Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 45808 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 45808 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 19/09/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME NOMECOGNOME nato a Palermo il 02/04/1951
avverso la sentenza del 20/11/2023 della Corte di appello di Brescia visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria redatta ai sensi dell’art. 23 d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio alla competente Corte di appello.
Con l’impugnata sentenza, la Corte di appello di Brescia ha confermato l pronuncia resa dal Tribunale di Bergamo, la quale aveva condannato NOME COGNOME alla pena di tre anni e tre mesi di reclusione in relazione al delitt all’art. 8 d.lgs. n. 74 del 2000, perché, quale rappresentante legale dell RAGIONE_SOCIALE al fine di consentire a terzi l’evasione sulle imposte de e sul valore aggiunto, emetteva, nel 2015, nei confronti della RAGIONE_SOCIALE fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, puntualmente indicate capo di imputazione, per un imponibile di 1.707.577,25 euro ed i.v.a. 375.6670 euro.
Avverso l’indicata sentenza, l’imputato, per il tramite del difensor fiducia, propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
2.1. Con un primo motivo deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, let b) ed e), cod. proc. pen. in relazione all’art. 18, comma 1, d.lgs. n. 74 d in riferimento all’incompetenza territoriale del Tribunale di Bergamo a favore Tribunale di Milano. Rappresenta il difensore che il primo accertamento n confronti della RAGIONE_SOCIALE avvenne nel 2016 da parte dell’Agen delle dogane di Milano, accertamento che confluì nella verifica fiscale da p dell’agenzia delle entrate di Bergamo del 12 luglio 2017 nei confronti della RAGIONE_SOCIALE verifica che non procedette ad alcuna ulteriore attiv indagine; successivamente l’Agenzia delle entrate di Milano avviò indagini n confronti della RAGIONE_SOCIALE specificando che l’attività ist scaturì da una segnalazione da parte dell’Agenzia klle entrate di Bergamo. Ad avviso del difensore, pertanto, l’accertamento effettivo nei confronti della so in esame è avvenuto per mano di Agenzie, entrambe con sede a Milano, posto che l’Agenzia delle entrate di Bergamo si è limitata a raccogliere eleme derivati dall’istruttoria condotta dall’Agenzia delle dogane di Milano segnalarli all’Agenzia delle entrate di Milano, così spogliandosi di fatto di attività di verifica e di accertamento, circostanze che hanno trovato confe nelle dichiarazioni dei testi, appartenenti alle Agenzie in questione, escu sede dibattimentale – come riportate, per stralcio nel corpo del ricorso (all e 6) – e che, in ogni caso, erano presenti negli atti sin dalla fase delle La Corte di merito, laddove ha ribadito la competenza dell’A.G. di Bergamo, perciò incorsa in un travisamento, posto che è la stessa Corte ad ammettere c “i verificatori dell’Agenzia delle entrate di Bergamo hanno dato conto de risultanze degli accertamenti svolti nell’agosto 2016 dalla Agenzia delle dog di Milano RAGIONE_SOCIALE, compendiati nel processo verbale
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constatazione acquisito agli atti”, e in tale atto emerge che gli accertamenti nei confronti della società in parola sono stati compiuti dall’Agenzia delle dogane di Milano.
2.2. Con un secondo motivo lamenta la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. d) ed e), cod. proc. pen. in relazione all’art. 8 d.lgs. n. 74 del 2000 travisamento dei dati probatori con riguardo all’elemento oggettivo del reato. Ad avviso del difensore, dalle dichiarazioni rese dal teste COGNOME sintetizzate nel motivo, emerge come le indagini si siano limitate a una serie di accertamenti formali, che nulla dicono in ordine alla genuinità delle operazioni riportate nelle fatture contestate; allo stesso modo la teste COGNOME non ha chiarito quando e dove siano stati effettuati gli accessi, ma ha tuttavia confermato che la merce veniva effettivamente trasportata dalla Germania all’Italia, ciò che attesta la reale esistenza delle transazioni, peraltro corroborata dai documenti di trasporto e dai riscontri bancari.
