Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 4749 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 4749 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 13/10/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME nato a Cerignola il DATA_NASCITA; avverso la ordinanza del 09/03/2023 del tribunale di Trento; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dr.ssa NOME AVV_NOTAIO che ha chiesto il rigetto del ricorso; udite le conclusioni del difensore dell’imputato AVV_NOTAIO quale sostituto processuale dell’avvocato COGNOME NOME che si è riportato ai motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza, il tribunale di Trento rigettava il riesame proposto nell’interesse di COGNOME NOME avverso il decreto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca del profitto per equivalente (sino alla somma di euro 2263,388,40 e sino alla ulteriore somma di euro 206.681,20 in relazione ai reati di cui ai capi da 192 a 204 a), con riferimento agli artt. 416 cod. pen., 110 cod. pen. 40 e 49 del Dlgs. n. 504/1995.
Avverso la predetta ordinanza COGNOME NOME ha proposto, tramite il proprio difensore di fiducia, ricorso per cassazione, sollevando quattro motivi di impug nazione.
Con riguardo al primo motivo, deduce il vizio di violazione di legge e quello di carenza di motivazione oltre che di illogicità della stessa. Si richiamano le argomentazioni addotte in sede di riesame per sostenere, riguardo al reato ex art. 416 cod. pen., l’incompetenza territoriale del tribunale di Trento e piuttosto quella del tribunale di Foggia, stante l’emersione di dati dimostrativi della costituzione del sodalizio in Cerignola, e si contesta la diversa scelta al riguardo operata dai giudici del riesame, osservando come a seguire il loro ragionamento, per cui l’associazione in parte sarebbe da individuarsi in Italia e in parte all’estero, si sarebbe allora dovuto fare applicazione dell’art. 10 comma 3 cod. proc. pen. che, quanto ai reati in parte commessi all’estero rimanda ai criteri di cui agli artt. 8 e 9 cod. proc. pen., per cui in ultima analisi, avendo il tribuna individuato in Cerignola l’unico luogo italiano in cui si sarebbe manifestata parte della condotta associativa, non avrebbe che dovuto indicare come autorità competente il tribunale di Foggia. Si aggiunge che alla luce della giurisprudenza di legittimità relativa alla competenza territoriale riguardante il deli associativo, si sarebbe dovuto giungere pur sempre alla predetta individuazione del giudice competente posto che in Cerignola si sarebbe avuta l’operatività del sodalizio e anche i reati fine sarebbero avvenuti nell’unico contesto territoriale di Cerignola.
Con il secondo motivo ha dedotto vizi di violazione di legge e di difetto assoluto di motivazione, rappresentando l’avvenuta proposizione, in sede di riesame, della eccezione di nullità della ordinanza genetica per assenza di autonoma motivazione del fumus del reato, secondo argomentazioni pedissequamente riportate in ricorso. Si rappresenta altresì l’avvenuta eccezione di nullità del provvedimento cautelare reale, anche in relazione al periculum in mora, per difetto di motivazione. La risposta del tribunale sarebbe stata del tutto apodittica, e frutto di travisamento degli atti come delle doglianze difensive. Sarebbe stato un azzardo il sostenere, come fatto dal tribunale, che il gip avrebbe affrontato la questione della competenza territoriale in via autonoma siccome mai trattata nella richiesta di misura cautelare, posto che sul punto il giudice avrebbe sposato passivamente la tesi del P.M
Si aggiunge che la difesa aveva eccepito l’assenza di vaglio critico non rispetto alla richiesta del PAVV_NOTAIO bensì rispetto all’ampio materiale probatorio, semplicemente richiamato sulla scorta di una sua auto – evidenza e con
l’aggiunta di mere clausole di stile. Senza altresì alcuna valutazione dei reati fine anche in rapporto alle evidenze riscontrabili in proposito a carico del ricorrente.
5. Con il terzo motivo deduce vizi di violazione di legge e di carenza e illogicità della motivazione, rispetto alla nuova e unica motivazione redatta dal tribunale a fronte della assenza di analoga motivazione del AVV_NOTAIO. Il provvedimento impugnato non spiegherebbe la ritenuta perpetrazione di tutti i reati fine contestati al ricorrente e gli argomenti spesi sulla sussistenza della gravità indiziaria inerente il reato associativo sarebbero in tale quadro ultronei, comunque difettando la illustrazione degli elementi che dovrebbero suffragare un tale reato. Si aggiunge che secondo l’ordinanza impugnata il COGNOME non avrebbe assunto alcun ruolo verticistico nella associazione avendo al più partecipato a fasi finali delle operazioni. Si contesta altresì la configurabilità in capo ricorrente del ruolo di promotore o organizzatore. Peraltro il COGNOME sarebbe emerso nell’indagine solo il 16.4.2021 a fronte di un sodalizio che sarebbe stato costituito a partire dal 16.9.2020.
