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Comportamento abituale: no a tenuità del fatto

La Corte di Cassazione, con ordinanza 22073/2024, ha dichiarato inammissibile un ricorso, ribadendo che il comportamento abituale dell’imputato, desunto dalla commissione di più illeciti della stessa indole, costituisce una presunzione legale che osta in modo tassativo all’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall’art. 131-bis del codice penale.

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Pubblicato il 24 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Comportamento Abituale: Quando Esclude la Tenuità del Fatto?

La recente ordinanza n. 22073/2024 della Corte di Cassazione ribadisce un principio cruciale in materia di non punibilità per particolare tenuità del fatto: la presenza di un comportamento abituale da parte dell’imputato costituisce un ostacolo insormontabile all’applicazione di tale beneficio. La pronuncia chiarisce la natura di presunzione legale assoluta di tale presupposto, limitando la discrezionalità del giudice del merito.

Il Caso Esaminato dalla Corte di Cassazione

Il caso trae origine dal ricorso di un’imputata avverso una sentenza della Corte d’Appello che non aveva concesso il proscioglimento ai sensi dell’art. 131-bis del codice penale. L’unico motivo di doglianza si basava proprio sulla mancata applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto. La Suprema Corte, tuttavia, ha ritenuto il ricorso manifestamente infondato, confermando la decisione dei giudici di merito.

Il Principio del Comportamento Abituale e la Sua Applicazione

Il fulcro della decisione ruota attorno all’interpretazione del presupposto ostativo del comportamento abituale. La Cassazione, richiamando un consolidato orientamento delle Sezioni Unite (sentenza Tushaj, n. 13681/2016), ha specificato che il comportamento è da considerarsi ‘abituale’ quando l’autore, anche in un momento successivo al reato per cui si sta procedendo, ha commesso almeno due illeciti della stessa indole, oltre a quello oggetto del giudizio.

Questa definizione non è un semplice orientamento, ma una vera e propria regola codificata che il giudice è tenuto ad applicare senza margini di manovra.

Le motivazioni della Suprema Corte sulla natura del Comportamento Abituale

La Corte ha sottolineato che la previsione di cui all’art. 131-bis c.p. rappresenta una norma tassativa, una ‘tipizzazione’ dell’abitualità della condotta. In altre parole, il legislatore ha stabilito a priori una presunzione legale: la commissione di una pluralità di reati della stessa indole integra di per sé la nozione di comportamento abituale, senza che sia necessaria un’ulteriore valutazione discrezionale da parte del giudice.

Si tratta di una scelta del legislatore, insindacabile nel merito, che mira a precludere il beneficio della non punibilità a chi dimostra una tendenza a delinquere, anche se attraverso fatti di modesta entità. Il giudice, pertanto, di fronte alla prova di tali precedenti, non può fare altro che prenderne atto e negare l’applicazione della causa di non punibilità.

Le conclusioni e le implicazioni pratiche

Sulla base di queste considerazioni, la Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, condannando la ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria. La decisione conferma con fermezza che la valutazione del comportamento abituale non è una questione di merito lasciata alla sensibilità del giudice, ma un accertamento oggettivo basato sul numero e sulla natura dei precedenti illeciti. Per gli operatori del diritto e per i cittadini, ciò significa che la possibilità di beneficiare della non punibilità per tenuità del fatto è strettamente legata a una condotta pregressa irreprensibile, o quantomeno non caratterizzata da una serialità di condotte illecite omogenee.

Quando un comportamento è considerato ‘abituale’ ai fini dell’esclusione della non punibilità per tenuità del fatto?
Secondo la Corte di Cassazione, il comportamento è abituale quando l’autore, oltre al reato per cui si procede, ha commesso almeno altri due illeciti della stessa indole.

Il giudice può valutare discrezionalmente se la condotta, pur in presenza di più reati, non sia abituale?
No. La previsione del comportamento abituale nell’art. 131-bis c.p. è una presunzione legale tassativa che non lascia margini di discrezionalità al giudice. Si tratta di una valutazione predeterminata dal legislatore.

Qual è stata la decisione finale della Corte di Cassazione nel caso specifico?
La Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, condannando la ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende, poiché il ricorso era manifestamente infondato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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