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Complicità spaccio in famiglia: quando è reato

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di una madre, condannata per complicità nello spaccio di droga del figlio. La Corte ha stabilito che nascondere sostanze stupefacenti e proventi illeciti nella propria stanza, ritardando l’accesso delle forze dell’ordine, non costituisce mera connivenza passiva, ma una vera e propria partecipazione attiva al reato. Questa sentenza chiarisce i confini della complicità spaccio in ambito familiare, sottolineando che azioni concrete a favore dell’attività criminale integrano il concorso di persona nel reato.

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Pubblicato il 3 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Complicità spaccio in famiglia: quando chiudere un occhio diventa reato

La linea di confine tra la semplice consapevolezza di un’attività illecita e una partecipazione penalmente rilevante è spesso sottile, specialmente all’interno delle mura domestiche. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha affrontato un caso emblematico di complicità spaccio, chiarendo quando la condotta di un familiare supera la mera connivenza per diventare un vero e proprio concorso nel reato. La vicenda riguarda una madre condannata per aver aiutato il figlio nella sua attività di spaccio di stupefacenti.

I fatti del caso

La questione nasce dalla condanna, confermata in appello, di una donna alla pena di quattro anni di reclusione e diciottomila euro di multa per concorso in spaccio di stupefacenti. Secondo i giudici di merito, la donna non si era limitata a tollerare l’attività criminale del figlio, ma aveva fornito un contributo attivo e consapevole.

Le prove a suo carico erano plurime e concordanti:

1. Occultamento: La maggior parte della sostanza stupefacente e una cassaforte contenente 4.175 euro in contanti, ritenuti provento dello spaccio, erano stati rinvenuti nella sua camera da letto e nel suo armadio.
2. Ostruzionismo: Al momento del controllo da parte dei Carabinieri, la donna aveva ritardato l’apertura della porta, consentendo a uno dei figli di tentare di disfarsi di parte della droga gettandola nel water.
3. Mancanza di giustificazioni: L’imputata non aveva redditi leciti che potessero giustificare il possesso della somma di denaro ritrovata.

I motivi del ricorso: Connivenza o Complicità spaccio?

La difesa dell’imputata ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su due argomenti principali. In primo luogo, ha sostenuto che la condotta della donna dovesse essere inquadrata come mera connivenza, ovvero una tolleranza passiva non punibile, e non come una partecipazione attiva al reato. In secondo luogo, ha lamentato un “travisamento della prova”, sostenendo che i giudici non avessero valutato correttamente la testimonianza di una persona che, a suo dire, la scagionava.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, rigettando su tutta la linea le argomentazioni difensive. I giudici hanno fornito una motivazione chiara e lineare, ribadendo principi consolidati in materia.

Innanzitutto, la Corte ha sottolineato che il ricorso non presentava critiche specifiche alla sentenza d’appello, ma si limitava a riproporre le stesse tesi già respinte, sollecitando una nuova e non consentita valutazione dei fatti.

Nel merito, la Cassazione ha confermato che gli elementi raccolti delineavano un quadro di piena complicità spaccio. La condotta della donna non era stata passiva. Al contrario, l’aver messo a disposizione la propria stanza per nascondere droga e denaro e l’aver attivamente ostacolato il controllo di polizia costituivano un contributo materiale e morale decisivo all’attività del figlio. Non si trattava di “chiudere un occhio”, ma di agire concretamente per favorire e proteggere l’attività illecita.

Per quanto riguarda il presunto travisamento della prova, la Corte ha ricordato che il suo compito non è rivalutare la credibilità di un testimone, ma solo verificare che il giudice di merito abbia motivato la sua decisione in modo logico e coerente. Nel caso specifico, i giudici d’appello avevano già spiegato in modo dettagliato perché la testimonianza in questione non fosse ritenuta attendibile.

Le Conclusioni: Le Implicazioni della Sentenza

Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale: in materia di reati, soprattutto in contesti familiari, la differenza tra connivenza non punibile e concorso nel reato risiede nell’azione. La semplice conoscenza dell’illecito altrui, senza alcun intervento, potrebbe non essere penalmente rilevante. Tuttavia, quando a questa conoscenza si aggiungono condotte attive, anche se apparentemente minori, come nascondere la refurtiva o depistare le indagini, si oltrepassa il limite e si configura la complicità spaccio. La sentenza serve da monito: fornire un qualsiasi contributo consapevole e volontario a un’attività criminale, anche se commessa da un familiare stretto, comporta una responsabilità penale diretta.

Qual è la differenza tra semplice connivenza e complicità in un reato di spaccio?
La connivenza è una tolleranza passiva dell’illecito, senza fornire alcun aiuto. La complicità, o concorso nel reato, richiede un contributo attivo, materiale o morale, alla realizzazione del crimine. In questo caso, nascondere droga e denaro e ostacolare la polizia è stato ritenuto un contributo attivo e quindi complicità.

Perché il ricorso dell’imputata è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché, secondo la Corte, si limitava a riproporre le stesse argomentazioni già respinte in appello, senza muovere una critica specifica e argomentata alla sentenza impugnata. In pratica, chiedeva una nuova valutazione dei fatti, cosa non permessa nel giudizio di Cassazione.

Nascondere droga o denaro per un familiare è considerato reato?
Sì. Secondo questa sentenza, fornire un luogo sicuro per occultare sostanze stupefacenti o i proventi dello spaccio costituisce un contributo materiale all’attività illecita e integra il reato di concorso in spaccio di stupefacenti, superando la mera connivenza.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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