Quanto al fumus dei reati fine si sottolinea la mancata indicazione per ogni reato degli specifici elementi indicatori di ciascuno, essendo insufficiente la citazione di una commissione in maniera seriale dì fatti delittuosi da parte dei medesimi soggetti. Né sarebbero adeguate le illegittime presunzioni, contestate dalla difesa, utilizzate dai giudici per ricostruire i numerosi capi di imputazione. Un mero giudizio di verosimiglianza di tali reati sarebbe dunque inadeguato.
Medesima approssimazione viene contestata per i reati di cui al combinato disposto di cui agli artt. 40 e 49 comma 1 del T U sulle Accise e di cui alle lettere a) b) e c).
Rispetto al periculum del sequestro impeditivo vi sarebbe una unica e nuova motivazione del tribunale del riesame di per sé apodittica, dovendosi piuttosto specificare gli elementi che inducano a considerare attuale il pericolo che ulteriori conseguenze offensive si possano concretamente produrre. E adeguata motivazione mancherebbe anche in rapporto al periculum in mora rispetto al sequestro funzionale alla confisca in via diretta o per equivalente.
Con il quarto motivo deduce vizi di violazione di legge e carenza e illogicità della motivazione. A fronte di doglianza proposta circa l’avvenuto riferimento nel provvedimento genetico, all’art. 11 della L. 146/2006 disciplinante una ipotesi speciale, al fine di potere giustificare il sequestr preventivo finalizzato alla confisca per equivalente il tribunale avrebbe omesso ogni risposta. Si contesta altresì la risposta del tribunale, con rimando a istanze da avanzare sul punto al P.M., rispetto alla censura inerente la proporzione tra il valore dei beni sottoposti a sequestro e il profitto o prezzo del reato da
confiscare, laddove la proporzione sarebbe stata agevolmente verificabile dagli atti di cui alla esecuzione della misura cautelare confluiti nel , Fascicolo trasmesso al tribunale del riesame.
Si critica altresì la risposta del tribunale sul ricalcolo – richiesto – della ali delle accise con riguardo quantomeno all’episodio n. 273 contestato sub 204 a COGNOME, COGNOME e COGNOME. Opponendo il richiamo al favor rei e al generale calcolo operato dai giudici a prescindere da eventuali adempimenti fiscali che sarebbero stati effettuati dagli indagati, che avrebbe imposto la applicazione della diversa aliquota di accisa prevista nel periodo di riferimento.
Si critica altresì la risposta del tribunale sulla inammissibilità per il ricorrent opporre la appartenenza di beni sequestrati a terzi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo di ricorso è fondato e assorbente rispetto agli altri motivi. Consegue l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata, imponendosi sul punto un nuovo esame da parte del Tribunale, secondo i principi di seguito indicati.
Si premette che il procedimento in esame concerne reati tra i quali tutti potrebbe sussistere – ed in parte già è stato riconosciuto – il vincolo dell connessione ai sensi dell’art. 12 cod. proc. pen.
2.1. Sono stati infatti contestati:
a COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME il reato di associazione per delinquere finalizzato alla commissione di più delitti concernenti la sottrazione al pagamento delle accise dovute sulla produzione e sul commercio di prodotti energetici utilizzati per autotrazione, di cui all’art. 40, comma 1, lett. b), e comma 4 d.lgs. 26 ottobre 1995, n. 504, accertato dal 16 settembre 2020;
a taluno di costoro, unitamente ad altri soggetti estranei al sodalizio, la commissione di decine di reati-fine riconducibili all’ipotesi criminosa appena citata, oltre che, talvolta, unitamente alla stessa, anche di quella di cui all’art. d.lgs. n. 504 del 1995, ininterrottamente commessi, con pressoché identiche modalità, a distanza di pochi giorni l’uno dall’altro, nei successivi mesi ed in particolare accertati nel periodo di monitoraggio effettuato dal febbraio 2021 sino all’aprile 2022.
