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Comportamento abituale: quando esclude la non punibilità

La Cassazione conferma l’inammissibilità del ricorso di un imputato che chiedeva la non punibilità per tenuità del fatto. Il diniego si basa sul suo comportamento abituale, desunto da precedenti condanne per reati della stessa indole. La Corte ribadisce che la presenza di più illeciti è ostativa alla concessione del beneficio, rendendo l’offesa non più ‘tenue’.

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Pubblicato il 27 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Comportamento Abituale: la Cassazione chiarisce i limiti della non punibilità

L’ordinanza n. 3486 del 2024 della Corte di Cassazione affronta un tema cruciale del diritto penale: i confini della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall’art. 131-bis del codice penale. La pronuncia chiarisce in modo netto come il comportamento abituale dell’imputato, desumibile da una pluralità di illeciti, sia un ostacolo insormontabile per l’applicazione di questo beneficio, anche quando i singoli reati potrebbero apparire di lieve entità. Approfondiamo l’analisi di questa importante decisione.

I Fatti del Caso

Un individuo, dopo essere stato condannato nei gradi di merito, ha presentato ricorso in Cassazione. La sua principale doglianza riguardava il mancato riconoscimento della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto. Secondo la difesa, il reato commesso avrebbe dovuto beneficiare dell’applicazione dell’art. 131-bis c.p. La Corte d’Appello, tuttavia, aveva respinto tale richiesta, motivando la decisione sulla base di due elementi principali: la pluralità di condanne precedenti per reati della stessa natura e le specifiche modalità dell’azione, che includevano l’uso di un’arma da taglio per minacciare il responsabile di un supermercato.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando integralmente la decisione dei giudici di merito. I motivi del ricorso sono stati ritenuti manifestamente infondati e, in parte, riproduttivi di censure già sollevate e respinte in appello. La Corte ha colto l’occasione per ribadire i principi consolidati dalla sua giurisprudenza in materia.

Il concetto di comportamento abituale secondo la Cassazione

Il punto centrale della decisione riguarda la nozione di comportamento abituale. La Cassazione ha richiamato l’orientamento delle Sezioni Unite (sentenza Tushaj, n. 13681/2016), secondo cui il comportamento è da considerarsi ‘abituale’ quando l’autore, oltre al reato per cui si procede, ha commesso almeno altri due illeciti.

La Corte ha chiarito che, per questa valutazione, il giudice può fare riferimento a un ampio spettro di elementi, tra cui:
* Condanne irrevocabili.
* Altri illeciti sottoposti alla sua stessa cognizione nello stesso procedimento.
* Reati precedentemente ritenuti non punibili proprio in virtù dell’art. 131-bis c.p.

Nel caso specifico, la pluralità di condanne a carico dell’imputato è stata interpretata come un chiaro segnale di una ‘abituale insofferenza al rispetto delle prescrizioni dell’Autorità’, tale da escludere la natura tenue dell’offesa e, di conseguenza, l’applicazione del beneficio.

La valutazione sulla misura della pena

Anche la seconda censura, relativa alla determinazione della pena, è stata respinta. La Cassazione ha ricordato che la quantificazione della sanzione rientra nella discrezionalità del giudice di merito. Tale valutazione è insindacabile in sede di legittimità, a patto che sia motivata, anche sinteticamente, facendo riferimento ai criteri dell’art. 133 c.p. (gravità del reato, capacità a delinquere) e non sia frutto di mero arbitrio. Nel caso in esame, la pena irrogata, parametrata nella media edittale, è stata ritenuta adeguatamente giustificata.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano su una logica di coerenza e rigore interpretativo. La ratio dell’art. 131-bis c.p. è quella di escludere la punibilità per fatti oggettivamente e soggettivamente di minima importanza, che non destano allarme sociale e non rivelano una particolare pericolosità dell’autore.

Un comportamento abituale, al contrario, delinea un profilo di ‘delinquenza seriale’, seppur potenzialmente di basso livello. Questa serialità dimostra un’inclinazione a violare la legge che è incompatibile con il giudizio di ‘particolare tenuità’. La Corte ha sottolineato che la motivazione dei giudici d’appello era ‘scevra da fratture razionali’ e perfettamente allineata con la granitica giurisprudenza di legittimità. La decisione di dichiarare il ricorso inammissibile è stata quindi una conseguenza diretta, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle ammende.

Le Conclusioni

L’ordinanza in commento offre un importante promemoria sui limiti applicativi della non punibilità per tenuità del fatto. Non è sufficiente che il singolo episodio criminoso sia di per sé lieve; è necessario che anche il profilo complessivo dell’autore sia coerente con un giudizio di non pericolosità. La presenza di precedenti specifici, anche se non ancora passati in giudicato, costituisce un indice fondamentale per il giudice nella valutazione del comportamento abituale, precludendo di fatto l’accesso a un istituto pensato per episodi veramente isolati e occasionali.

Cosa si intende per ‘comportamento abituale’ ai fini dell’esclusione della non punibilità?
Per comportamento abituale si intende la condotta di un soggetto che, oltre al reato per cui si sta procedendo, ha commesso almeno altri due illeciti della stessa indole. Questa pluralità di reati dimostra un’inclinazione a delinquere che impedisce di considerare l’offesa come ‘particolarmente tenue’.

Per valutare il comportamento abituale, il giudice può considerare solo le condanne definitive?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che il giudice può fare riferimento non solo alle condanne irrevocabili, ma anche ad altri illeciti sottoposti alla sua cognizione (ad esempio, nello stesso procedimento) e persino a reati per i quali in passato è già stata concessa la non punibilità ex art. 131-bis c.p.

Perché il ricorso dell’imputato è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché i motivi proposti erano in palese contrasto con la consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione in materia di comportamento abituale. Inoltre, le censure erano una mera riproposizione di argomenti già esaminati e respinti in appello, senza introdurre elementi di novità giuridica.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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