Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 20575 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 20575 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 22/03/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME, nato a Fabriano (AN), il DATA_NASCITA COGNOME NOME, nato a Mattinata (FG), il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 27/09/2023 della Corte d’appello di Lecce, Sezione distaccata di Taranto, visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico ministero, in persona del AVV_NOTAIO procuratore generale NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo l’annullamento della sentenza con rinvio alla Corte d’appello di Lecce;
udito per gli imputati l’AVV_NOTAIO che ha insistito nell’accoglimento dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
Con l’impugnata sentenza, la Corte d’appello di Lecce, sezione dist. di Taranto, ha parzialmente riformato la sentenza emessa dal Tribunale di Taranto, rideterminando la pena inflitta a COGNOME NOME e COGNOME NOME, in anni uno e mesi due di arresto, in relazione ai reati di cui agli artt. 110 c.p., 54, 1161 cod. nav. (capo A) e 110 c.p., 137, comma 1, D. Igs. n. 152 del 2006 (capo
C), per aver abusivamente occupato lo spazio del demanio marittimo ed aver effettuato lo scarico in mare di acque reflue industriali in assenza di autorizzazione.
La Corte d’appello di Lecce ha eliminato la pena pecuniaria illegalmente inflitta dal giudice di prime cure in relazione al capo C) e la subordinazione della sospensione condizionale della pena all’adempimento dell’obbligo di risarcimento del danno in favore della parte civile, ai sensi dell’art. 165 cod.pen., ed ha confermato il giudizio di responsabilità penale degli imputati in relazione ai capi A), artt. 110 cod.pen., 54, 1161 cod. nav., perché in concorso tra loro, entrambi quali rappresentanti della RAGIONE_SOCIALE, occupavano arbitrariamente lo spazio del demanio marittimo già oggetto della concessione n. 39 del 2013, scadente il 28 maggio 2018, e capo C) artt. 110 cod.pen., 137 comma 1, D.Igs n. 152 dei 2006 perché in concorso tra loro, nella qualità sopra indicata, effettuavano arbitrariamente lo scarico in mare di acque reflue industriali. In Taranto accertato il 17 maggio 2019.
Avverso la sentenza hanno presentato ricorso gli imputati, a mezzo del difensore di fiducia, e ne hanno chiesto l’annullamento deducendo i seguenti motivi.
2.1. Con il primo motivo di ricorso, la difesa lamenta l’inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità, con riferimento agli artt. 23 bis d.l. n. 137 del 2020, conv. con la I. n. 176 del 2020, artt. 178 cod. proc. pen. Nullità della sentenza.
Argomentano i ricorrenti che il giudice di appello avrebbe erroneamente proceduto alla trattazione del processo senza l’intervento delle parti ex art. 23 bis d.l. 137/2020, omettendo di considerare la richiesta di discussione orale contenuta nell’atto di appello.
Peraltro, la difesa avrebbe appreso dell’inammissibilità dell’istanza proposta – per violazione delle modalità di presentazione – soltanto con la motivazione della sentenza impugnata, in quanto dal decreto di citazione a giudizio non sarebbe stato possibile ricavare alcun elemento in ordine al fatto che l’udienza sarebbe stata non partecipata, per inammissibilità dell’istanza di trattazione orale precedentemente avanzata.
Pur volendo ammettere che la modalità di presentazione utilizzata non fosse aderente al dettato normativo, prosegue la difesa, tale violazione non sarebbe sanzionata con l’inammissibilità e, in ogni caso, s’imporrebbe una lettura costituzionalmente orientata della normativa in parola che comporterebbe l’accoglimento dell’istanza.
2.2. Con il secondo motivo, la difesa lamenta la mancata assunzione di prove decisive nonché il vizio di motivazione con riferimento ad una pluralità di passaggi motivazionali del provvedimento impugnato.
In primo luogo, con riguardo al rigetto della richiesta di escussione dei testimoni COGNOME, COGNOME e COGNOME, laddove il giudice di appello avrebbe ritenuto che tale richiesta non fosse connotata dai requisiti di cui all’art. 603 cod. proc. pen.
Si trattava, invero, di tre ufficiali di polizia giudiziaria, tre testimo inizialmente ammessi e poi revocati, che avrebbero dovuto deporre sulle indagini svolte in ordine ai rapporti esistenti tra la parte civile, gli ufficiali di po giudiziaria delegati e i funzionari del demanio, chiamati a valutare l’istanza di rinnovo della concessione proposta da RAGIONE_SOCIALE Attraverso la loro deposizione, la difesa intendeva dimostrare che i ritardi della Pubblica Amministrazione tarantina, tanto in ordine alla ignorata istanza di rinnovo della concessione demaniale quanto in ordine a quella per lo scarico delle acque reflue, erano riconducibili ad un sodalizio tra pubblici ufficiali e diversi soggetti interessati a vario titolo alla concessione di RAGIONE_SOCIALE
Peraltro, secondo la difesa, non sarebbe condivisibile la tesi sostenuta dal giudice di appello secondo cui i presunti abusi patiti dagli imputati in relazione ai rinnovi avrebbero dovuto essere accertati in altra sede, attenendo invece al presente giudizio la prova che gli imputati avessero un legittimo motivo per tutelare la propria azienda dalle condotte illecite di alcuni pubblici funzionari.
