Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 8473 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 8473 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 14/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a SALERNO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 21/02/2023 della CORTE APPELLO di SALERNO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Salerno ha confermato la sentenza del Tribunale di Salerno del 7 luglio 2022, con cui COGNOME NOME era stata condannata alla pena di anni quattro di reclusione ed euro diciottomila di multa in relazione al reato di cui agli artt. 110 cod. pen., 73, commi 1 e 4, d.P.R. n. 309 del 1990.
La COGNOME ricorre per Cassazione avverso la sentenza della Corte di appello, proponendo due motivi di impugnazione.
2.1. Vizio di motivazione in ordine all’affermazione di responsabilità, in quanto la condotta dell’imputata costituisce un’ipotesi di mera connivenza e non di partecipazione morale e materiale alla condotta criminosa del figlio.
2.2. Travisamento della prova per omessa valutazione del contenuto della testimonianza di COGNOME NOME, che escludeva il coinvolgimento della COGNOME nell’attività di spaccio di stupefacenti; travisamento delle dichiarazioni rese in sede di sommarie informazioni da altri soggetti.
3. Il ricorso è inammissibile.
Con riferimento al primo motivo di ricorso, va premesso che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, è inammissibile il ricorso per Cassazione fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla Corte di merito, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, COGNOME, Rv. 277710; Sez. 5, n. 11933 del 27/01/2005, COGNOME, Rv. 231708).
Si è altresì precisato che è inammissibile il ricorso per Cassazione quando manchi l’indicazione della correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’atto d’impugnazione, atteso che quest’ultimo non può ignorare le affermazioni del provvedimento censurato (Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014, Lavorato, Rv. 259425; Sez. 2, n. 19951 del 15/05/2008, COGNOME, Rv. 240109).
Ciò posto sui principi giurisprudenziali operanti in materia, il ricorso risulta unicamente diretto a sollecitare una non consentita rivalutazione e/o alternativa rilettura delle fonti probatorie, al di fuori dell’allegazione di specifici, inopinabili e decisivi t visamenti di emergenze processuali (Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, COGNOME, Rv. 216260; Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, COGNOME, Rv. 207944) ed in presenza, comunque, di un apparato motivazionale che, nel suo complesso, non si espone a
rilievi di illogicità di macroscopica evidenza (Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794).
La Corte di merito ha fornito una motivazione lineare e coerente, evidenziando i seguenti plurimi elementi probatori a carico della COGNOME: a) il collocamento degli stupefacenti nella stanza dell’imputata; b) il ritardo nell’apertura della porta di accesso ai carabinieri presentatisi per un controllo di P.G., al fine di consentire ad uno dei due figli presenti in casa di disperdere parte della sostanza nel water; c) il rinvenimento nell’armadio della COGNOME di una cassaforte contenente la somma di euro 4.175 in banconote, costituente provento dell’attività di spaccio, non godendo la donna di redditi di natura lecita, nonché, nella camera da letto dei figli, della somma di euro 1.200, indicativa del giro di affari condotto dagli occupanti dell’immobile; d) l’assenza di ragioni per le quali uno dei figli della donna, sebbene trovato in possesso di altra droga e di altro danaro nella sua stanza, avrebbe dovuto occultare la maggior parte di stupefacenti e banconote nella stanza della madre.
La ricorrente si limita a ribadire la propria estraneità alla vicenda in esame, senza confrontarsi con il completo apparato argomentativo della sentenza impugnata, qui sopra sintetizzato. I profili di censura prospettati nel relativo motivo di ricorso sono già stati adeguatamente vagliati con corretti argomenti giuridici dai giudici di merito e non sono stati scanditi da necessaria critica delle argomentazioni poste a base della decisione impugnata.
4. In relazione al secondo motivo di ricorso, vanno premessi i limiti del sindacato di legittimità sulla motivazione dei provvedimenti oggetto di ricorso per Cassazione, delineati dall’art. 606, comma 1, lettera e), cod. proc. pen., a seguito delle modifiche introdotte dalla L. n. 46 del 2006.
La predetta novella non ha comportato, per il Giudice di legittimità, la possibilità di effettuare un’indagine sul discorso giustificativo della decisione, finalizzata a sovrapporre la propria valutazione a quella già effettuata dai giudici di merito, dovendo limitarsi a verificare l’adeguatezza delle considerazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per giustificare il suo convincimento.
La mancata rispondenza di queste ultime alle acquisizioni processuali può essere dedotta quale motivo di ricorso qualora comporti il c.d. «travisamento della prova» (consistente nell’utilizzazione di un’informazione inesistente o nell’omissione della valutazione di una ‘prova, accomunate dalla necessità che il dato probatorio, travisato od omesso, abbia il carattere della decisività nell’ambito dell’apparato motivazionale sottoposto a critica), purché siano indicate in maniera specifica ed inequivoca le prove che si pretende essere state travisate, nelle forme di volta in volta adeguate alla natura degli atti in considerazione, in modo da rendere possibile la loro lettura senza alcuna necessità di ricerca da parte della Corte, e non ne sia effettuata una monca
individuazione od un esame parcellizzato. Permane, al contrario, la non deducibilità, nel giudizio di legittimità, del travisamento del fatto, stante la preclusione per la Corte di cassazione di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito (Sez. 3, n. 18521 dell’11/01/2018, COGNOME, Rv. 273217; Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, COGNOME, Rv. 253099).
Ciò posto, nella fattispecie in esame la difesa ha dedotto il travisamento delle dichiarazioni della teste COGNOME NOME, limitandosi ad invitare questa Corte a valutare la sincerità e l’onestà mentale dalla stessa dimostrate, a fronte di una dettagliata spiegazione delle ragioni della sua inattendibilità (pag. 3 della sentenza impugnata).
Le dichiarazioni degli altri soggetti assunti a sommarie informazioni sono inutilizzabili ai sensi dell’art. 350, comma 7, cod. proc. pen., perché, come riportato nella sentenza impugnata, non rientranti tra gli atti depositati nel fascicolo del dibattimento. Esse, infatti, potevano essere legittimamente acquisite solo col consenso di entrambe le parti (Sez. 2, n. 26209 del 23/02/2017, Panetta, Rv. 270314). E’ superfluo, pertanto, l’esame delle argomentazioni, sviluppate in via subordinata dalla Corte distrettuale, riguardanti il contenuto delle medesime.
Per le ragioni che precedono, il ricorso va dichiarato inammissibile con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e – non ricorrendo ragioni di esonero – al versamento della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila alla Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 14 febbraio 2024.