Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 20300 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 20300 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 16/04/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a Lecce il 01/08/1971 COGNOME NOME nato a Lecce il 15/05/1996 COGNOME NOME nato a Lecce il 20/01/1999 COGNOME NOME, nato a Lecce il 18/08/1987 COGNOME EnzoCOGNOME nato a Lecce il 03/11/1985
avverso la sentenza del 10/06/2024 della Corte d’appello di Lecce; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità
di tutti i ricorsi;
udito l’a vvocato NOME COGNOME del Foro di Lecce difensore di fiducia di NOME COGNOME e quale sostituto processuale dell’avvocato NOME COGNOME del Foro di Brindisi, difensore di fiducia di COGNOME insiste per l’ accoglimento dei motivi del proprio ricorso, ai quali si riporta, e di quello del collega.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Lecce, parzialmente riformando la decisione del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Lecce, adottata a conclusione di un giudizio abbreviato, ha confermato le condanne di COGNOME NOME per i reati ex artt. 416bis cod. pen. (capo 1), 81, comma 2, 110, 416 bis .1 cod. pen. e 1, 2 e 4 legge 2 ottobre 1967 n. 895 (capo 11), 110 cod. pen., 416 bis .1 e 648 cod. pen. (capo 12), 110 e 416 bis .1 cod. pen. cod. pen., 73, comma 4, d.P.R. 9 ottobre 1990 n.309 (capo 31) ─ di NOME ─ per i reati ex artt. 416bis cod. pen. (capo 1), 81, comma 2, 416 bis .1 . 56 e 629 (capo 3), 81, comma 2, 110, 416 bis .1 cod. pen. ex lege 2 ottobre 1967 n. 895 (capi 8, 12, 14 e 15), 110 e 416 bis .1 cod. pen. cod. pen., 73, comma 1 (capi 30 e 36) e comma 4 (capi 51 e 53) d.P.R. 9 ottobre 1990 n.309 ─ di NOME COGNOME per il reato ex artt. 81, comma 2, 110 e 416 bis .1 cod. pen. cod. pen., 73, comma 1, d.P.R. 9 ottobre 1990 n.309 (capo 33) ─ di NOME Nicola ─ ex artt. 61 n. 11quater , 110, 582 585 e 416 bis .1 cod. pen. (capo 4), 74, commi 2 e 4 d.P.R. n.309/1990 e 416 bis .1 cod. pen. (capo 21), 61 n. 11quater , 110 cod. pen. e 73, comma 1, d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309 416 bis .1 cod. pen (capi 22, 23 e 28) ─ e di Quaranta Enzo ─ ex artt. 110, 416 bis .1 cod. pen. e 4 legge 2 ottobre 1967 n. 895 (capo 13), 110, 416 bis .1 cod. pen. 2, e 7 legge 2 ottobre 1967 n. 895 , 23 comma 3, legge 1975 n. 110 e 416 bis .1 cod. pen. (capo 16) e 110, 648, 416 bis .1 cod. pen. (capo 17). Tuttavia, come concordato dalle parti, ha ridotto le pene a COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, anche concedendo le circostanze attenuanti generiche prevalenti sulle aggravanti per COGNOME e equivalenti alle aggravanti per COGNOME .
Con i ricorsi presentati dai loro difensori gli imputati chiedono l’annullamento della sentenza.
2.1. Nel ricorso di NOME COGNOME con un unico composito motivo si deducono violazione di legge e vizio della motivazione nei termini che seguono.
Si assume che la sentenza della Corte di appello non si è limitata a integrare la motivazione della sentenza di primo grado, ma l’ha sostanzialmente riformulata, per superare le eccezioni sollevate nell’atto di appello, senza, comunqu e giustificare l’ affermazione delle responsabilità del ricorrente.
Si osserva che ─ come già evidenziato nell’atto di appello ─ il Giudice del primo grado aveva travisato l’ elemento di prova costituito dalle dichiarazioni eteroaccusatorie del collaborante con l’Autorità giudiziaria NOME COGNOME nelle quali sono indicati i partecipi della organizzazione criminale ma NOME COGNOME non è menzionato (p. 9 del ricorso).
Si adduce che anche i contenuti delle conversazioni intercettate, sui quali la Corte d’appello ha inteso fondare la responsabilità di COGNOME (p. 41 della sentenza), non consentono di concludere che il «NOME» menzionato nelle conversazioni sia NOME COGNOME.