– Lo stesso può dirsi, ad avviso della difesa, con riguardo al rigetto della richiesta di escutere il responsabile pro tempore dell’ufficio demanio del Comune di Taranto, attraverso la cui deposizione s’intendeva dimostrare: che quanto accaduto alla concessione di RAGIONE_SOCIALE costituisse un unicum nei comune di Taranto; che l’istanza di rinnovo presentato dalla suddetta RAGIONE_SOCIALE 40 giorni prima della scadenza della concessione fosse legittima; che non vi fossero logiche ragioni per le quali il Comune di Taranto non procedesse con l’emissione dei moduli F24 Elide, a fronte di una già accolta richiesta rateizzazione dei canoni scaduti da parte dell’RAGIONE_SOCIALE.
Sul punto, la Corte d’appello avrebbe erroneamente ritenuto generica ed inutile la deposizione del responsabile dell’ufficio del demanio, reputando sufficiente la mera lettura della motivazione del provvedimento amministrativo sul cui contenuto il testimone avrebbe dovuto essere sentito. Lettura che, peraltro, parrebbe non esservi stata, visto il peso attribuito in motivazione all’omesso pagamento dei canoni scaduti.
– La motivazione sarebbe altresì illogica laddove il giudice di appello non avrebbe riconosciuto la nullità del rigetto della richiesta di termine a difesa ed avrebbe rigettato, altresì, la richiesta di rinnovazione istruttoria al fine di escutere il responsabile del procedimento di concessione della AUA della RAGIONE_SOCIALE, quale concessionaria confinante con quella di RAGIONE_SOCIALE, costituitasi parte civile nel presente giudizio. Si tratterebbe, ad avviso della difesa, di una prova
decisiva al fine di dimostrare l’inesistenza del danno patrimoniale asseritamente patito dalla parte civile.
L’illogicità della motivazione si rinverrebbe altresì con riguardo al rigetto della richiesta di rinnovazione istruttoria al fine di produrre documenti utili a dimostrare che il contratto di affitto tra le due RAGIONE_SOCIALE non aveva avuto esecuzione al momento degli accertamenti e che la presenza in loco del COGNOME fosse legata a questioni commerciali.
Ad avviso dei ricorrenti, la motivazione addotta dal giudice di appello in ordine alla fittizietà del contratto di affitto troverebbe fondamento su una pluralità di presupposti errati: (i) in primo luogo, il carattere irrisorio del canone previsto nel contratto di affitto dell’azienda, che ammonterebbe, in verità, ad euro 36.000,00 e non 3.000,00 come erroneamente riterrebbe la Corte d’appello; (ii) in secondo luogo, la mancata previa attivazione della domanda di subingresso nella concessione, presupposto che sarebbe smentito dallo stesso dato normativo, l’art. 46, comma 2, Cod. Nav., in forza del quale il contratto di affitto precederebbe necessariamente la domanda di subingresso; (iii) in terzo luogo, la presenza in loco del COGNOME in data 07/06/2019 al momento del controllo e del sequestro, che, lungi dal costituire un indizio in ordine al ruolo di gestore di fatto della RAGIONE_SOCIALE rivestito dallo stesso, si giustificava in forza di un formale invito degli agenti della Guardia di Finanza; (iv) infine, con riguardo all’ultimo presupposto, l’avvicendamento nella carica apicale in tempi coincidenti con la stipula del contratto, la difesa rileva come, in realtà, non vi sarebbe stato un avvicendamento reciproco, ma sarebbe stata posta in essere da parte del COGNOME una mera exit strategy nei confronti dei propri soci e congiunti in vista del pensionamento imminente. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
– Un ulteriore passaggio motivazionale contraddittorio ed illogico censurato dalla difesa sarebbe quello relativo all’elemento psicologico della contravvenzione di cui all’art. 1161 cod. nav. Sul punto, la Corte territoriale, per un verso, condividerebbe la tesi della necessaria consapevolezza di occupare abusivamente l’area demaniale, per altro verso, sosterrebbe l’esistenza di una condotta «quantomeno colposa», in ragione della sussistenza di un dovere di presentazione dell’istanza di rinnovo tre mesi prima della scadenza e della mancata presentazione della richiesta di rilascio della concessione provvisoria.