Già il provvedimento genetico (pag. 144), sulla scorta della stretta connessione logica e cronologica tra reato mezzo e reati-fine, ha individuato, con riguardo agli associati – che risultano tali sin dal momento dell’accertamento del sodalizio – la sussistenza del vincolo della continuazione, con ciò ravvisando
l’ipotesi di connessione di cui all’art. 12, lett. b), cod. proc. pen. e l’ordina impugnata ha condiviso quest’impostazione, senza peraltro che in ricorso sia contestata.
Sulla base degli unici atti a disposizione del Collegio ed in assenza di specifiche contestazioni, la decisione appare conforme al consolidato principio secondo cui, ai fini della determinazione della competenza per territorio, la connessione tra delitto associativo e reati-fine può ritenersi sussistente quando risulti che, fin dalla costituzione del sodalizio criminoso o dall’adesione ad esso, un determinato soggetto, nell’ambito del generico programma criminoso, abbia già individuato uno o più specifici fatti di reato, da lui poi effettivamen commessi (Sez. 1, Sentenza n. 46134 del 21/10/2009, COGNOME e a., Rv. 245503; Sez. 1, n. 17831 del 10/04/2008, COGNOME e aa., Rv. 240309).
2.2. Quanto ai reati-fine contestati anche a soggetti diversi dai sodali, non vale invece richiamare l’ipotesi di connessione di cui all’art. 12, lett. b), co proc. pen., avendo questa Corte già precisato che, in terna di competenza determinata dall’ipotesi di connessione oggettiva fondata sull’astratta configurabilità del vincolo della continuazione fra le analoghe, ma distinte, fattispecie di reato ascritte ai diversi imputati, l’identità dei disegno crimino perseguito è idonea a determinare lo spostamento della competenza per connessione, sia per materia, sia per territorio, solo se l’episodio o gli episodi in continuazione riguardino lo stesso o – se sono più di uno – gli stessi imputati, giacché l’interesse di un imputato alla trattazione unitaria dei fatti i continuazione non può pregiudicare quello del coimputato a non essere sottratto al giudice naturale secondo le regole ordinarie della competenza (Sez. 2, n. n. 57927 del 20/11/2018, COGNOME, Rv. 275519; Sez. 2, n. 17090 del 28/02/2017, Bilalaj, Rv. 269960; Sez. 1, n. 8526 del 09/01/2013, Baruffo e aa., Rv. 254924). In tal caso non opera dunque l’ipotesi della connessione di cui all’art. 12 lett. b) e il procedimento per il reato attribuito anche ad altri soggetti appartiene, per tutti gli imputati, alla competenza per territorio del giudice individuato a norma degli att. 8 e 9 cod. proc. pen., mentre il vincolo della continuazione, per coloro i quali sussista, produrrà i suoi effetti solo sul piano sostanziale, ai fini del determinazione della pena (Sez. 4, n. 11963 del 07/11/2006, dep. 2007, Galletti, Rv. 236276). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Nella motivazione della citata sentenza COGNOME si puntualizza, tuttavia, la differenza strutturale al riguardo ravvisabile tra l’ipotesi di cui all’art. 12 lett. quella di cui all’art. 12 lett. c) cod. proc. pen., posto che quest’ultima, differenza della prima, non contiene l’incipit “se una persona è imputata di più reati…” e pertanto non postula necessariamente l’identità soggettiva tra gli autori dei reati connessi.
Risolvendo il contrasto di giurisprudenza al proposito insorto sul punto, questa Corte nella sua più autorevole composizione ha infatti chiarito che, ai fini della configurabilità della connessione teleologica prevista dall’art. 12, lett. c cod. proc. pen. e della sua idoneità a determinare uno spostamento della competenza per territorio, non è richiesto che vi sia identità fra gli autori de reato fine e quelli del reato mezzo, ferma restando la necessità di accertare che l’autore di quest’ultimo abbia avuto presente l’oggettiva finalizzazione della sua condotta alla commissione o all’occultamento di un altro reato (Sez. U, n. 53390 del 26/10/2017, G. Rv. 271223; nello stesso senso, Sez. 2, n. 44678 del 16/10/2019, COGNOME, Rv. 278000).
Sulla scorta delle stesse ragioni esposte dai giudici del merito cautelare, laddove fosse possibile ravvisare la connessione teleologica tra il reato associativo ed i reati-fine (contestati anche a persone diverse dai sodali) nella misura in cui possa dirsi che il primo è stato commesso per eseguire questi ultimi, potrebbe dunque nella specie affermarsi la sussistenza della connessione di cui all’art. 12 cod. proc. pen. – sia pur all’insegna della lett. c) – anche riguardo ai reati-fine commessi anche da soggetti non associati, diversi dunque dall’attuale ricorrente – che abbiano agito in concorso con taluno di questi.