Si argomenta che fallacemente la Corte di appello ha ritenuto che la detenzione illecita di sostanza stupefacente oggetto del capo 31) delle imputazioni, «anche ai fini della custodia della stessa, come si desume dalle conversazioni riportate in riferimento al capo 31)» costituisca prova della partecipazione alla associazione per delinquere ex art. 416bis cod. pen. (p. 53 della sentenza), oltretutto trascurando che, al momento della celebrazione del giudizio abbreviato, COGNOME non era più imputato di partecipazione alla associazione per delinquere ex art.74 d.p.r. n. 309/1990 oggetto del capo 21), concorrente con quella oggetto del capo 1), né dei reati di detenzione di armi da guerra oggetto dei capi 14) e 15).
Si rimarca che la Corte di appello ha ritenuto di superare le valutazioni ─ incentrate sulla scarsa fiducia di cui COGNOME godeva da parte di NOME e NOME COGNOME ─ che condussero il Giudice per le indagini preliminari a rigettare la richiesta di misura cautelare relativamente al reato oggetto del capo 21) adducendo, con una valutazione meramente congetturale, che in realtà tale sfiducia riguardava soltanto le sue capacità nel confezionare la sostanza stupefacente.
Si aggiunge che neanche dal riconoscimento della responsabilità per i reati, riguardanti armi, oggetto dei capi 11) e 12), può desumersi la partecipazione del ricorrente alla associazione per delinquere oggetto del capo 1):infatti, dai contenuti delle conversazioni intercettate (p. 16-20 del ricorso) non può trarsi che egli abbia svolto attività illecite, anche perché le stesse per la loro scarsa comprensibilità (sono numerosi gli ‘ incomprensibili ‘ presenti nelle trascrizioni) non sono utilizzabili, come già eccepito al Giudice per le indagini preliminari.
Si considera che l’assunto della Corte di appello secondo cui dalle conversazione intercettate con il captatore istallato sul cellulare di COGNOME si desumerebbe che COGNOME custodì armi a casa sua non è fondato su sufficienti elementi, come non è quello concernente la responsabilità di COGNOME per la detenzione illecita di droga oggetto del capo 31), perché che il ricorrente si identifichi con uno dei conversanti non può ritersi provato dal solo fatto che non vi siano altri imputati con il nome «NOME».
Si conclude che, in ogni caso, le condotte (peraltro infondatamente) ascritte a COGNOME non sarebbero di per sé riconducili a una consapevole partecipazione alla associazione per delinquere ex art. 416bis cod. pen. descritta nel capo 1), né
lo è l’ invio di 50 euro a NOME COGNOME nipote del ricorrente, mentre era detenuto per reati comuni.
2.2. Nel ricorso di NOME COGNOME si deducono erronea qualificazione giuridica delle condotte oggetto dei capi 30), 36), 51) e 53) delle imputazioni e illegalità della pena comminata al ricorrente.
Si osserva che ─ nel rideterminare la pena così come concordata dalle parti ─ la Corte di appello, pur valutando le circostanze attenuanti generiche prevalenti sulle circostanze aggravanti «in considerazione del positivo comportamento processuale» e, quindi, per ragioni strettamente soggettive, si è limitata a ridurre la pena soltanto per il reato più grave (capo 1) e, per altro verso, non ha precisato la misura degli aumenti di pena inflitti per la continuazione con i reati satellite (capi 3, 8, 11, 12, 14 15, 30, 36, 51 e 53).
Si adduce che l’effetto estensivo dell’impugnazione, in caso di accoglimento di un motivo di ricorso per cassazione non esclusivamente personale, giova ex art. 587, comma 1, cod. proc. pen., anche agli altri imputati che non hanno proposto ricorso, compresi coloro che hanno concordato la pena in appello, che hanno proposto un ricorso originariamente inammissibile o che al ricorso hanno successivamente rinunciato.
2.3. Nel ricorso di NOME COGNOME si deducon o violazione dell’art. 271 cod. proc pen. e vizio della motivazione relativamente alle utilizzazione delle conversazioni ambientali intercettate con il decreto n. 1042/19 nel periodo dal 26/08/2019 al 15/09/2019 e con il decreto n. 1464/2018 R.I.
