Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 5482 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3   Num. 5482  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 13/10/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME nata a Cerignola il DATA_NASCITA; avverso la ordinanza del 09/03/2023 del tribunale di Trento; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale drAVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO che ha chiesto il rigetto del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 9 marzo 2023, il tribunale di Trento rigettava il riesame proposto nell’interesse di COGNOME NOME avverso il decreto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente ed avente ad oggetto, tra gli altri, beni di proprietà della stessa.
Avverso la predetta ordinanza COGNOME NOME ha proposto, tramite il proprio difensore di fiducia, ricorso per cassazione, sollevando cinque motivi di impugnazione.
3. Con riguardo al primo motivo deduce il vizio di violazione di legge e quel di carenza di motivazione oltre che di illogicità della stessa. Si richia argomentazioni addotte in sede di riesame per sostenere, riguardo al reat art. 416 cod. pen., l’incompetenza territoriale del tribunale di Trento e, pi quella del tribunale di Foggia, stante l’emersione di dati dimostrativ costituzione del sodalizio in Cerignola, e si contesta la diversa scelta al r operata dai giudici del riesame, osservando come, a seguire il loro ragioname per cui l’associazione in parte sarebbe da individuarsi in Italia e all’estero, si sarebbe allora dovuto fare applicazione dell’art. 10 comma proc. pen. che, quanto ai reati in parte commessi all’estero rimanda ai cri cui agli artt. 8 e 9 cod. proc. pen.; per cui, in ultima analisi, avendo il individuato in Cerignola l’unico luogo italiano in cui si sarebbe manifestata della condotta associativa non avrebbe che dovuto indicare, come autori competente, il tribunale di Foggia. Si aggiunge che alla luce della giurisprud di legittimità relativa alla competenza territoriale riguardante il associativo, si sarebbe dovuto giungere, pur sempre, alla predetta individuaz del giudice competente, posto che in Cerignola si sarebbe avuta l’operativit sodalizio e anche i reati fine sarebbero avvenuti nell’unico contesto territo Cerignola.
4. Con il secondo motivo ha dedotto vizi di violazione di legge e di dife assoluto di motivazione, rappresentando l’avvenuta proposizione, in sede riesame, della eccezione di nullità della ordinanza genetica per assen autonoma motivazione del fumus del reato, secondo argomentazioni pedissequamente riportate in ricorso. Si rappresenta altresì, l’avv eccezione di nullità del provvedimento cautelare reale, anche in relazion periculum in mora, per difetto di motivazione. La risposta del tribunale sar stata del tutto apodittica, e frutto di travisamento degli atti come delle do difensive. Sarebbe stato un azzardo il sostenere, come fatto dal tribunale, gip avrebbe affrontato la questione della competenza territoriale in via auton siccome mai trattata nella richiesta di misura cautelare, posto che sul pu giudice avrebbe sposato passivamente la tesi del P.M
Si aggiunge che la difesa aveva eccepito l’assenza di vaglio critico non ris alla richiesta del P.M. bensì rispetto all’ampio materiale probat semplicemente richiamato sulla scorta di una sua auto – evidenza e c l’aggiunta di mere clausole di stile. Senza altresì alcuna valutazione dei rea anche in rapporto alle evidenze riscontrabili in proposito a carico del ricorre
Con il terzo motivo deduce vizi di violazione di legge e di carenz illogicità della motivazione. Si riportano i passaggi critici proposti in riesame in punto di insussistenza dui fumus e di periculum in relazione condotte provvisoriamente ipotizzate e si contesta come il tribunale s limitato a osservare che il terzo che rivendichi la restituzione di qu sequestro non può contestare l’esistenza dei presupposti della misura cautel con la conseguenza per cui le eccezioni sollevate dalla ricorrente insussistenza del fumus e del periculum in mora sarebbero inammissibili.
Con il quarto motivo deduce vizi di violazione di legge e carenza illogicità della motivazione. Si osserva che in occasione della esecuzion disposto sequestro – laddove il Gip nulla aveva statuito in ordine a beni in a soggetti terzi – la polizia giudiziaria incaricata avrebbe effettuato sequ confronti di COGNOME NOME con riguardo a beni appartenenti alla di lui mo COGNOME NOME, terza rispetto a tutte le ipotesi accusatorie in esame. conseguente richiesta della difesa di restituzione dei beni alla leg proprietaria. Si contesta quindi il rigetto della decisione, e si evidenzia fini del sequestro finalizzato alla confisca per equivalente sia necessa legame effettuale tra l’indagato e il bene. Così che a tali fini sarebbe ina il semplice uso momentaneo del bene da sequestrare. E spetterebbe alla accus la dimostrazione di situazioni che avallino l’ipotesi di non coinciden intestazione formale di un bene e disponibilità effettiva dello stesso.
