Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 1727 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 1727 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 16/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 09/12/2022 della CORTE APPELLO di ROMA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME
che ha concluso chiedendo
Ritenuto in fatto
1. La Corte d’appello di Roma ha confermato, nei confronti di COGNOME NOME, odierno ricorrente, la sentenza del GUP del Tribunale cittadino, con la quale costui era stato condannato ad anni due di reclusione ed euro 4.000,00 di multa per un’ipotesi di cui all’art. 73, comma 4 e 6, d.P.R. n. 309/1990, per avere trasportato due chili e mezzo di marijuana da Roma a Perugia il 29/9/2019, in concorso con tre o più persone.
Nella sentenza appellata si era dato conto dell’origine del procedimento, già incardinato presso l’autorità giudiziaria perugina, successivamente trasferito a quella capitolina, avente a oggetto trasporti di sostanza stupefacente dalla capitale al capoluogo umbro, ove poi veniva smistata. Il trasporto, in particolare, era assicurato da una rete di corrieri che agivano per i due acquirenti (BODJA e COGNOME). In un’occasione, secondo la ricostruzione accusatoria recepita dai giudici del doppio grado di merito, il trasporto era stato curato dal NOME. Le prove a carico sono state ricavate soprattutto dagli esiti di un’attività di intercettazione attivata sull’utenza del coimputato COGNOME, inerenti alle giornate del 28, 29 e 30 settembre 2019: nel corso di alcuni dialoghi, infatti, gl interlocutori avevano fatto riferimenti espliciti all’attività criminosa contestata e identità dei corrieri incaricati, tra i quali il COGNOME, il cui coinvolgimento in traff stupefacenti era stato confermato da intercettazioni relative alla sua utenza, esitate in un episodio diverso, culminato nel suo arresto del 12 dicembre successivo per detenzione domiciliare di marijuana. L’identificazione dell’imputato è stata ritenuta certa alla stregu dei riferimenti fatti dagli interlocutori al suo nome di battesimo (NOME, da NOME). I giudici del gravame hanno disatteso le censure difensive, con le quali si era eccepita l’incompetenza per territorio, osservando che il principale fornitore (il coimputato DIAKITE) operava a Roma, luogo dal quale la stessa veniva trasferita a Perugia.
Quanto alle ulteriori censure, riguardanti l’allegata inidoneità del quadro probatorio e, comunque, l’eccessività del trattamento sanzionatorio, i giudici dell’appello hanno opposto che le prove erano state ricavate dalle intercettazioni, dal contenuto spesso tutt’altro che criptico, e che, in ogni caso, non erano state allegate spiegazioni alternativ ai dialoghi, tenuto anche conto che, all’esito, erano stati operati sequestri di droga e arresti, lo stesso COGNOME essendo stato arrestato per il fatto del 12 dicembre successivo a quello per cui è processo, proprio per detenzione di marijuana presso la propria abitazione.
La difesa ha proposto ricorso, tratteggiando lo svolgimento del processo, richiamando l’atto di appello e, quindi, formulando quattro motivi.
Con il primo, ha dedotto violazione dell’art. 125, comma 3, cod. proc. pen., difettando la valutazione critica del materiale probatorio, non avendo la Corte territoriale neppure richiamato i singoli discorsi captati dai quali è sta ricavata la penale responsabilità del NOME, né spiegato il collegamento
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dell’arresto dell’imputato per un fatto diverso con quello per il quale procedimento.
Con un secondo motivo, ha dedotto violazione dell’art. 34, cod. proc. pen., rilevando che la Corte del gravame avrebbe operato una sorta di copia e incolla della sentenza appellata, addirittura confluita a formare un tutt’un organico con quella impugnata.
Con il terzo motivo, ha dedotto violazione di legge e vizio della motivazione, con riferimento alla ritenuta competenza dell’autorità giudiziaria capitolina, avendo quella perugina (che aveva declinato la propria competenza) constatato però che il fulcro dell’attività era il trasporto dello stupefacente Roma a Perugia.
Con il quarto, infine, ha dedotto difetto di motivazione quanto alla dosimetria della pena, con specifico riferimento al diniego di prevalenza delle generiche sulla contestata aggravante, ritenendo del tutto incongrua la motivazione della decisione dei giudici d’appello, i quali avrebbero ritenuto “immeritato” addirittura il riconoscimento delle generiche.
Il Procuratore generale, in persona del sostituto NOME COGNOME, ha rassegnato conclusioni scritte, con le quali ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è inammissibile.
2. Va preliminarmente esaminato il terzo motivo.
La censura, manifestamente infondata, é prospettata anche in maniera generica. La difesa ha reiterato la medesima doglianza che ha costituito oggetto dell’appello, non contestando che l’attività illecita oggetto d’indagine fosse il trasporto di sostan stupefacenti dal luogo della cessione da parte del fornitore (Roma) a quello ove gli acquirenti poi provvedevano a smerciarla (Perugia), ma assume che quest’ultimo fosse il luogo dell’ideazione della condotta e dell’organizzazione del viaggio, senza indicare alcun elemento in fatto che giustifichi tale affermazione.