A parere della difesa, la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE avrebbe richiesto il rinnovo della concessione quaranta giorni prima della sua scadenza nonché l’autorizzazione all’eventuale contestuale anticipata occupazione. Tali procedimenti amministrativi – in assenza di interferenze esterne – avrebbero dovuto concludersi entro 30 giorni, e quindi prima della scadenza.
A nulla varrebbe, sostiene il ricorrente, la tesi sostenuta dalla Corte tarantina secondo cui la richiesta di rinnovo sarebbe stata legittima soltanto se
presentata tre mesi prima della scadenza. Il diritto di richiedere il rinnovo della concessione, disciplinato dal Codice della navigazione, dal relativo regolamento esecutivo e dalla legge regionale n. 17 della 2015, non potrebbe essere limitato dalle condizioni pattizie della concessione. Il termine fissato nel provvedimento concessorio, pertanto, dovrebbe ritenersi meramente ordinatorio, in quanto fissato nell’interesse della sola amministrazione procedente e non previsto per legge (Cfr. CdS, Sez. VI, n. 993 del 18/01/2011).
L’illogicità del passaggio motivazionale in esame risulterebbe ancor più manifesta laddove si consideri che il giudice di appello, a fronte del riconoscimento della responsabilità degli imputati a titolo doloso in primo grado, avrebbe dovuto procedere ad un’attenuazione di pena in relazione all’affermazione di responsabilità degli stessi «quantomeno a titolo colposo».
Quanto alla responsabilità degli imputati in ordine al capo c), la motivazione del provvedimento impugnato sarebbe censurabile laddove la Corte tarantina, da un lato, avrebbe superato le valutazioni del consulente tecnico di parte, AVV_NOTAIO COGNOME, attraverso l’utilizzo di indimostrate conoscenze personali in tema di impianti di acquacoltura di tipo RAS, ritenendo irragionevolmente che lo scarico in esame non potesse rientrare nella categoria degli scarichi assimilati ai domestici, estranea al reato di cui all’art. 137 del Codice dell’ambiente, ma rientrasse in quella degli scarichi industriali; dall’altro, avrebbe omesso di valutare alcuni aspetti tecnico-giuridici della sua deposizione.
Peraltro, sostiene la difesa, a fronte della prova tecnica da essa fornita in ordine alla riconducibilità dell’impianto di RAGIONE_SOCIALE – esistente al momento del sequestro – alla categoria degli scarichi assimilati ai domestici, non sarebbe ammissibile sostenere, in assenza di prove, l’esistenza di una modifica dello scarico negli anni precedenti al sequestro, senza fornire alle parti il diritto di interloquire sul punto.
Ancora, sul reato di cui al capo C), ed in particolare sul carattere abusivo dello scarico, la motivazione della sentenza impugnata sarebbe illogica e contraddittoria, nonché parziale ed errata nella ricostruzione dei fatti e nell’applicazione della legge penale.
A parere della difesa, il carattere abusivo non potrebbe essere meramente legato al dato formale della scadenza dell’autorizzazione concessa, a fronte di ulteriori elementi della condotta imputabile all’RAGIONE_SOCIALE, suscettibili di valutazione, quali: l’attivazione in tempi ragionevoli per il rinnovo dell’autorizzazione di uno scarico identico a quello precedentemente assentito; le numerose istanze di sollecito per la conclusione del relativo procedimento amministrativo; la richiesta e il successivo svolgimento di controlli delle acque, a cadenza annuale da parte di RAGIONE_SOCIALE e a cadenza bimestrale da parte di RAGIONE_SOCIALE; la comunicazione degli esiti di tali controlli alla Provincia di Taranto, quale
ente preposto ai suddetti controlli ed in grave ritardo nell’evasione della pratica; la consapevolezza dello scarico in mare di un’acqua microbiologicamente migliore di quella prelevata; l’intento del soggetto agente di tutelare l’azienda e i posti di lavoro da un danno ingiusto.
Alla luce di tali elementi, la motivazione addotta dal giudice di appello risulterebbe illogica e contraddittoria nella parte in cui sostiene che gli imputati avrebbero volontariamente creato una situazione di illiceità o irregolarità, tale da non consentire il controllo da parte degli organi competenti.
La motivazione del provvedimento impugnato sarebbe altresì illogica e contraddittoria laddove il giudice di appello ha escluso la sussistenza della scriminante di cui all’art. 54 cod. pen., anzitutto, in ragione del fatto che gli eventuali abusi e soprusi patiti dagli imputati avrebbero dovuto essere prospettati alle competenti autorità, non potendosi configurare lo stato di necessità nel caso in cui il soggetto che lo invochi possa sottrarsi alla minaccia ricorrendo alla protezione dell’autorità; in secondo luogo, in ragione del fatto che gli imputati avrebbero concorso a dar causa alla situazione alla quale poi hanno inteso sottrarsi, presentando l’istanza di rinnovo della concessione demaniale oltre il termine ultimo ed essendo rimasti morosi nei tre anni precedenti.