Tanto considerato, il tribunale non avrebbe indicato alcun elementi dimostrat della effettiva disponibilità in capo al COGNOME delle res in questione. E q beni mobili in concreto sequestrati, la COGNOME COGNOME avrebbe dimostrato la pi disponibilità con documentazione trascurata e travisata dai giudici.
Anche per gli immobili mancherebbero elementi dimostrativi di discrasia t intestazione formale e disponibilità reale dei medesimi.
 Con il quinto motivo deduce vizi di violazione di legge e di carenza illogicità della motivazione.
A fronte di doglianza proposta circa l’avvenuto riferimento, nel provvedimen genetico, all’art. 11 della L. 146/2006 disciplinante una ipotesi speciale, al potere giustificare il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equiv il tribunale avrebbe omesso ogni risposta. Si contesta, altresì, la rispo tribunale, riportante il rimando ad istanze da avanzare sul punto al P rispetto alla censura inerente la proporzione tra il valore dei beni sotto sequestro e il profitto o prezzo del reato da confiscare, laddove la propor sarebbe stata agevolmente verificabile dagli atti di cui alla esecuzione misura cautelare, confluiti nel fascicolo trasmesso al tribunale del riesame.
Si critica altresì la risposta del tribunale sul ricalcolo – richiesto – della aliq delle accise con riguardo quantomeno all’episodio n. 273 contestato sub 204 al COGNOMECOGNOME COGNOME COGNOME COGNOME. Opponendo il richiamo al favor rei e al generale calcolo operato dai giudici a prescindere da eventuali adempimenti fiscali che sarebbero stati effettuati dagli indagati, che avrebbe imposto l’applicazione della diversa aliquota di accisa prevista nel periodo di riferimento.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo di ricorso è fondato e assorbente rispetto agli altri motivi. Consegue l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata, imponendosi sul punto un nuovo esame da parte del Tribunale, secondo i principi di seguito indicati.
Si premette che il procedimento in esame concerne reati tra i quali tutti potrebbe sussistere – ed in parte già è stato riconosciuto – il vincolo del connessione ai sensi dell’art. 12 cod. proc. pen.
2.1. Sono stati infatti contestati:
a COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME il reato di associazione per delinquere finalizzato alla commissione di più delitti concernenti la sottrazione al pagamento delle accise dovute sulla produzione e sul commercio di prodotti energetici utilizzati per autotrazione, di cui all’art. 40, comma 1, lett. b), e comma 4 d.lgs. 26 ottobre 1995, n. 504, accertato dal 16 settembre 2020;
a taluno di costoro, unitamente ad altri soggetti estranei al sodalizio, la commissione di decine di reati-fine riconducibili all’ipotesi criminosa appena citata, oltre che, talvolta, unitamente alla stessa, anche di quella di cui all’art. d.lgs. n. 504 del 1995, ininterrottamente commessi, con pressoché identiche modalità, a distanza di pochi giorni l’uno dall’altro, nei successivi mesi ed in particolare accertati nel periodo di monitoraggio effettuato da! febbraio 2021 sino all’aprile 2022.
Già il provvedimento genetico (pag. 144), sulla scorta della stretta connessione logica e cronologica tra reato mezzo e reati-fine, ha individuato, con riguardo agli associati – che risultano tali sin dal momento dell’accertamento del sodalizio – la sussistenza del vincolo della continuazione, con ciò ravvisando l’ipotesi di connessione di cui all’art. 12, lett. b), cod. proc. pen. e l’ordina impugnata ha condiviso quest’impostazione, senza peraltro che in ricorso sia contestata.
Sulla base degli unici atti a disposizione del Collegio ed in assenza di specifiche contestazioni, la decisione appare conforme al consolidato principio
secondo cui, ai fini della determinazione della competenza per territorio, la connessione tra delitto associativo e reati-fine può ritenersi sussistente quando risulti che, fin dalla costituzione del sodalizio criminoso o dall’adesione ad esso, un determinato soggetto, nell’ambito del generico programma criminoso, abbia già individuato uno o più specifici fatti di reato, da lui poi effettivamen commessi (Sez. 1, Sentenza n. 46134 del 21/10/2009, COGNOME NOME a., Rv. 245503; Sez. 1, n. 17831 del 10/04/2008, Gliori e aa., Rv. 240309).