La sinteticità della riposta dei giudici dell’appello al corrispettivo motivo di gravame ampiamente giustificata dalla genericità che connota anche la doglianza introdotta con l’appello, come ritrascritta nella premessa del ricorso, considerato che la Corte ha fatto espresso riferimento al luogo nel quale operava il fornitore della sostanza. Si tratta di una valutazione che, alla stregua degli elementi fattuali richiamati nelle sentenze del doppio grado e nello stesso ricorso, deve considerarsi del tutto coerente con i parametri normativi, l’art. 8, comma 1, cod. proc. pen. che prevede, per l’appunto, che la competenza per territorio si radica nel luogo ove il reato è stato consumato. Nella specie,
la condotta ascritta al NOME è il trasporto della droga dal luogo della cessione, la stessa difesa riconoscendo che la droga era stata acquistata a Roma. Né si procede per il reato di cui all’art. 74, d.P.R. n. 309/1990, l’imputazione avendo a oggetto singoli episodi di trasporto di droga acquistata presso il fornitore romano, costituendo principio consolidato in materia che, ai fini della determinazione della competenza per territorio, occorre fare riferimento al luogo di compimento della prima delle condotte addebitate, solo se tale luogo non sia identificato o non sia identificabile, la competenza essendo individuata mediante ricorso ai criteri suppletivi previsti all’art. 9 cod. proc. pen. (sez. 4, n. 31522 1/6/2023, COGNOME, Rv. 284959-01; n. 24719 del 3/3/2016, NOME, Rv. 267227-01).
3. Il primo e il secondo motivo, al di là dell’ardito richiamo contenuto nel secondo alla norma che disciplina l’incompatibilità del giudice determinata da atti compiuti nel procedimento, sono manifestamente infondati, oltre che del tutto generici, anche a fronte del tenore dei relativi motivi d’appello, riportati in premessa nel ricorso. La difesa h intanto, reiterato doglianze inerenti alla identificazione del NOME e alla lettura del contenuto dei dialoghi incriminanti che riguardano la valutazione del materiale probatorio, del quale i giudici del doppio grado hanno dato una lettura conforme che non evidenzia alcuna aporia o vizio deducibile. La stringatezza della risposta della Corte territoriale peraltro, appare del tutto giustificata dal contenuto delle doglianze veicolate con i gravame e ritrascritte in ricorso, ricordandosi in diritto che gli elementi di prova sono sta esaminati in maniera conforme nei due gradi di merito (tra le altre, sez. 3 n. 44418 del 16/7/2013, COGNOME, Rv, 257595; sez. 3 n. 13926 del 1/12/2011, dep. 2012, NOME, Rv. 252615; sez. 2, n. 37295 del 12/6/2019, Rv. 277218), con conseguente inammissibilità di quelle censure intese a sollecitare una rivalutazione del risultat probatorio, secondo diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (sez. 6 n. 47204 del 7/10/2015, Rv. 265482; sez. 6 n. 25255 del 14/2/2012, Rv. 253099).
Quanto alla critica che inerisce alla tecnica redazionale della sentenza, la motivazione dei giudici d’appello è del tutto distinta dai motivi della decisione del primo giudice ed stata resa attraverso il filtro delle censure difensive (risultando incorporate solo le pagi contenenti il capo d’imputazione che termina nella stessa pagina nella quale inizia la motivazione e il dispositivo che inizia là dove finisce l’esposizione dei motivi dell decisione), come del resto emerge anche dalla numerazione delle pagine.
Quanto poi alla valutazione del compendio probatorio, la lettura dei dialoghi captati, il cui tenore è stato definito dai giudici del merito spesso tutt’altro che criptico, costitui questione di fatto rimessa all’apprezzamento dei giudici del merito, il quale, se risulta logico in relazione alle massime di esperienza utilizzate, si sottrae al sindacato di legittimità (cfr. Sez. U, n. 22471 del 26/2/2015, Sebbar, Rv. 263715) e non può essere censurato in sede di legittimità, se non nei limiti della manifesta illogicit
irragionevolezza della motivazione con cui sono recepite (sez. 2, n. 50701 del 4/10/2016, COGNOME, Rv. 268389), vizi che, nella specie, non sono stati tratteggiati con i motivi di ricorso, quanto al richiamo all’episodio del 12 dicembre 2019 emergendo già nella sentenza di primo grado che esso è stato operato a conferma dell’inserimento dell’imputato nel circuito criminale degli stupefacenti.
Infine, è generico anche il quarto motivo, oltre che manifestamente infondato per insussistenza del vizio motivazionale dedotto, considerata la ratio delle attenuanti generiche: le stesse, infatti, sono state introdotte con la funzione di mitigare la rigid dell’originario sistema di calcolo della pena nell’ipotesi di concorso di circostanze di specie diversa e detta funzione, ridotta a seguito della modifica del giudizio di comparazione delle circostanze concorrenti, ha modo di esplicarsi efficacemente solo per rimuovere il limite posto al giudice con la fissazione del minimo edittale, allorché questi intenda determinare la pena al di sotto di tale limite, con la conseguenza che, ove questa situazione non ricorra, perché il giudice valuta la pena da applicare al di sopra del limite, il diniego de prevalenza delle generiche diviene solo elemento di calcolo e non costituisce mezzo di determinazione della sanzione e non può, quindi, dar luogo né a violazione di legge, né al corrispondente difetto di motivazione (sez. 3 n. 44883 del 18/07/2014, Cavicchi, Rv. 260627).
Alla declaratoria di inammissibilità segue, a norma dell’articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, non emergendo ragioni di esonero (Corte cost. 186/2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Deciso il 16 novembre 2023