A parere della difesa, nel corso dei giudizi di merito non gli sarebbe stato consentito dimostrare tali abusi e soprusi, sui quali, peraltro, avrebbero dovuto deporre i tre carabinieri, di cui era stata chiesta l’audizione.
Quanto al secondo profilo, la Corte avrebbe omesso di valutare l’accoglimento dell’istanza di pagamento rateizzato dei canoni scaduti e comunque non si coglierebbe il nesso di causalità tra la tardività dell’istanza ed i soprusi lamentati dagli imputati.
La motivazione sarebbe carente ed illogica anche con riguardo al rigetto della richiesta di oblazione per il reato di cui al capo A), erroneamente ed irragionevolmente fondato sulla permanenza delle conseguenze dannose o pericolose del reato e sulla mancata corresponsione dei canoni scaduti.
Quanto al primo elemento valorizzato dal giudice di appello, la difesa evidenzia come al momento della richiesta di oblazione, l’area in concessione fosse sottoposta a sequestro già da oltre due anni. Quanto al secondo elemento, la difesa evidenzia, da un lato, che i canoni scaduti farebbero riferimento al periodo di occupazione lecita, non potendo pertanto rientrare nelle conseguenze dannose o pericolose del reato, determinatesi a seguito della scadenza della concessione; dall’altro lato, che RAGIONE_SOCIALE si sarebbe attivata già dal 2018 per il pagamento dei suddetti canoni, a fronte della mancata predisposizione, da parte del Comune di Taranto, dei modelli F24 TARGA_VEICOLO per poter effettuare il pagamento rateizzato.
Infine, quanto alla valutazione della gravità del fatto operata dal giudice di appello, la difesa lamenta il carattere parziale di tale valutazione a fronte dei profili evidenziati nel motivo di gravame e del tutto pretermessi dal giudice di seconde cure (la complessa vicenda amministrativa, la novella normativa giustificata dalla non chiara precedente formulazione, la condotta degli imputati, le torbide vicende legate alla richiesta di rinnovo della concessione).
La difesa censura il vizio di motivazione anche con riguardo al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, del minimo della pena e della particolare tenuità del fatto.
Più in particolare, la motivazione sarebbe carente allorquando omette di valutare gli elementi positivi rappresentati dalla difesa, limitandosi a valorizzare gli elementi negativi; la stessa sarebbe apparente laddove fonda il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche sulla base della «gravità della condotta»; sarebbe, inoltre, illogica laddove ritiene irrilevante l’incensuratezza dell’imputato COGNOME.
A ciò si aggiungerebbe, a parere della difesa, l’irragionevole svalorizzazione di un dato emerso in dibattimento, ossia il carattere non inquinante dello scarico delle acque reflue, se non addirittura la capacità di restituire al mare un’acqua di qualità migliore di quella prelevata.
Quanto al mancato riconoscimento della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen., la motivazione adotta dal giudice di appello sarebbe carente ed illogica, vòlta a liquidare frettolosamente la richiesta avanzata tanto per il COGNOME quanto per il COGNOME, sia per il reato di cui al capo A) che per il reato di cui al capo C).
Infine, la difesa censura il vizio di motivazione con riguardo al riconoscimento del danno patrimoniale subìto dalla parte civile.
Quanto al reato di cui al capo A), ad avviso del ricorrente, non sarebbe neppure concepibile la produzione di un danno al vicino confinante come conseguenza del reato di occupazione abusiva dello spazio demaniale, e, in ogni caso, non vi sarebbe alcuna prova.
Quanto al reato di cui al capo C), la difesa rileva come la RAGIONE_SOCIALE non avrebbe potuto patire alcun danno come conseguenza dello scarico abusivo, a fronte dell’impossibilità della stessa di avviare la produzione ed intrattenere rapporti commerciali sino al 2021, data in cui ha ottenuto l’autorizzazione unica ambientale.
Il Procuratore Generale ha chiesto l’annullamento con rinvio della sentenza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo di ricorso non è fondato.
Occorre muovere dal dettato legislativo e segnatamente dall’art. 23-bis, d.l. 137/2020, conv. in I. 176/2020 (Disposizioni per la decisione dei giudizi penali di appello nel periodo di emergenza epidemiologica da COVID-19) ed in particolare, dal comma 4 che prevede che “La richiesta di discussione orale è formulata per iscritto dal pubblico ministero o dal difensore entro il termine perentorio di quindici giorni liberi prima dell’udienza ed è trasmessa alla cancelleria della corte di appello attraverso i canali di comunicazione, notificazione e deposito rispettivamente previsti dal comma 2. Entro lo stesso termine perentorio e con le medesime modalità l’imputato formula, a mezzo del difensore, la richiesta di partecipare all’udienza”.
A sua volta, richiamato comma 2 così stabilisce: “Entro il decimo giorno precedente l’udienza, il pubblico ministero formula le sue conclusioni con atto trasmesso alla cancelleria della corte di appello per via telematica ai sensi dell’articolo 16, comma 4, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, o a mezzo dei sistemi che sono resi disponibili e individuati con provvedimento del direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati. La cancelleria invia l’atto immediatamente, per via telematica, ai sensi dell’articolo 16, comma 4, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, ai difensori delle altre parti che, entro il quinto giorno antecedente l’udienza, possono presentare le conclusioni con atto scritto, trasmesso alla cancelleria della corte di appello per via telematica, ai sensi dell’articolo 24 del presente decreto”. L’art. 16 del d.l. n. 179/2012, conv. in I. 221/2012 (Biglietti di cancelleria, comunicazioni e notificazioni per via telematica), al comma 4, cos’ recita: “Nei procedimenti civili e in quelli davanti al RAGIONE_SOCIALE forense in sede giurisdizionale, le comunicazioni e le notificazioni a cura della cancelleria sono effettuate esclusivamente per via telematica all’indirizzo di posta elettronica certificata risultante da pubblici elenchi o comunque accessibili alle pubbliche amministrazioni, secondo la normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici. La relazione di notificazione è redatta in forma automatica dai sistemi informatici in dotazione alla cancelleria. ” Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Così ricostruito il quadro normativo si ricava che: l’istanza di discussione orale deve essere presentata entro “il termine perentorio di quindici giorni liberi prima dell’udienza”.
Ciò significa che il termine a ritroso deve essere calcolato dalla udienza e che, dunque, stante il chiaro tenore della disposizione, occorre che l’udienza sia fissata ai sensi dell’art. 601 cod.proc.pen. Dalla data di fissazione dell’udienza decorrono a ritroso i termini per la richiesta di discussione orale. Ne consegue che
non può ritenersi validamente presentata una istanza di trattazione orale contenuta nell’atto di impugnazione.
In secondo luogo, l’istanza deve essere presentata con le modalità previste dal comma 2 che, a sua volta, richiama il disposto di cui all’art. 16 comma 4, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, e dunque per via telematica all’indirizzo di posta elettronica certificata risultante da pubblici elenchi della corte d’appello. Tale previsione si collega, evidentemente, con la disposizione secondo cui l’istanza deve essere presentata entro il termine di quindici giorni prima della data di udienza fissata per la discussione davanti alla Corte d’appello. E sempre in coerenza con il quadro normativo sopra delineato, il decreto di citazione a giudizio in grado di appello, dopo avere fissato l’udienza di discussione così scriveva: «Sia la richiesta di discussione in presenza che eventuali rinunce a comparire, dovranno essere inviate con tempestività e/o nei termini di legge alla seguente email EMAIL».
3. La Corte territoriale ha disatteso la doglianza difensiva, muovendo dal presupposto che «il citato art. 23 bis, co. 2, d.l. cit., prevede che le richieste in parola siano depositate sulle piattaforme a tanto deputate presso la Corte d’appello investita del gravame», e rilevando che, nel caso di specie, «la richiesta di discussione orale era stata formulata nell’atto di appello depositato presso il Tribunale di Taranto che aveva curato la trasmissione degli atti alla Corte di appello, sicché non è stata rispettata la modalità di cui al citato art. 23 bis, co. 2, d.l. cit., con conseguente inammissibilità dell’istanza». (pag. 9 sentenza di appello).
Ora, se è pur condivisibile l’argomentazione difensiva secondo cui non è prevista alcuna causa di inammissibilità, non di meno, non ricorre alcuna nullità della sentenza come dedotto.
La Corte d’appello ha correttamente deciso la causa con il rito cartolare, in assenza di una valida istanza di trattazione orale, sulle conclusioni del Procuratore generale che erano state comunicate ai difensori delle parti, tramite pec in data 18/09/2023. Nessuna lesione del diritto di difesa è stata compiuta. La decisione cartolare, in assenza di valida istanza di discussione orale, è stata corretta, né ricorre nullità della sentenza per lesione del diritto di difesa che discende unicamente dalla mancata comunicazione, in via telematica, al difensore dell’imputato delle conclusioni del Procuratore generale (ex multis, Sez. 2, n. 47308 del 11/10/2023, Rv. 285349 – 01), situazione non ricorrente nel caso in esame.
Il motivo di merito con il quale i ricorrenti deducono la mancata assunzione di prove decisive e l’illogicità e contraddittorietà della motivazione in ordine all’affermazione della responsabilità penale dei ricorrenti, è meramente riproduttivo delle stesse censure già valutate dai giudici del merito e da quei giudici disattese con motivazione diffusa, puntuale e corretta in diritto ed è anche diretto a richiedere una rivalutazione delle prove in chiave diversa da quella operata dai giudici del merito che non è consentito in questa sede.
Anche le censure sul diniego di riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, della causa di non punibilità ex art. 131 bis cod.pen. e sul risarcimento del danno risultano manifestamente infondate.
Procedendo con ordine logico nella disamina della censura – unica e articolata come sopra riassunta ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod.proc.pen., risulta, in primo luogo, manifestamente infondata la doglianza in punto mancata assunzione di una prova decisiva, assunzione testimoniale come articolata nel motivo.
Va premesso che, secondo l’accertamento in punto di fatto non qui rivisitabile, a seguito di una segnalazione di presunta abusive attività di piscicoltura alla località Sabbione di San Vito, su una porzione di demanio marittimo nel quale esercitava la suddetta attività la RAGIONE_SOCIALE cooperativa cui la RAGIONE_SOCIALE aveva ceduto l’azienda, era stata accertata l’occupazione abusiva del demanio marittimo in quanto la concessione atta a consentire l’occupazione era, all’epoca dei fatti, scaduta e non rinnovata. Si trattava’ in particolare della concessione numero 39 del 2013, scaduta il 28 maggio 2018 e mai rinnovata, non potendo la domanda di rinnovo della concessione da parte di COGNOME costituire atto equipollente alla concessione, nonché lo scarico di acque reflue industriali effettuate dall’impianto di pescicoltura privo di autorizzazione originariamente concessa dalla provincia scaduta dal 2013 e, per l’effetto /gli imputati erano condannati per i reati di cui agli artt. 110 cod.pen. e 54-1161 cod. nav. (capo A) e artt. 110 cod.pen. e 137 comma 1, D.Igs n. 152 del 2006 (capo C).
Ciò premesso, va, anzitutto, rilevato che le prove testimoniali di cui si assume la mancata assunzione quale prova decisiva erano state ammesse ai sensi dell’art. 495 cod.proc.pen. e poi revocate ed erano dirette, come espressamente riferiscono i ricorrenti, alla dimostrazione di un complotto ordito ai danni dei ricorrenti da parte di soggetti interessati nel medesimo ambito di attività.
La corte territoriale, investita della richiesta di rinnovazione dell’istruttoria e di riforma dell’ordinanza dibattimentale che aveva revocato i testi COGNOME, COGNOME e COGNOME, ha rilevato dapprima l’assertività circa la sussistenza di un complotto
che, in tesi difensiva, doveva essere smascherato dall’assunzione delle testimonianze ammesse e poi revocate perché superflue e nuovamente richieste in appello in sede di rinnovazione dell’istruttoria, e ha respinto in quanto non necessaria ai fini della decisione la richiesta di rinnovazione dell’istruttoria.
Più in particolare, ha evidenziato, a chiare lettere, la corte territoriale che l’occupazione arbitraria era pacifica dal momento che, all’atto della verifica, la concessione demaniale marittima n. 39 del 2013 era scaduta e non rinnovata, nè poteva ritenersi fondata l’osservazione difensiva a mente della quale al momento del controllo il termine di efficacia della suddetta concessione doveva essere intendersi prorogato di diritto, sino al 31 dicembre 2020, ai sensi dell’articolo 18 comma 1, decreto legge 194 del 2000 e come convertito nella legge n. 25 del 2010.
