limitata ai motivi non oggetto di rinuncia. Pertanto, non deve motivare sul mancato proscioglimento per le cause previste dall’art. 129 del codice di procedura penale.

Come viene determinata la durata della pena accessoria dell’interdizione temporanea dai pubblici uffici?
Se la condanna alla reclusione è superiore a tre anni, l’art. 29 del codice penale prevede una durata fissa di cinque anni per l’interdizione temporanea. In questo caso, il giudice la applica senza ulteriore discrezionalità, a differenza delle ipotesi in cui la legge stabilisce una forbice edittale.

Cosa succede ai motivi di appello a cui si rinuncia con il concordato in appello?
I motivi a cui si rinuncia escono dall’ambito di valutazione del giudice d’appello. Nel caso di specie, il motivo relativo alla recidiva è stato considerato oggetto di rinuncia implicita nell’accordo e quindi non è stato esaminato nel merito dalla Corte.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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