2.3. Ove risulti la connessione tra delitto associativo e reati-fine e si tratt ciò che nella specie è pacifico, di reati che appartengono tutti alla competenza del tribunale, laddove in relazione agli stessi la competenza per territorio spetti a giudici diversi, va applicato il criterio di cui all’art. 16 cod. pen., in base al q la competenza per territorio appartiene al giudice competente per il reato più grave ovvero, in caso di pari gravità, al giudice competente per il primo reato (Sez. 2, n. 45337 del 04/11/2015, RAGIONE_SOCIALE e aa., Rv. 265031).
Muovendosi in quest’ottica, sia pur senza aver approfondito il punto di cui supra sub §. 2.2., i giudici del merito cautelare, con affermazione al proposito indubbiamente esatta e condivisa anche dalla parte ricorrente, hanno individuato nel delitto associativo il più grave tra i reati connessi.
3.1. Ciò premesso, trattandosi di reato permanente, osserva il Collegio che il giudice territorialmente competente va individuato in quello del luogo in cui ha avuto inizio la consumazione, ex art. 8, comma 3, cod. proc. pen. (cfr. Sez. 1, n. 20908 del 28/04/2015, Minerva e aa., Rv. 263612), vale a dire – secondo il più recente e preferibile orientamento – quello in cui ha sede la base ove si svolgono programmazione, ideazione e direzione delle attività criminose facenti capo al sodalizio (Sez. 2, n. 41012 del 20/06/2018, C., Rv. 274083), assumendo rilievo non tanto il luogo in cui si è radicato il pactum sceleris, quanto quello in cui si effettivamente manifestata e realizzata l’operatività della struttura (Sez. 6, n.
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4118 del 10/01/2018, COGNOME, Rv. 272185; Sez. 6, n. 49995 del 15/09/2017, COGNOME e aa., Rv. 271585).
3.2. Nel caso di specie, secondo la non illogica ricostruzione operata nel provvedimento impugnato – sul punto neppure specificamente contestata dalla parte ricorrente – il luogo in cui ha avuto inizio la consumazione del reato, essendosi colà manifestata per la prima volta l’operatività della struttura, ricade all’estero.
Il Tribunale del riesame – ed in ciò si ravvisa la violazione di legge dedotta in ricorso – ha tuttavia erroneamente parificato tale situazione a quella dell’impossibilità di stabilire la competenza con riguardo al più grave reato associativo per individuare conseguentemente la competenza con riguardo, in via gradata rispetto ai residui reati connessi, al reato-fine più grave, in forza di u consolidato orientamento interpretativo che reputa inapplicabili le regole suppletive di cui all’art. 9, commi 2 e 3, cod. proc. pen., ritenute riferib soltanto al procedimento relativo ad un singolo reato (Sez. U, n. 40537 del 16/07/2009, COGNOME, Rv. 244330; Sez. 2, n. 3850 del 21/10/2016, dep. 2017, Cassola e a., Rv. 269246). Tale conclusione è errata perché il Tribunale del riesame non ha tenuto conto del disposto di cui all’art. 9, comma 1, cod. proc. pen., cui l’ordinanza impugnata neppure accenna.
4.1. Come ben chiarito dalla Sezioni unite nella citata sentenza COGNOME, la disposizione da ultimo richiamata, a differenza di quelle contenute nei successivi due commi, detta una regola integrativa dei criteri stabiliti nell’art. cod. proc. pen. che continua ad ancorare l’individuazione del giudice competente al luogo in cui, almeno in parte, è stata realizzata la condotta criminosa e resta dunque applicabile anche nel caso di procedimenti per reati connessi (cfr., da ultimo, Sez. 1, n. 35861 del 19/06/2019, Rv. 276812).
L’art. 9, comma 1, cod. proc. pen., del resto, è certamente riferibile anche ai reati permanenti, come da questa Corte ripetutamente affermato, ad es., con riguardo al delitto di detenzione di sostanze stupefacenti (Sez. 4, n. 31522 del 01/06/2023, COGNOME NOME, Rv. 284959; Sez. 4, n. 24719 del 03/03/2016, NOME, Rv. 267227) e pure laddove la consumazione sia iniziata in territorio estero (cfr. Sez. 4, n. 8665 del 22/01/2010, COGNOME e aNOME, Rv. 246851).