Si assume che il decreto del 21/08/2019 con il quale il Giudice per le indagini preliminari autorizzò la proroga delle intercettazioni riguardò esclusivamente le intercettazioni di conversazioni e comunicazioni telefoniche, ma non anche quelle ambientali.
Si osserva che sulla relativa eccezione si è pronunziata la sentenza di primo grado, ma non si è pronunciata quella della Corte di appello che si è limitata riassumere la questione (p. 18 della sentenza impugnata).
2.4. Il ricorso di NOME COGNOME è articolato in due motivi
2.4.1. Con il primo motivo, dopo avere richiamato i principi normativi e i precedenti della giurisprudenza circa la deducibilità di vizi della sentenza relativa alla determinazione della pena nel caso di concordato in appello, evidenzia l’assenza di motivazione circa il disconoscimento della fattispecie ex artt. 73, comma 5 e 74, comma 6, d.P.R. n.309/1990.
2.4.2. Con il secondo motivo di ricorso si deducono violazione di legge e vizio della motivazione nel riconoscere le circostanze attenuanti generiche equivalenti alle circostante aggravante si rimarca che nella sentenza impugnata (p.37) è
specificato che nella sentenza di primo grado è, stata applicata la recidiva mentre così non risulta essere stato.
2.5. Nel ricorso di NOME COGNOME si deducon o violazione dell’art. 271 cod. proc pen. e vizio della motivazione relativamente alle utilizzazione delle conversazioni ambientali intercettate con il decreto n. 1042/19 R.I. nel periodo dal 26/08/2019 al 15/09/2019
Si assume che il decreto del 21/08/2019 con il quale il Giudice per le indagini preliminari autorizzò la proroga delle intercettazioni riguardò esclusivamente le intercettazioni di conversazioni e comunicazioni telefoniche, ma non anche quelle ambientali.
Si osserva che sulla relativa eccezione la sentenza di primo grado si è pronunciata, ma erroneamente assumendo che, il Giudice per le indagini preliminari nel menzionare il cellulare Samsung con il codice IMEI, monitorato con decreto 1041/2019 R.I. avrebbe richiamato per intero la prima autorizzazione anche nella parte che comprendeva l’autorizzazione alla captazione ambientale.
Si rileva che sulla eccezione non si è pronunciata la sentenza della Corte di appello, che si è limitata riassumere la questione (p. 18 della sentenza impugnata).
Si adduce che la prova della responsabilità di COGNOME è stata ricavata, come si desume da quanto affermato a p. 39 della ordinanza di custodia cautelare, esclusivamente dai contenuti delle già menzionate intercettazioni, pur essendo queste inutilizzabili.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso di NOME COGNOME ribadisce le argomentazioni già espresse a sostegno dell’atto di appello richiamate nella sentenza impugnata (p. 3-6).
1.1. La Corte di appello ha adeguatamente argomentato (p. 38 ss.) che per i reati in relazione ai quali il Tribunale per il riesame aveva escluso la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza il Pubblico ministero non ha esercitato l ‘ azione penale, sicché tale circostanza «non assume particolare rilievo nel presente giudizio».
1.2. Per quanto riguarda l’ identificazione di COGNOME con il «NOME», che è menzionato nelle conversazioni intercettate e che in alcune di queste è anche interlocutore (sicché ne è stata ascoltata la voce), deve ribadirsi che in tema di intercettazioni telefoniche, quando è contestata l’identificazione delle persone colloquianti, il giudice non deve necessariamente disporre una perizia fonica, ma può trarre il proprio convincimento da altre circostanze ─ quali i contenuti delle conversazioni intercettate; il riconoscimento delle voci da parte del personale della polizia giudiziaria; le intestazioni formali delle schede telefoniche ─ che consentano
di risalire con certezza all’identità degli interlocutori, mentre incombe sulla parte che contesti il riconoscimento l’onere di allegare oggettivi elementi sintomatici di segno contrario (Sez. 5, n. 20610 del 09/03/2021, Rv. 281265; Sez. 2, n. 12858 del 27/01/2017, Rv. 269900 – 01 Sez. 6, n. 13085 del 03/10/2013, dep. 2014, Rv. 259478).
Nel caso in esame la Corte di appello (p. 39-40) non si è limitata a rilevare che non vi sono altri coimputati con il nome «NOME», ma ha considerato (p. 39) che, come risulta dalla scheda di identificazione allegata all’informativa della Polizia giudiziaria, la voce di COGNOME è stata riconosciuta con certezza dagli operanti; inoltre egli è stato riconosciuto fra i soggetti ripresi dalle telecamera installata nella sala-giochi in cui si incontravano gli imputati e, in particolare, la sua foto è stata scattata in occasione dell’incontro del 13/09/2019 con NOME COGNOME e NOME COGNOME in concomitanza delle intercettazioni. Inoltre, la Corte ha puntualmente aggiunto che, per sua parte, la difesa non ha allegato elementi di valutazione di segno contrario (come, per esempio, l’assenza di COGNOME dl territorio di Lecce in quel periodo..).
1.3. Per quanto riguarda la non utilizzabilità, a causa della loro incomprensibilità, delle conversazioni intercettate, la Corte di appello ha ritenuto di integrare (p. 41 ss.) la motivazione della sentenza di primo grado.
La mancanza di motivazione della sentenza appellata non rientra tra i casi, tassativamente previsti dall’art. 604 cod. proc. pen., per i quali il giudice di appello deve dichiararne la nullità e trasmettere gli atti al giudice di primo grado, sicché ben può il giudice di appello, con i suoi poteri di piena cognizione e valutazione del fatto, redigere, anche integralmente, la motivazione mancante, senza che ciò comporti la privazione per l’imputato di un grado del giudizio (Sez. 6, n. 1270 del 20/11/2024, dep. 2025, Rv. 287505; Sez. 6, n. 58094 del 30/11/2017; Sez. 3, n. 9922 del 12/11/2009, dep. 2010, Rv. 246227)
Ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, la struttura giustificativa della sentenza di appello si salda con quella di primo grado, per formare un unico complessivo corpo argomentativo, se il giudice d’appello, esaminando le censure proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli del primo giudice e riferendosi ai passaggi logici della prima sentenza, concordi nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione (Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Rv. 257595; Sez. 1, n. 8868 del 26/06/2000, Rv. 216906).
Né il giudice di appello che, investito di pieni poteri cognitivi e decisori, integri la motivazione mancante della sentenza di primo grado, viola il principio del doppio grado di giurisdizione di cui agli artt. 6 CEDU, 2 del Protocollo addizionale n. 7 CEDU e 14 del Patto internazionale sui diritti civili e politici, perché le modalità di
esplicazione del diritto al riesame delle decisioni di condanna possono essere limitate alla proposizione delle questioni di diritto con il ricorso per cassazione (Sez. 6, n. 30059 del 05/06/2014, Rv. 262397).
Nella sentenza impugnata la Corte di appello ha evidenziato che le conversazioni menzionate nell’atto di appello non solo le sole utilizzabili e ha elencato (p. 42) quelle indicate nella ordinanza cautelare, nonchè nel verbale di perquisizione e sequestro del 25/09/2019.
Sulla scorta dei contenuti di tali conversazioni, ha ricostruito, in termini analitici e circostanziati: la trattativa e gli incontri finalizzati all’ acquisto delle armi (poi rinvenute e sequestrate il 25/09/2019) e l’ inserirsi di NOME COGNOME nella conversazione del 4/09/2019 anche nei momenti in cui si pensava di provare le armi o di modificarle, decidendo poi si soprassedere per il sopraggiungere di un’autovettura con i lampeggianti (p. 42 -43); il prelievo (13/09/2019) di un’arma dal luogo in cui COGNOME l’aveva collocata (p. 44). Da questi elementi di valutazione, la Corte, sulla base di pertinenti massime di comune esperienza, ha desunto la funzione di vigilanza e vedetta svolta da COGNOME (p. 44).
Inoltre, correttamente la Corte di appello ha osservato che la ‘inutilizzabilità’ delle intercettazioni alla quale si riferisce la difesa del ricorrente non è riconducibile a una delle fattispecie ex art. 271 cod. proc pen., ma va intesa, semmai, come attitudine dimostrativa delle intercettazioni e ha rimarcato che solo alcune parti delle conversazioni sono indicate come incomprensibili, mentre i contenuti delle altre parti risultano comprensibili e consentono, con una lettura coordinata e complessiva dei dati, una coerente ricostruzione della vicenda (p. 45).
Su queste basi, senza incorre in manifeste illogicità, ha ravvisato la prova della partecipazione di COGNOME ai reati di ricezione, acquisto, detenzione e porto di armi e di ricettazione delle stesse oggetto dei capi oggetto dei capi 11) e 12) delle imputazioni (p. 45-46).
1.4. Per quanto riguarda la prova della partecipazione di COGNOME alla associazione per delinquere ex art. 416bis cod. per. oggetto del capo 1, la Corte di appello ha osservato che, come correttamente rilevato dall’appellante, il collaborante COGNOME non ha menzionato NOME COGNOME fra i partecipi della associazione (ma suo fratello NOME COGNOME, detto ‘NOME‘, capo della associazione), e che, tuttavia, gli altri dati acquisiti offrono sufficiente prova della responsabilità del ricorrente (p. 49). Al riguardo ha indicato, in termini analitici e circostanziati, diversi elementi di valutazione così riassumibili: la fiducia che NOME COGNOME, dirigente della associazione, ha mostrato di riporre fiducia in lui in occasione della commissione dei reati concernetti le armi (capi 11 e 12); la circostanza che, in presenza del ricorrente nelle conversazioni si parlò anche di presidiare la zona di influenza del gruppo criminale con persone armate a tutti gli ingressi (p. 49); il
ruolo di COGNOME nella vicenda in cui NOME COGNOME decise di utilizzare le armi, custodite da COGNOME, nei confronti del rivale COGNOME, coinvolgendo COGNOME nella programmazione dell’azione intimidatoria (p. 5051); l’invio di 50 euro a NOME COGNOME detenuto per reati comuni, non di iniziativa del ricorrente ma su invito di NOME COGNOME (p. 52); i contenuti delle conversazioni intercettate dai quali si trae la disponibilità di COGNOME a collaborare con il gruppo criminale anche in relazione allo spaccio di sostanze stupefacenti (p. 53), nell’ambito del quale la sfiducia espressa nei suoi confronti ha riguardato soltanto il timore che egli si appropriasse di piccole quantità di sostanza in occasione del confezionamento (eventualità peraltro benevolmente considerata dai correi in considerazione del fatto che NOME COGNOME è il fratello di uno dei capi del gruppo, p. 54); i rapporti di NOME COGNOME con altri partecipi del gruppo (NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME) e il suo ubbidire alle direttive di COGNOME mentre suo fratello NOME COGNOME era detenuto (p. 55).
1.5. Il ricorso in esame non si confronta con l’insieme degli elementi di valutazione che la Corte di appello, senza incorrere in manifeste illogicità, ha posto a base della sentenza impugnata e, pertanto, risulta inammissibile.
Per quanto riguarda i ricorsi di COGNOME NOME, COGNOME Nicola e COGNOME NOME, condannati nel primo grado di giudizio i quali, rinunciando ai motivi diversi da quelli attinti alle sanzioni, hanno formulato richieste di concordato ex art. 599bis cod. proc. pen., munite del consenso del Procuratore generale e concordemente precisate dalle parti nell’udienza del 6/05/2024, si rileva che la Corte di appello ha sviluppato una compiuta disamina delle proposte, richiamandone contenuti (p. 2933) e valutandole alla luce dei principi normativi enucleati dalla giurisprduenza della Corte di cassazione (p. 33-38).
2.1. Alla valutazione dei singoli ricorsi va premesso, in termini generali, che sono ammissibili i motivi del ricorso per cassazione contro la sentenza emessa ex art. 599bis cod. proc. pen., relativi alla formazione della volontà della parte di accedere al concordato, al consenso del pubblico ministero sulla richiesta ed al contenuto difforme della pronuncia del giudice, mentre sono inammissibili i motivi relativi a motivi già rinunciati, alla mancata valutazione delle condizioni di proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen. e, altresì, a vizi attinenti alla determinazione della pena che non si siano risolti nella illegalità della sanzione inflitta, intesa come pena non rientrante nei limiti edittali o diversa da quella prevista dalla legge (Sez. 2, n. 22002 del 10/04/2019).
