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Comportamento abituale: quando è ostativo?

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 6990/2024, chiarisce i criteri per la valutazione del comportamento abituale ai fini della non punibilità per particolare tenuità del fatto. Nel caso di specie, un ricorso è stato parzialmente accolto: pur respingendo la tesi difensiva sulla valutazione del comportamento abituale (confermando che si considerano anche i reati successivi a quello in giudizio), la Corte ha annullato la condanna per uno dei reati a causa dell’intervenuta prescrizione, rilevata grazie a un valido motivo di ricorso sulla determinazione della pena.

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Pubblicato il 1 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Comportamento Abituale: la Cassazione fa il punto sulla sua valutazione

La recente sentenza n. 6990/2024 della Corte di Cassazione offre un’importante lezione su come il comportamento abituale di un imputato influenzi l’applicabilità della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall’art. 131-bis del codice penale. Questo principio è cruciale per distinguere un’offesa isolata e di lieve entità da una tendenza a delinquere. La pronuncia chiarisce che la valutazione non si ferma al momento del reato, ma si estende all’intera storia criminale dell’imputato, anche successiva.

I Fatti e le Fasi di Giudizio

Il caso trae origine da una condanna a nove mesi di reclusione emessa nei confronti di un individuo per i reati di false dichiarazioni sull’identità personale (art. 495 c.p.) e rifiuto di fornire le proprie generalità (art. 651 c.p.), unificati dal vincolo della continuazione. La condanna, inizialmente pronunciata in primo grado, era stata integralmente confermata dalla Corte d’Appello di Ancona. Insoddisfatto della decisione, l’imputato ha proposto ricorso per Cassazione, affidandosi a due specifici motivi di doglianza.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

La difesa ha articolato il ricorso su due punti principali, entrambi volti a scardinare la decisione dei giudici di merito.

Il Comportamento Abituale e l’Art. 131-bis

Il primo motivo contestava la mancata applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto. Secondo la difesa, la Corte d’Appello aveva erroneamente ritenuto sussistente un comportamento abituale ostativo. Si sosteneva che l’abitualità dovesse essere valutata con riferimento al momento della commissione del reato. All’epoca dei fatti contestati (31 gennaio 2018), l’imputato non aveva alcun precedente penale, poiché le altre condanne erano relative a reati commessi successivamente. Pertanto, mancava la pluralità di reati della stessa indole necessaria a configurare l’abitualità.

La Motivazione sulla Pena per il Reato Continuato

Il secondo motivo denunciava un vizio di motivazione nella determinazione della pena. La difesa lamentava che la Corte d’Appello non avesse esplicitato il calcolo della sanzione, omettendo di indicare la pena base per il reato più grave e l’aumento applicato per il reato satellite, come invece richiesto dalla giurisprudenza di legittimità.

L’Analisi della Corte sul Comportamento Abituale

La Suprema Corte ha dichiarato il primo motivo manifestamente infondato, ribadendo un principio consolidato. Citando un’importante sentenza delle Sezioni Unite (la n. 13681/2016), i giudici hanno confermato che la valutazione del comportamento abituale deve essere condotta al momento della decisione giudiziale. Questo significa che il giudice può e deve tenere conto anche degli illeciti commessi dall’imputato dopo il reato per cui si sta procedendo. La finalità della norma è infatti quella di negare il beneficio a chi dimostri una propensione a commettere reati, indipendentemente dalla sequenza temporale esatta dei fatti.

La Decisione Finale: Annullamento per Prescrizione

Nonostante il rigetto del primo motivo, il secondo è stato ritenuto fondato. La Corte ha riconosciuto che la sentenza d’appello era effettivamente carente nella motivazione sul calcolo della pena per il reato continuato. Questa fondatezza, anche se su un punto puramente formale, ha aperto la porta a una conseguenza decisiva: l’obbligo per la Corte di Cassazione di verificare l’eventuale decorso della prescrizione.

Eseguito il calcolo, la Corte ha accertato che il reato contravvenzionale di cui all’art. 651 c.p. era ormai estinto per prescrizione. Di conseguenza, ha annullato senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente a tale reato.

le motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano su due pilastri. In primo luogo, l’interpretazione teleologica dell’art. 131-bis c.p., che mira a escludere dal beneficio della tenuità del fatto i soggetti che manifestano una serialità nel commettere reati. La valutazione del comportamento abituale non è una fotografia statica al momento del fatto, ma un’analisi dinamica della personalità dell’imputato. In secondo luogo, il principio procedurale secondo cui un ricorso, se non totalmente inammissibile, devolve alla Corte di Cassazione il potere di rilevare d’ufficio cause di estinzione del reato come la prescrizione. La fondatezza del motivo sul vizio di motivazione della pena ha quindi permesso di “salvare” l’imputato dalla condanna per il reato minore, ormai prescritto.

le conclusioni

La sentenza dimostra come anche un motivo di ricorso apparentemente tecnico, come quello sulla motivazione della pena, possa avere effetti sostanziali. Pur vedendosi respinta la tesi principale sul comportamento abituale, l’imputato ha ottenuto un parziale annullamento della condanna e una rideterminazione della pena (ridotta a otto mesi di reclusione) grazie alla prescrizione. La pronuncia riafferma con forza che la valutazione dell’abitualità ai fini dell’art. 131-bis c.p. è onnicomprensiva e guarda all’intera condotta di vita del soggetto, non solo a ciò che ha preceduto il singolo episodio criminoso.

I reati commessi dopo quello per cui si è a processo possono determinare il ‘comportamento abituale’ e impedire l’applicazione della non punibilità per tenuità del fatto?
Sì. La Corte di Cassazione ha confermato, richiamando la giurisprudenza delle Sezioni Unite, che ai fini della valutazione del comportamento abituale si tiene conto anche degli illeciti commessi successivamente al reato in giudizio, poiché la valutazione va effettuata al momento della decisione.

Cosa accade se la sentenza d’appello non motiva in modo specifico il calcolo della pena per un reato continuato?
Questa omissione costituisce un vizio di motivazione. Se il relativo motivo di ricorso non è inammissibile, la Corte di Cassazione è tenuta a esaminarlo e, di conseguenza, a verificare d’ufficio l’eventuale intervenuta prescrizione di uno o più reati.

Perché nel caso esaminato uno dei reati è stato dichiarato estinto per prescrizione?
Poiché il ricorso è stato ritenuto parzialmente fondato (sul vizio di motivazione della pena), la Corte ha potuto esaminare il merito. In questa sede, ha rilevato che per la contravvenzione di cui all’art. 651 c.p. era decorso il termine massimo di prescrizione previsto dalla legge, portando all’annullamento della relativa condanna.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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