4.2. Ed invero, allorché si versi in questa situazione non ne è certo preclusa l’operatività. In forza della previsione contenuta nell’art. 10, comma 3, cod. proc. pen., disposizione del pari erroneamente non considerata dall’ordinanza impugnata, quando il reato risulta commesso in parte all’estero, la competenza va infatti determinata alla luce degli art. 8 e 9 del codice di rito, ciò che, p quanto appena osservato, rende dunque certamente applicabile anche la regola
integrativa prevista dal primo comma di tale ultimo articolo, giusta la quale, se la competenza non può essere determinata a norma dell’art. 8 (come nel caso in esame, posto che il luogo di inizio della consumazione del reato associativo è stato individuato in territorio estero), la stessa spetta al «giudice del luogo in cu è stato commesso l’ultimo atto diretto a commettere il reato».
Che in territorio italiano si sia volta almeno una parte di condotta del delitto associativo è riconosciuto anche dall’ordinanza impugnata.
Dovendosi al proposito avere riguardo al luogo in cui si è concretamente manifestata, secondo un criterio di effettività, la consumazione del reato associativo, sia con riguardo alla programmazione, ideazione e direzione delle attività illecite commesse in territorio nazionale, sia con riguardo all’esecuzione dei delitti programmati (cfr., per la rilevanza di tali criteri ai fini determinazione della competenza per territorio, Sez. 3, n. 35578 del 21/04/2016, Bilali Bilali e aa., Rv. 267635), secondo la ricostruzione operata nel provvedimento impugnato viene in particolare in rilievo la cittadina di Cerignola, luogo di residenza dei sodali italiani che ricoprivano ruolo apicale e sede della “cellula operativa” italiana secondo quanto si legge nell’ordinanza impugnata.
In particolare, in essa si attesta che Cerignola è identificabile proprio come l’ultimo luogo di manifestazione delle attività del sodalizio: «appare innegabile che diverse condotte preparatorie poste in essere dagli associati, quali l’acquisto e la miscelazione del prodotto, nonché l’organizzazione dei trasporti, siano state compiute all’estero in sedi e basi operative diverse da quella italiana, operativa, invece, come si è detto, nella fase finale dell’attività criminosa».
L’ordinanza impugnata deve pertanto essere annullata con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Trento, che si atterrà ai principi sopra esposti e verificherà se tra i reati-fine rilevanti ai fini della decisione del prese procedimento cautelare sussista la connessione ex art. 12 cod. proc. pen. – lett. b) o lett. c) – con il reato associativo e quale conseguentemente sia il giudice territorialmente competente.
Nel caso di ritenuta incompetenza per territorio del Tribunale di Trento, valuterà il giudice del rinvio se fare applicazione della regola generale fissata nell’art. 27 cod. proc. pen., che disciplina, e contempera, le regole sulla competenza del giudice e quelle legate all’urgenza di assumere provvedimenti in materia cautelare ed è certamente riferibile anche ai sequestri giusta il richiamo agli artt. 317 e 321 cod. proc. pen. Per consolidato orientamento interpretativo, la suddetta efficacia interinale del provvedimento cautelare assunto dal giudice incompetente opera anche laddove l’incompetenza sia stata successivamente
dichiarata in sede d’impugnazione (cfr., quanto alle misure cautelar’ personali, Sez. U, n. 1 del 24/01/1996, COGNOME, Rv. 204164; quanto alie misure cautelari reali, Sez. 6, n. 11637 del 27/02/2020, COGNOME, Rv. 278721). L’adozione di una misura cautelare reale da parte del giudice (dichiaratosi o riconosciuto) incompetente non richiede, peraltro, alcuna ulteriore valutazione in termini di urgenza rispetto alla valutazione degli ordinari presupposti del fumus e del periculum (cfr. Sez. 5, n. 54016 del 30/10/2017, COGNOME e aa., Rv. 271886), diversamente da quanto previsto, per i soli provvedimenti in materia di misure cautelari personali, dall’art. 291, comma 2, cod. proc. pen., ove si prescrive che l’adozione della misura da parte del giudice incompetente postula, altresì, la riconosciuta sussistenza dell’urgenza di soddisfare taluna delle esigenze cautelari previste dall’art. 274 cod. proc. peri. (cfr., sul punto, Sez. U, n. 19214 del 23/04/2020, Giacobbe, Rv. 279092, nella cui motivazione si specifica che il giudice, anche dell’impugnazione, che dichiari la propria incompetenza ex art. 27 cod. proc. pen., deve trasmettere gli atti al pubblico ministero che ha richiesto la misura, cui spettano le conseguenti determinazioni).
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Trento, sezione del riesame.
Così deciso il 13.10.2023