Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 16688 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 16688 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 03/04/2025
IL FUNZIONARI
SENTENZA GLYPH
NOME sul ricorso proposto da RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE in pe sana di NOME NOME nato a Roma il 25.11.1973; COGNOME NOME nato a Roma il 26.3.1966 quali rappresentanti legali; avverso la ordinanza del 01/10/2024 del tribunale di Roma; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procura generale NOME COGNOME che ha chiesto la dichiarazione di inammissibili del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
COGNOME Con ordinanza di cui in epigrafe, il tribunale del riesame di Rom rigettava la istanza di riesame proposta da RAGIONE_SOCIALE avverso decreto di sequestro preventivo del Gip del medesimo tribunale de 13.6.2024, relativo al reato di cui all’art. 54 1161 cod. nav. ed ineren arenile demaniale.
Avverso la predetta ordinanza ha proposto ricorso RAGIONE_SOCIALE mediante i sue rappresentanti legali, deducendo un unico motivo di impugnazione.
Sarebbe erronea la decisione del tribunale del riesame laddove esclude la sussistenza in capo alla ricorrente di un titolo legittimante l’occupazione dell’area sequestrata, posto il decreto monocratico Presidenziale provvisorio del Tar Lazio del 23.5.2024, che sospendeva il decreto di sgombero della predetta zona, n. 9. del 16.2.2024, della Capitaneria di porto, nonché una determina dirigenziale GLYPH del Comune di Roma del 30.4.2024 ed un provvedimento del ministero delle Infrastrutture e trasporti del 21.5.2024 di sgombero dell’area predetta dai manufatti ivi presenti, così legittimando l’occupazione da parte della ricorrente. Si aggiunge che pur a fronte di successiva sentenza collegiale del Tar Lazio del 25.6.24 che superava nel merito il predetto provvedimento provvisorio monocratico presidenziale dello stesso Tar, comunque il sequestro veniva disposto il 12.6.2024, allorquando persisteva il predetto provvedimento provvisorio legittimante l’occupazione. Di qui l’insussistenza dell’elemento oggettivo del reato e quindi del fumus. Si aggiunge che la società ricorrente, in tale quadro legittimo, avrebbe offerto un servizio di “spiaggia attrezzata” che non compromette, quale mero servizio, la destinazione dell’area all’uso collettivo così da essere accessibile a tutti e non configurare il reato ipotizzato. Sotto tale profilo vi sarebbe chiara distinzione rispetto ad una gestione di uno stabilimento balneare, insussistente. La mancanza di ogni ostacolo alla pubblica fruizione escluderebbe altresì il periculum in mora e piuttosto la misura cautelare causerebbe un pregiudizio all’interesse pubblico. Sarebbe altresì solo apparente la differenza tra spiaggia attrezzata e stabilimento balneare e si ribadisce la sussistenza di titoli concessori tanto che la ricorrente ha corrisposto i canoni demaniali del 2023 . Corte di Cassazione – copia non ufficiale
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è manifestamente infondato. Il tribunale ha evidenziato che la ricorrente, che interviene in questa sede quale terza interessata, è subentrata nella titolarità di una concessione demaniale giunta a scadenza naturale il 31.12.2020, così da non potersi rivendicare alcuna proroga. Con conseguente ordine di sgombero della competente autorità del 31.1.2022 che veniva annullato con sentenza del Tar del Lazio del 16.1.2023 consentendosi che la società permanesse nell’area fino al 31.12.2023. Successivi provvedimenti di