2.2. Quanto ai reati-fine contestati anche a soggetti diversi dai sodali, non vale invece richiamare l’ipotesi di connessione di cui all’art. 12, lett. b), co proc. pen., avendo questa Corte già precisato che, in tema di competenza determinata dall’ipotesi di connessione oggettiva fondata sull’astratta configurabilità del vincolo della continuazione fra le analoghe, ma distinte, fattispecie di reato ascritte ai diversi imputati, l’identità del disegno criminos perseguito è idonea a determinare lo spostamento della competenza per connessione, sia per materia, sia per territorio, solo se l’episodio o gli episodi in continuazione riguardino lo stesso o – se sono più di uno – gli stessi imputati, giacché l’interesse di un imputato alla trattazione unitaria dei fatti i continuazione non può pregiudicare quello del coimputato a non essere sottratto al giudice naturale secondo le regole ordinarie della competenza (Sez. 2, n. n. 57927 del 20/11/2018, COGNOME, Rv. 275519; Sez. 2, n. 17090 del 28/02/2017, Bilalaj, Rv. 269960; Sez. 1, n. 8526 del 09/01/2013, Baruffo e aa., Rv. 254924). In tal caso non opera dunque l’ipotesi della connessione di cui all’art. 12 lett. b) e il procedimento per il reato attribuito anche ad altri soggetti appartiene, per tutti gli imputati, alla competenza per territorio del giudice individuato a norma degli att. 8 e 9 cod. proc. pen., mentre il vincolo della continuazione, per coloro i quali sussista, produrrà i suoi effetti solo sul piano sostanziale, ai fini del determinazione della pena (Sez. 4, n. 11963 del 07/11/2006, dep. 2007, Galletti, Rv. 236276). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Nella motivazione della citata sentenza COGNOME si puntualizza, tuttavia, la differenza strutturale al riguardo ravvisabile tra l’ipotesi di cui all’art. 12 lett. quella di cui all’art. 12 lett. c) cod. proc. pen., posto che quest’ultima, differenza della prima, non contiene l’incipit “se una persona è imputata di più reati…” e pertanto non postula necessariamente l’identità soggettiva tra gli autori dei reati connessi.
Risolvendo il contrasto di giurisprudenza al proposito insorto sul punto, questa Corte nella sua più autorevole composizione ha infatti chiarito che, ai fini della configurabilità della connessione teleologica prevista dall’art. 12, lett. c) cod. proc. pen. e della sua idoneità a determinare uno spostamento della competenza per territorio, non è richiesto che vi sia identità fra gli autori de reato fine e quelli del reato mezzo, ferma restando la necessità di accertare che
l’autore di quest’ultimo abbia avuto presente l’oggettiva finalizzazione della sua condotta alla commissione o all’occultamento di un altro reato (Sez. U, n. 53390 del 26/10/2017, G. Rv. 271223; nello stesso senso, Sez. 2, n. 44678 del 16/10/2019, COGNOME, Rv. 278000).
Sulla scorta delle stesse ragioni esposte dai giudici del merito cautelare, laddove fosse possibile ravvisare la connessione teleologica tra il reato associativo ed i reati-fine (contestati anche a persone diverse dai sodali) nella misura in cui possa dirsi che il primo è stato commesso per eseguire questi ultimi, potrebbe dunque nella specie affermarsi la sussistenza della connessione di cui all’art. 12 cod. proc. pen. – sia pur all’insegna della lett. c) – anche riguardo ai reati-fine commessi anche da soggetti non associati che abbiano agito in concorso con taluno di questi.
2.3. Ove risulti la connessione tra delitto associativo e reati-fine e si tratt ciò che nella specie è pacifico, di reati che appartengono tutti alla competenza del tribunale, laddove in relazione agli stessi la competenza per territorio spetti a giudici diversi, va applicato il criterio di cui all’art. 16 cod. pen., in base al q la competenza per territorio appartiene al giudice competente per il reato più grave ovvero, in caso di pari gravità, al giudice competente per il primo reato (Sez. 2, n. 45337 del 04/11/2015, RAGIONE_SOCIALE e aa., Rv. 265031).
Muovendosi in quest’ottica, sia pur senza aver approfondito il punto di cui supra sub §. 2.2., i giudici del merito cautelare, con affermazione al proposito indubbiamente esatta e condivisa anche dalla parte ricorrente, hanno individuato nel delitto associativo il più grave tra i reati connessi.
3.1. Ciò premesso, trattandosi di reato permanente, osserva il Collegio che il giudice territorialmente competente va individuato in quello del luogo in cui ha avuto inizio la consumazione, ex art. 8, comma 3, cod. proc. pen. (cfr. Sez. 1, n. 20908 del 28/04/2015, Minerva e aa., Rv. 263612), vale a dire – secondo il più recente e preferibile orientamento – quello in cui ha sede la base ove si svolgono programmazione, ideazione e direzione delle attività criminose facenti capo al sodalizio (Sez. 2, n. 41012 del 20/06/2018, C., Rv. 274083), assumendo rilievo non tanto il luogo in cui si è radicato il pactum sceleris, quanto quello in cui si effettivamente manifestata e realizzata l’operatività della struttura (Sez. 6, n. 4118 del 10/01/2018, Piccolo, Rv. 272185; Sez. 6, n. 49995 del 15/09/2017, COGNOME e aa., Rv. 271585).
3.2. Nel caso di specie, secondo la non illogica ricostruzione operata nel provvedimento impugnato – sul punto neppure specificamente contestata dalla parte ricorrente – il luogo in cui ha avuto inizio la consumazione del reato, essendosi colà manifestata per la prima volta l’operatività della struttura, ricade all’estero.
Il Tribunale del riesame – ed in ciò si ravvisa la violazione di legge dedotta in ricorso – ha tuttavia erroneamente parificato tale situazione a quella dell’impossibilità di stabilire la competenza con riguardo al più grave reato associativo per individuare conseguentemente la competenza con riguardo, in via gradata rispetto ai residui reati connessi, al reato-fine più grave, in forza di un consolidato orientamento interpretativo che reputa inapplicabili le regole suppletive di cui all’art. 9, commi 2 e 3, cod. proc. pen., ritenute riferib soltanto al procedimento relativo ad un singolo reato (Sez. U, n. 40537 del 16/07/2009, COGNOME, Rv. 244330; Sez. 2, n. 3850 del 21/10/2016, dep. 2017, Cassola e a., Rv. 269246). Tale conclusione è errata perché il Tribunale del riesame non ha tenuto conto del disposto di cui all’art. 9, comma 1, cod. proc. pen., cui l’ordinanza impugnata neppure accenna.
4.1. Come ben chiarito dalla Sezioni unite nella citata sentenza COGNOME, la disposizione da ultimo richiamata, a differenza di quelle contenute nei successivi due commi, detta una regola integrativa dei criteri stabiliti nell’art. 8 cod. proc. pen. che continua ad ancorare l’individuazione del giudice competente al luogo in cui, almeno in parte, è stata realizzata la condotta criminosa e resta dunque applicabile anche nel caso di procedimenti per reati connessi (cfr., da ultimo, Sez. 1, n. 35861 del 19/06/2019, Rv. 276812).
L’art. 9, comma 1, cod. proc. pen., del resto, è certamente riferibile anche ai reati permanenti, come da questa Corte ripetutamente affermato, ad es., con riguardo al delitto di detenzione di sostanze stupefacenti (Sez. 4, n. 31522 del 01/06/2023, COGNOME NOME, Rv. 284959; Sez. 4, n. 24719 del 03/03/2016, NOME, Rv. 267227) e pure laddove la consumazione sia iniziata in territorio estero (cfr. Sez. 4, n. 8665 del 22/01/2010, COGNOME e aNOME, Rv. 246851).
4.2. Ed invero, allorché si versi in questa situazione non ne è certo preclusa l’operatività. In forza della previsione contenuta nell’art. 10, comma 3, cod. proc. pen., disposizione del pari erroneamente non considerata dall’ordinanza impugnata, quando il reato risulta commesso in parte all’estero, la competenza va infatti determinata alla luce degli art. 8 e 9 del codice di rito, ciò che, p quanto appena osservato, rende dunque certamente applicabile anche la regola integrativa prevista dal primo comma di tale ultimo articolo, giusta la quale, se la competenza non può essere determinata a norma dell’art. 8 (come nel caso in esame, posto che il luogo di inizio della consumazione del reato associativo è stato individuato in territorio estero), la stessa spetta al «giudice del luogo in cu è stato commesso l’ultimo atto diretto a commettere il reato».
 Che in territorio italiano si sia volta almeno una parte di condotta del delitto associativo è riconosciuto anche dall’ordinanza impugnata.
Dovendosi al proposito avere riguardo al luogo in cui si è concretamente manifestata, secondo un criterio di effettività, la consumazione del reato associativo, sia con riguardo alla programmazione, ideazione e direzione delle attività illecite commesse in territorio nazionale, sia con riguardo all’esecuzione dei delitti programmati (cfr., per la rilevanza di tali criteri ai fini determinazione della competenza per territorio, Sez. 3, n. 35578 del 21/04/2016, Bilali Bilali e aa., Rv. 267635), secondo la ricostruzione operata nel provvedimento impugnato viene in particolare in rilievo la cittadina di Cerignola, luogo di residenza dei sodali italiani che ricoprivano ruolo apicale e sede della “cellula operativa” italiana secondo quanto si legge nell’ordinanza impugnata.
In particolare, in essa si attesta che Cerignola è identificabile proprio come l’ultimo luogo di manifestazione delle attività del sodalizio: «appare innegabile che diverse condotte preparatorie poste in essere dagli associati, quali l’acquisto e la miscelazione del prodotto, nonché l’organizzazione dei trasporti, siano state compiute all’estero in sedi e basi operative diverse da quella italiana, operativa, invece, come si è detto, nella fase finale dell’attività criminosa».
L’ordinanza impugnata deve pertanto essere annullata con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Trento, che si atterrà ai principi sopra esposti e verificherà se tra i reati-fine rilevanti ai fini della decisione del presen procedimento cautelare sussista la connessione ex art. 12 cod. proc. pen. – lett. b) o lett. c) – con il reato associativo e quale conseguentemente sia il giudice territorialmente competente.
Deve sottolinearsi in proposito, tenuto conto della Peculiarità del ricorso in esame, promosso da soggetto che si prospetta Quale terzo, che con riguardo al giudizio di riesame proposto dal terzo interessato alla restituzione di un bene sottoposto a seauestro preventivo finalizzato alla confisca per eauivalente del profitto del reato, la competenza per territorio va individuata in relazione al procedimento per tale reato pendente nei confronti della persona indagata nella disponibilità della quale il bene sottoposto a vincolo è stato ritenuto.
Nel caso di ritenuta incompetenza per territorio del Tribunale di Trento, valuterà il giudice del rinvio se fare applicazione della regola generale fissata nell’art. 27 cod. proc. pen., che disciplina, e contempera, le regole sulla competenza del giudice e quelle legate all’urgenza di assumere provvedimenti in materia cautelare ed è certamente riferibile anche ai sequestri giusta il richiamo agli artt. 317 e 321 cod. proc. pen. Per consolidato orientamento interpretativo, la suddetta efficacia interinale del provvedimento cautelare assunto dal giudice incompetente opera anche laddove l’incompetenza sia stata successivamente
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dichiarata in sede d’impugnazione (cfr., quanto alle misure cautelari personali, Sez. U, n. 1 del 24/01/1996, COGNOME, Rv. 204164; quanto alle misure cautelari reali, Sez. 6, n. 11637 del 27/02/2020, COGNOME, Rv. 278721). L’adozione di una misura cautelare reale da parte del giudice (dichiaratosi o riconosciuto) incompetente non richiede, peraltro, alcuna ulteriore valutazione in termini di urgenza rispetto alla valutazione degli ordinari presupposti del fumus e del periculum (cfr. Sez. 5, n. 54016 del 30/10/2017, COGNOME e aa., Rv. 271886), diversamente da quanto previsto, per i soli provvedimenti in materia di misure cautelari personali, dall’art. 291, comma 2, cod. proc. pen., ove si prescrive che l’adozione della misura da parte del giudice incompetente postula, altresì, la riconosciuta sussistenza dell’urgenza di soddisfare taluna delle esigenze cautelari previste dall’art. 274 cod. proc. pen. (cfr., sul punto, Sez. U, n. 19214 del 23/04/2020, Giacobbe, Rv. 279092, nella cui motivazione si specifica che il giudice, anche dell’impugnazione, che dichiari la propria incompetenza ex art. 27 cod. proc. pen., deve trasmettere gli atti al pubblico ministero che ha richiesto la misura, cui spettano le conseguenti determinazioni). 
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Trento, sezione del riesame.
Così deciso il 13.10.2023