2.3. Con un terzo motivo eccepisce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 133 cod. pen. e 62-bis cod. pen., posto che, secondo il difensore, la pena sarebbe eccessivamente severa e che i giudici di merito avrebbero dovuto applicare le circostanze attenuanti generiche per adeguare la sanzione alla concreta offensività dei fatti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Il primo motivo è manifestamente infondato.
2.1. L’art. 18 d.lgs. n. 74 del 2000 prevede regole specifiche per la competenza territoriale per i delitti contemplati nel medesimo d.lgs.
Ai fini qui di interesse, il comma 1 così stabilisce: “Salvo quanto previsto dai commi 2 e 3, se la competenza per territorio per i delitti previsti dal presente decreto non può essere determinata a norma dell’articolo 8 del codice di procedura penale, è competente il giudice del luogo di accertamento del reato”.
Al proposito, va ribadito il principio, qui da confermare, secondo cui, per “luogo dell’accertamento” del reato si intende la sede dell’Ufficio in cui è stata compiuta una effettiva valutazione degli elementi che depongono per la sussistenza della violazione, essendo invece irrilevante a tal fine il luogo di acquisizione dei dati e delle informazioni da sottoporre a verifica (Sez. 3, n. 43320 del 02/07/2014, COGNOME, Rv. 260992), giacché solo il loro concreto apprezzamento è in grado di determinare l’accertamento del reato (Sez. 3, n. 11978 del 09/01/2014, COGNOME, Rv. 258732), risolvendosi altrimenti
l’acquisizione della documentazione in un’attività materiale e meccanica laddov affinché un reato sia accertato, è necessaria un’attività valutativa e delibat
2.2. Nel caso di specie, non è contestato che, non essendo emersi elemen per individuare il luogo di consumazione del reato, trova applicazione la reg stabilita dell’art. 18, comma 1, d.lgs. n. 74 del 2000.
Orbene, la Corte di merito ha (nuovamente) rigettato l’eccezione d incompetenza territoriale, sollevata dal ricorrente in favore dell’A.G. di Mi evidenziando che nel processo verbale di constatazione redatto dall’Agenzia del entrate di Bergamo è stata effettuata un’analisi analitica delle fatture e dalla RAGIONE_SOCIALE (si indicano le pagine da 8 a 26 di tale atto) consentito di acquisire elementi tali da comprovare che la società oggetto verifica, ossia la RAGIONE_SOCIALEp.aRAGIONE_SOCIALE, avesse utilizzato fatture per ope soggettivamente inesistenti.
In altri termini, solo incrociando i dati trasmessi dall’Agenzia delle dogan Milano con quelli acquisiti nel corso dell’attività di verifica operata nei co della RAGIONE_SOCIALE.p.aRAGIONE_SOCIALE da parte dell’Agenzia delle entrate di Bergamo, quest’ul ha potuto apprezzare la sussistenza del reato in contestazione, ossia che la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE svolgeva il ruolo di soggetto interposto nella filiera del carosello, ciò che, alla luce del principio dinanzi indicato, corretta individua, quale A.G. territorialmente competente, quella, appunto, di Bergamo.
Il secondo motivo è inammissibile perché di contenuto valutativo e quind estraneo al sindacato di legittimità.
La Corte di merito, infatti, ha ribadito la sussistenza dell’elemento mate del reato sulla base non di meri accertamenti formali, come sostiene il ricorre ma di una serie di elementi ritenuti – certamente in maniera manifestamente illogica – chiaramente indicativi della fittizietà delle presta indicate in fatture, quali: la RAGIONE_SOCIALE aveva una sede fittiz lo studio romano della RAGIONE_SOCIALE; l’oggetto sociale era l’install di impianti di illuminazione stradale e, solo a decorrere dal settembre 20 ossia in concomitanza con l’emissione delle fatture in contestazione – era modificato nel commercio all’ingrosso di materiale per illuminazione; a fron dell’emissione, tra novembre e dicembre 2015, di fatture – quelle di all’imputazione – che ammontavano a 1.700.00 euro, erano state effettuat interrogazioni alle banche dati, da cui risultava che la società non a dipendenti, non aveva mai predisposto bilanci né presentato le dichiarazio fiscali, né aveva mai stipulato contratti per utenze fisse, locazione di immo per eventuali collaboratori.