In particolare, rammentato che la fattispecie di occupazione abusiva punita dall’articolo 1161 del codice della navigazione si realizza quando sia carente un valido titolo concessorio e di conseguenza anche quando la stessa si protragga oltre la scadenza del titolo abilitativo (Sez. 3, n. 16495 del 25/03/2010, COGNOME, Rv. 246773 – 01; Sez. 3, n. 29910 del 23/06/2011, Rv. 250664 – 01), hanno argomentato i giudici territoriali che: 1) doveva essere esclusa l’operatività automatica della proroga del termine della concessione, presupponendo una espressa richiesta da parte del soggetto interessato al fine di consentire la verifica da parte dell’autorità competente dei requisiti per il rilascio del rinnovo che non era sussistente, circostanza non contestata dagli imputati (cfr. pag. 15), che, comunque, non avrebbe potuto operare, in quanto presuppone la regolarità della corresponsione dei canoni dovuti alla data di scadenza (Sez. 3, n. 404 del 14/12/2022, Rv. 283919 – 01); 2) la richiesta di rinnovo della concessione era stata presentata un mese prima della scadenza (aprile 2018), là dove la normativa richiede la presentazione della richiesta tre mesi prima, ma, soprattutto, 3) che non era stata presentata richiesta di rilascio di concessione provvisoria prevista dal regolamento attuativo del codice della navigazione e 4) che il soggetto richiedente era rimasto moroso nel pagamento dei canoni nei tre anni precedenti, da cui la conclusione che l’occupazione protrattasi oltre il termine di scadenza della concessione integrava il reato contestato. Allo stesso modo, anche lo scarico delle acque reflue era privo di autorizzazione perché quella rilasciata era scaduta dal 2013 e mai rinnovata, dovendo il rinnovo essere richiesto un anno prima della scadenza, in assenza dei requisiti per mantenere provvisoriamente lo scarico fino all’adozione del nuovo provvedimento, in mancanza di presentazione tempestiva di domanda di rinnovo.
La decisione della corte territoriale di rigetto della richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale per l’assunzione delle prove testimoniali volte alla dimostrazione di un complotto ai danni degli imputati è corretta difettando del
requisito di decisività delle prove richieste e non ammesse a contrastare gli elementi di accusa posti a base dell’affermazione della responsabilità. In disparte l’osservazione dei giudici del merito che non erano state assunte iniziative giudiziarie, che non sarebbe elemento decisivo, rileva, il Collegio, la correttezza della decisione dei giudici territoriali che sulla scorta dell’accertamento di fatto, come sopra delineato, hanno ritenuto dimostrato che la condotta di occupazione abusiva dopo il termine di scadenza della concessione era conseguente al mancato rilascio di titolo che consentisse l’occupazione per ragioni imputabili unicamente ai ricorrenti (vedi supra).
Sulla base delle stesse ragioni che traggono fondamento dagli accertamenti di fatto come sopra compendiati, la corte territoriale ha correttamente ritenuto integrato il reato di abusiva occupazione di spazio demaniale marittimo, di cui agli artt. 54- 1161 cod. nav., che si configura anche in caso di occupazione protrattasi oltre la scadenza del titolo, a nulla rilevando l’esistenza della pregressa concessione e la tempestiva presentazione dell’istanza di rinnovo (Sez. 3, n. 34622 del 22/06/2011, Rv. 250976 – 01) ritenendo integrato l’elemento materiale, stante la dimostrata protrazione dell’occupazione sine titulo, e la consapevolezza di tale arbitraria occupazione in assenza di un titolo che legittimava la continua occupazione al maturare della scadenza del titolo concessorio (capo A) e del reato di scarico di acque reflue in assenza di autorizzazione, di cui all’art. 137, comma 1 del d.lgs n. 152 del 2006, derivanti dall’attività di pescicoltura nelle acque marine (capo C) non essendo assimilabili alle acque domestiche (su cui vedi infra). Né era prospetta bile la causa di giustificazione dello stato di necessità in assenza dei suoi presupposti applicativi.
7. Sul punto la censura dei ricorrenti che deduce vizio della motivazione là dove la sentenza avrebbe superato le valutazioni del consulente tecnico di parte, AVV_NOTAIO COGNOME, attraverso l’utilizzo di indimostrate conoscenze personali in tema di impianti di acquacoltura di tipo RAS, ritenendo irragionevolmente che lo scarico in esame non potesse rientrare nella categoria degli scarichi assimilati ai domestici, estranea al reato di cui all’art. 137 del codice dell’ambiente, ma rientrasse in quella degli scarichi industriali, risulta anch’essa manifestamente infondata.
L’esclusione della riconducibilità dello scarico in esame nella categoria degli scarichi assimilati ai domestici, ai sensi dell’art. 101, comma 7, del D.Igs n. 152 del 2006, secondo cui l’assimilazione è possibile allorché vi sia una densità di allevamento pari o inferiore al chilogrammo per metro quadrato di specchio d’acqua o in cui venga utilizzata una portata d’acqua pari o inferiore a 50 litri al minuto secondo, che deve essere dimostrata da chi invoca la deroga, era stata argomentata sul rilievo che il dott. COGNOME, consulente delle difese, non aveva elaborato alcun documento scritto ed essendosi limitato ad effettuare tre accessi
all’impianto nel 2022, non era stato in grado di affermare, sulla scorta di elementi oggettivi, che il parametro di ingresso della portata d’acqua fosse rispettato negli anni 2018-2019.