Inoltre, è inammissibile il ricorso per cassazione, contro la sentenza resa all’esito del concordato sui motivi di appello ex art. 599bis cod. proc. pen., volto a censurare la qualificazione giuridica del fatto, perché l’accordo delle parti circa i
punti concordati implica la rinuncia a sollevare nel successivo giudizio di legittimità ogni diversa questione, anche se relativa a questione rilevabile di ufficio, con l’unica eccezione dell’irrogazione di una pena illegale e questo principio, elaborato con riferimento all’art. 599, comma 4, cod. proc. pen., resta applicabile all’attuale concordato ex art. 599bis cod. proc. pen., che costituisce la sostanziale riproposizione del precedente strumento deflattivo (Sez. 6, n. 41254 del 04/07/2019, Rv. 277196).
2.2. Sulla base di quanto precede, il ricorso di NOME COGNOME risulta inammissibile, perché le argomentazioni che sviluppa non prospettano profili di illegalità della pena, ma concernono questioni relative alla utilizzabilità di alcune delle intercettazioni valorizzate per la prova. Al riguardo, deve ribadirsi che quando le parti hanno, ex art.599, comma 4, cod. proc. pen., concordato sulla determinazione dell’entità della pena, previa rinuncia a tutti gli altri motivi di appello, il giudice dell’appello non ha alcun obbligo di motivare in ordine alle questioni rinunciate riguardanti nullità rilevabili di ufficio e inutilizzabilità di elementi di prova, posto che i motivi con i quali esse sono state dedotte sono stati espressamente oggetto di rinuncia delle parti e, quindi, non essendogli più devoluti, non possono formare oggetto della sua decisione (Sez. 1, n. 16965 del 29/01/2003, Rv. 22424; Sez. 1, n. 20967 del 26/02/2009, Rv. 243546).
2.3. Sulla base di quanto precede, il ricorso di NOME COGNOME risulta inammissibile perché reitera motivi ai quali il ricorrente ha rinunciato nel giudizio di appello e, per altro verso, contiene doglianze generiche.
Il primo motivo, infatti, riguarda il disconoscimento della fattispecie ex artt. 73, comma 5 e 74, comma 6, d.P.R. n.309/1990, vale a dire una questione di qualificazione giuridica del fatto.
Per quanto riguarda il secondo motivo si rileva che il motivo di appello concernente l’ esclusione della recidiva deve ritenersi implicitamente rinunciato con la richiesta di concordato presentata da COGNOME nella quale si chiede il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche equivalenti alla recidiva e all’ ulteriore aggravante e in questi termini la richiesta è accolta nella motivazione della sentenza impugnata (p. 32) come anche nel suo dispositivo, in cui le circostanze attenuanti generiche, son riconosciute «equivalenti rispetto alle aggravanti diverse da quella ex art. 416 bis 1 c.p.».
2.4. Sulla base di quanto precede, il ricorso di NOME COGNOME è inammissibile per le stesse ragioni prima espresse con riferimento alla posizione di COGNOME sub 2.2.
Invece, risulta fondato il ricorso di NOME COGNOME.
È ammissibile, anche a seguito delle modifiche introdotte dall’art. 34, comma 1, lett. f), n. 1, d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, il ricorso per cassazione avverso la sentenza emessa a seguito di concordato in appello, col quale si deduca l’erronea determinazione della pena per vizi di calcolo relativi ai passaggi intermedi (Sez. 2, n. 22487 del 08/05/2024, Rv. 286464).
Nel caso in esame, per Capone la riduzione di un terzo della pena ex art. 442, comma 2, cod. proc pen. è stata operata solo per il reato-base più grave e non anche ─ come è necessario ─ per i reati satellite posti in continuazione , per i quali sono stati riproposti gli aumenti di pena come già indicati dal giudice di primo grado (p. 75 della sentenza di primo grado e p. 35 della sentenza di secondo grado).
Pertanto, la sentenza impugnata va annullata senza rinvio nei confronti di COGNOME per la rideterminazione della pena.
Dalla inammissibilità dei ricorsi di COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME deriva, ex art. 616 cod. proc pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME e dispone trasmettersi gli atti alla Corte di appello di Lecce per l’ulteriore corso. Dichiara inammissibili i ricorsi di COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME Nicola e COGNOME NOME che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così è deciso, 16/04/2025.
Il Consigliere estensore Il Presidente NOME COGNOME COGNOME