Conclusioni Scritte PEC: non basta il copia-incolla per la nullità
L’invio di memorie e conclusioni scritte via PEC è una prassi consolidata nel processo penale, ma quali sono le conseguenze se il giudice d’appello le ignora? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 2998/2024) fa luce su questo punto cruciale, stabilendo un principio chiaro: la nullità della sentenza scatta solo se le conclusioni hanno un contenuto argomentativo autonomo e non sono una semplice fotocopia dell’atto di appello. Analizziamo insieme questa importante decisione.
I Fatti di Causa
Il caso trae origine dalla condanna di un’imputata per il reato di violenza privata tentata. La sentenza di primo grado veniva integralmente confermata dalla Corte d’Appello. Avverso quest’ultima decisione, la difesa proponeva ricorso per cassazione, basando le proprie doglianze su un unico, ma fondamentale, motivo di carattere procedurale.
Il Motivo del Ricorso: L’Omissione delle Conclusioni Scritte PEC
Il difensore sosteneva che la sentenza d’appello fosse affetta da una nullità generale a regime intermedio, ai sensi dell’art. 178, comma 1, lett. c) del codice di procedura penale. Il vizio derivava, secondo la tesi difensiva, dalla mancata valutazione da parte della Corte d’Appello delle conclusioni scritte che erano state inviate tramite Posta Elettronica Certificata (PEC). Questa omissione avrebbe leso il diritto di intervento e di difesa dell’imputato.
La Decisione della Cassazione sulle Conclusioni Scritte
La Suprema Corte ha ritenuto il ricorso manifestamente infondato, dichiarandolo inammissibile. I giudici hanno chiarito che, sebbene l’omessa valutazione di una memoria difensiva possa integrare una nullità, non si tratta di un automatismo. Per far valere il vizio, è necessario che l’atto ignorato costituisca un effettivo esercizio del diritto di difesa.
Le Motivazioni
Il cuore della decisione risiede nella distinzione tra un atto meramente ripetitivo e uno che apporta nuovi elementi alla discussione processuale. La Cassazione, richiamando un suo precedente orientamento (sentenza n. 44424/2022), ha specificato che le conclusioni scritte via PEC devono possedere un “autonomo contenuto argomentativo volto a sostenere le ragioni del gravame”.
Nel caso specifico, un’analisi degli atti ha rivelato che le conclusioni inviate dalla difesa si limitavano a riprodurre pedissequamente quanto già esposto nell’atto di appello. Non aggiungevano nuove argomentazioni, diverse prospettive o ulteriori elementi a supporto delle tesi difensive. Di conseguenza, la loro mancata valutazione da parte della Corte d’Appello non ha comportato alcuna reale compressione del diritto di difesa, poiché il collegio aveva già a disposizione tutti gli argomenti nel corpo dell’impugnazione principale. In assenza di un concreto pregiudizio, non può configurarsi la nullità lamentata.
Le Conclusioni
L’ordinanza in commento offre un’importante lezione pratica per gli avvocati. Le conclusioni finali, anche se inviate telematicamente, non devono essere un semplice riassunto formale, ma un’occasione per rafforzare, approfondire o persino introdurre nuovi profili argomentativi (nei limiti consentiti). Solo in questo modo esse assumono la dignità di un atto difensivo essenziale, la cui omissione da parte del giudice può concretamente viziare la sentenza. In sintesi: per lamentare una violazione del diritto di difesa, bisogna prima averlo esercitato in modo sostanziale e non meramente formale.
Quando l’omessa valutazione delle conclusioni scritte via PEC causa la nullità della sentenza?
Secondo la Corte di Cassazione, l’omessa valutazione causa nullità solo se le conclusioni presentano un autonomo contenuto argomentativo, volto a sostenere le ragioni dell’impugnazione, e non si limitano a ripetere quanto già esposto nell’atto di appello.
È sufficiente che le conclusioni scritte riproducano gli argomenti dell’appello per essere considerate un valido esercizio del diritto di difesa?
No. La Corte ha stabilito che se le conclusioni si limitano a riprodurre quanto già dedotto con l’atto di appello, non costituiscono un effettivo esercizio del diritto di difesa la cui omissione possa determinare una nullità processuale.
Qual è stato l’esito del ricorso nel caso specifico analizzato dalla Corte?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile. Di conseguenza, l’imputata è stata condannata al pagamento delle spese processuali e di una somma di 3.000,00 euro in favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 2998 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 2998 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 22/11/2023
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a PALERMO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 17/01/2023 della CORTE APPELLO di PALERMO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO e CONSIDERATO IN DIRITTO
che, con l’impugnata sentenza, la Corte di appello di Palermo, ha confermato la sentenza di primo grado, con la quale NOME era stata condannata per il reato di violenza priva tentata;
che, avverso la sentenza della Corte di appello, l’imputata ha proposto ricorso pe cassazione, a mezzo del proprio difensore;
che l’unico motivo di ricorso è manifestamente infondato, atteso che l’omessa valutazione delle conclusioni scritte inviate dalla difesa a mezzo PEC integra un’ipotesi di nul generale a regime intermedio per lesione del diritto di intervento dell’imputato, ai sensi dell 178, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., solo se tali conclusioni abbiano un autonomo contenuto argomentativo volto a sostenere le ragioni del gravame, perché solo in tal caso costituiscono effettivo esercizio del diritto di difesa (Sez. 6, n. 44424 del 30/09/2022, Manca, Rv. 28400 che, nel caso in esame, le conclusioni si limitavano a riprodurre quanto dedotto con l’atto appello;
che, pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna dell ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, il 22 novembre 2023
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Il Consigliere estensore
Il Presidente