Secondo i giudici del merito, i ricorrenti non avevano adempiuto all’onere dimostrativo di provare che le caratteristiche dell’impianto di piscicoltura, necessario per ritenere applicabile la disciplina derogatoria di assimilazione alle acque reflue domestiche, risultando, al contrario, che tenuto conto delle dimensioni dell’impianto, del numero dei pesci riproduttori e degli avannotti , rivenuti dalla RAGIONE_SOCIALE al momento dell’apposizione dei sigilli e del fatto che i verbalizzanti avevano dato atto che durante il controllo i canali di scolo in maniera continuativa incessante riversavano acque nel mare, era da escludersi l’assimilazione delle sue acque di scarico a quelle domestiche (cfr. pag. 20).
Si tratta di una logica motivazione che, fondata su dati obiettivi ricavati dagli atti e non su elementi conoscitivi personali del giudice, non è sindacabile in questa sede.
In conclusione, tutte le articolate e parcellizzate censure di vizio di motivazione in relazione all’affermazione della responsabilità penale in capo ai ricorrenti appaiono prive di fondamento in quanto manifestamente infondate.
Con logica motivazione i giudici del merito sono pervenuti all’affermazione della responsabilità penale dei ricorrenti per i reati di occupazione arbitraria del demanio marittimo e di scarico di acque reflue industriali senza autorizzazione che, in quanto fondato sui fatti come accertati, non è sindacabile in questa sede.
Va rammentato, infatti, che è consolidato principio, affermato da questa Corte, quello secondo cui la indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di Cassazione essere limitato, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare la esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (ex multis Cass. S.U. n. 6402/97).
Il diniego di riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche è sorretto da adeguata e non manifestamente illogica motivazione.
A pag. 23, i giudici territoriali hanno argomentato l’inesistenza di elementi positivi di valutazione nei confronti dei ricorrenti, e, tenuto conto dell’irrilevanza dello stato di incensuratezza del COGNOME (mentre il COGNOME è soggetto gravato da precedenti penali specifici che già da soli sono sufficienti ad escludere
la mitigazione del trattamento sanzionatorio), hanno valorizzato la gravità dei fatti evidenziando la perdurante occupazione dello spazio demaniale, le criticità riscontrate nell’operazione negoziale di cessione dell’azienda da RAGIONE_SOCIALE alla RAGIONE_SOCIALE, meglio descritte a pag. 22, che facevano apparire del tutto fittizia la cessione, l’entità dello scarico di acque reflue in mare, elementi di valenza preponderante negativa ai fini del riconoscimento delle circostanze di cui all’art. 62 bis cod.pen.
Come questa Corte ha più volte affermato, le circostanze attenuanti generiche hanno lo scopo di estendere le possibilità di adeguamento della pena in senso favorevole all’imputato, in considerazione di situazioni e circostanze che effettivamente incidano sull’apprezzamento dell’entità del reato e della capacità a delinquere dello stesso, sicché il riconoscimento di esse richiede la dimostrazione di elementi di segno positivo (Sez. 3, n. 19639 del 27/01/2012, Gallo e altri, Rv. 252900) nell’ambito dei quali la mera incensuratezza non può costituire una valida ragione per il riconoscimento. Non di meno, il riconoscimento o meno di tale circostanza è un giudizio di fatto che compente alla discrezionalità del giudice, sottratto al controllo di legittimità, in presenza di congrua motivazione.
La censura sul trattamento sanzionatorio che lamenta la mancata determinazione della pena nella misura del minimo edittale è per un verso aspecifico e, per altro verso, manifestamente infondato in presenza di una motivazione resa dai giudici del merito che, sulla scorta dei criteri di cui all’art. 133 cod.pen. (cfr. pag. 24), è pervenuta all’irrogazione della pena inflitta.
10. Per le stesse ragioni di gravità del fatto (vedi supra), i giudici territoriali hanno escluso la particolare tenuità dell’offesa ed hanno congruamente argomentato l’esclusione della causa di non punibilità per la particolare tenuità del fatto ai sensi dell’art. 131 bis cod.pen. (cfr. pag. 21).
11. Infine, nell’accogliere il motivo relativo alla subordinazione della sospensione condizionale della pena al risarcimento del danno in assenza di una sua quantificazione non essendo sufficiente una condanna generica ( S.U. n. 37502 del 2022), non di meno ha confermato la condanna al risarcimento del danno in favore della parte civile RAGIONE_SOCIALE, vicino confinante, danneggiata dalla condotta abusiva di allevamento su un’area senza titolo e con scarico non autorizzato commessa dagli imputati, che avevano continuato a sversare nel medesimo bacino marittimo di sostanze potenzialmente inquinanti tali da limitare inevitabilmente lo svolgimento di analoghe attività da parte di altri nello stesso specchio d’acqua.
12. Si impone il rigetto del ricorso e la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Così deciso il 22/03/2024