Sulla base di tali elementi fattuali, i giudici di merito, con valut convergente, hanno appurato la fittizietà soggettiva delle fatture in esame, p che la RAGIONE_SOCIALE pur non risultando aver effettuato altri acq altri Paesi comunitari, cedette alla RAGIONE_SOCIALE i medesimi beni che società – la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE – avevano acquistato ne all’estero da RAGIONE_SOCIALE e da RAGIONE_SOCIALE; invero dalla comparazione delle fatture emesse dal fornitore estero nei confronti di RAGIONE_SOCIALE e da RAGIONE_SOCIALE, da una parte, e da RAGIONE_SOCIALE favore di RAGIONE_SOCIALE, dall’altra, si è accertata la piena identi prestazioni in termini quantitativi, qualitativi e temporali, con la sola diff nel secondo caso, dell’applicazione di un prezzo ribassato, reso possibile risparmio di spesa derivante dall’evasione dell’i.v.a., a conferma che la RAGIONE_SOCIALE svolgeva, nello schema della frode carosello, il ruolo di soggetto interposto.
A fronte di tale ricostruzione, il ricorrente, lungi dall’evidenziare pro illogicità manifesta dalla motivazione, si limita ad opporre censure di fatto, criticare la valutazione delle prove operata dai giudici di merito e solleci una diversa e più favorevole ricostruzione della vicenda, il che fuoriesce ipotesi previste dall’art. 606 cod. proc. pen., essendo normativamente preclus questa Corte la possibilità non solo di sovrapporre la propria valutazione d risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi, ma anche saggiare la tenuta logica della pronuncia portata alla sua cognizione mediante raffronto tra l’apparato argomentativo che la sorregge ed eventuali altri mod di ragionamento mutuati dall’esterno (Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, Jakani, R 216260).
Il terzo motivo è inammissibile in ogni sua articolazione per mancanza specificità.
Il ricorrente, infatti, si limita a censurare il complessivo tratt sanzionatorio, lamentandone l’eccessività, in maniera del tutto generica, se indicare alcun elemento che, ove valutato, avrebbe condotto all’irrogazione una pena più mite, anche in relazione alle circostanze attenuant& generiche, cui applicazione non costituisce un diritto conseguente all’assenza di eleme negativi connotanti la personalità del soggetto, ma richiede elementi di se positivo, dalla cui assenza legittimamente deriva il diniego di concessione d stesse (Sez. 3, n. 24128 del 18/03/2021, COGNOME, Rv. 281590).
Quest’interpretazione è stata avallata dalla Corte costituzionale, la qual chiaramente affermato che, lungi dallo svolgere “una funzione genericamente indulgenziale, quasi si trattasse di un beneficio sistematicamente concess
qualsiasi condannato”, le circostanze in esame consentono al giudice di attribuire rilevanza, ai fini della commisurazione della pena, “a specifiche e puntuali caratteristiche del singolo fatto di reato o del suo autore – non tipizzabili ex ante dal legislatore in ragione della loro estrema varietà, e diverse da quelle che già integrano ipotesi ‘nominate’ di attenuazione della pena – che connotano il fatto di un minor disvalore, rispetto a quanto la conformità della condotta alla figura astratta del reato lasci a prima vista supporre” (sent. n. 197 del 2023).
Il che significa che il riconoscimento delle attenuanti in discorso deve ancorarsi a precisi elementi di fatto, presenti nel caso concreto, indicativi di una minore pericolosità dell’agente, o che comunque lo rendano meno meritevole e bisognoso di pena. E, sul punto, il ricorso è silente, tanto più che la corte di merito ha evidenziato l’insussistenza di elementi meritevoli per una mitigazione della pena in considerazione dei numerosi precedenti penali – di cui uno anche specifico – di cui è gravato l’imputato.
Essendo il ricorso inammissibile e ricorso e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13/06/2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, di 3.000 euro in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 19/09/2024.