rilascio e sgombero erano oggetto di ricorso dapprima accolto con il citato provvedimento provvisorio Presidenziale del Tar Lazio del 23.5.2024 e quindi respinto nel merito con sentenza del medesimo tribunale amministrativo del 25.6.2024. Ha altresì evidenziato la realizzazione sull’area di numerosi manufatti (per vero ben congeniali, per quanto emerge dalla descrizione, con una gestione di uno stabilimento) ed ha coerentemente superato ogni significativa differenza, ai fini in esame, tra concessione relativa ad uno stabilimento balneare e concessione per spiaggia libera attrezzata, da una parte, sottolineando le contraddizioni della ricorrente che a seconda dei casi ha rivendicato la gestione sull’area di uno stabilimento o piuttosto di una spiaggia attrezzata, dall’altra, sottolineando la necessità, in ogni caso, di un titolo autorizzativo, nello specifico assente e come tale integrante la fattispecie di reato ipotizzata. E perspicua appare la rilevazione per cui l’assenza di valido titolo autorizzatorio, opportunamente evidenziato come non surrogabile con altri provvedimenti, è anche dimostrata dalla circostanza per cui la ricorrente ha versato, all’indomani della citata sentenza del Tar del 16.1.2023, una indennità di occupazione in ragione della ivi conclamata assenza di un valido titolo concessorio. Significativa appare anche la evidenziazione del carattere permanente del reato in questione, che, nel quadro complessivo della qui sunteggiata motivazione – connotata, lo si ripete, del rilievo della assenza di una valida autorizzazione (quale non appare essere, innanzitutto per ben differente competenza, nè la sentenza del 16.1.2023 di mero annullamento di un provvedimento di sgombero ma dichiarativa della assenza di titolo, né la citata decisione provvisoria del Tar subito superata dopo un mese nel merito dallo stesso Tar Lazio) – lascia comprendere come non osti alla misura cautelare contestata, a fronte di un perdurante reato, la mera circostanza di una provvisoria quanto breve sospensione ( che al più potrà essere considerata nel merito sul piano soggettivo e per il limitato periodo di interesse). Su tale ultimo aspetto giova anche aggiungere, per precisare la portata dei rilievi di questa Corte, come emerga, al più, una questione meramente giuridica in ordine alla quale vale il principio per cui il vizio di motivazione, non è configurabile riguardo ad argomentazioni giuridiche delle parti. Queste ultime infatti, come ha più volte sottolineato la Suprema Corte, o sono fondate e allora il fatto che il giudice le abbia disattese (motivatamente o meno) dà luogo solo al motivo di censura costituito dalla violazione di legge; o sono infondate, come nel caso di specie per quanto sopra osservato, e allora che il giudice le abbia disattese (e non in questo caso in ragione di quanto comunque complessivamente emerge dalla intera motivazione) non può dar luogo ad alcun vizio di legittimità della Corte di Cassazione – copia non ufficiale
pronuncia giudiziale, avuto anche riguardo al disposto di cui all’art. 619
comma 1 cod. proc. pen. che consente di correggere, ove necessario, la motivazione quando la decisione in diritto sia comunque corretta (cfr. in tal
senso Sez. 1, n. 49237 del 22/09/2016 Rv. 271451 – 01 COGNOME).
Tale motivazione implica correttamente, come osservato al termine della ordinanza, l’impossibilità di restituire l’area alla ricorrente con conseguente
assenza di sua legittimazione, trattandosi di area demaniale alla stessa non devoluta neppure per valido titolo temporaneo, così da assorbirsi ogni
disquisizione in punto di periculum in mora.
Si ricorda al riguardo, altresì, ma non da ultimo, che in tema di sequestro preventivo, il terzo che affermi di avere diritto alla restituzione della cosa
sequestrata non può contestare l’esistenza dei presupposti della misura cautelare, potendo unicamente dedurre la propria effettiva titolarità o
disponibilità del bene sequestrato e l’inesistenza di relazioni di collegamento concorsuale con l’indagato. (Sez. 6, n. 42037 del 14/09/2016, COGNOME, Rv.
268070 – 01), laddove non si rinviene, per quanto osservato, alcuna legittima titolarità dell’area, né, per vero, emerge alcuna deduzione della buona fede della ricorrente ovvero alcuna assenza di ogni relazione con la condotta di cui alla fattispecie criminale ipotizzata.
Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per la ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che la ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende