Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 44520 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 44520 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 17/09/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME COGNOME nato in Cina 1’8/6/1977
avverso l’ordinanza del 26/03/2024 del Tribunale di Ancona lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo di dichiarare
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 26 marzo 2024 il Tribunale di Ancona ha rigettato la richiesta di riesame presentata da NOME COGNOME nei confronti dell’ordinanza del 4 marzo 2024 del Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale, con la quale era stata applicata al richiedente la misura cautelare della custodia in carcere in relazione a due contestazioni del reato di cui all’art. 8 d.lgs. n. 74 del 2000 (di cui ai capi 129 e 131 della rubrica provvisoria), e anche del reato di cui all’art. 5 del medesimo d.lgs. n. 74 del 2000 (di cui ai capi 130 e 132), e a una contestazione del reato di cui all’art. 648-terl cod. pen. (di cui al capo 132a).
Avverso tale ordinanza l’indagato ha proposto ricorso per cassazione, mediante l’Avvocato NOME COGNOME che lo ha affidato a cinque motivi.
2.1. Con il primo motivo ha denunciato, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. c) ed e), cod. proc. pen., l’errata applicazione degli artt. 9 e 16 cod. proc pen. e dell’art. 18 d.lgs. n. 74 del 2000, con riferimento alla competenza per territorio del Tribunale di Ancona.
Dopo aver riassunto lo svolgimento delle indagini, che avevano condotto alla emissione di altra ordinanza di custodia cautelare nei confronti dello stesso NOME COGNOME in relazione ad altre due contestazioni del reato di cui all’art. 8 d.lgs. n. 7 del 2000 (capi 253 e 254 della rubrica provvisoria, oggetto di altra richiesta di riesame anch’essa rigettata dal medesimo Tribunale di Ancona, nei cui confronti è stato proposto altro ricorso per cassazione, fissato per la decisione all’udienza dell’Il giugno 2024), ha lamentato l’errata applicazione di disposizioni di legge processuale e l’illogicità della motivazione, con riferimento al rigetto della eccezione di incompetenza per territorio del Tribunale di Ancona, ribadendo la rilevanza, con riferimento alla consumazione del più grave reato di cui all’art. 8 d.lgs. n. 74 del 2000, del rinvenimento in Sesto San Giovanni, presso l’abitazione della coindagata COGNOME, del router da questa utilizzato per collegarsi alla utenza mobile 3334998830, a sua volta utilizzata per emettere le fatture ritenute relative a operazioni inesistenti da parte della società RAGIONE_SOCIALE, collegandosi dalla cella telefonica di Sesto San Giovanni, corrispondente alla abitazione della Hu; ha sottolineato anche, sempre nella prospettiva della corretta individuazione del luogo di commissione del reato più grave, la rilevanza del rinvenimento presso la suddetta abitazione della medesima Hu in Sesto San Giovanni di documentazione societaria rilevante e del device sequestrato, nonché, presso un hotel di Cinisello Balsamo, degli elementi dimostrativi della costituzione in tale luogo di un ulteriore luogo di lavoro degli indagati; ha sottolineato anche la evidente illogicità della affermazione del Tribunale circa la scarsa rilevanza del luogo di rinvenimento del router, alla luce del contesto nel
quale lo stesso era stato rinvenuto, ossia nell’ufficio occulto realizzato dalla HU nella sua abitazione di Sesto San Giovanni (al quale si accedeva da una intercapedine del sottotetto).
Ha criticato, sempre in relazione alla corretta determinazione della competenza, anche il mancato rilievo della connessione tra il procedimento a carico del ricorrente e quelli pendenti presso le Procure di Verona e Vicenza per i reati di ricettazione e riciclaggio, conseguenti al rinvenimento da parte della polizia stradale di Vicenza e Verona di cospicue somme di denaro sulla persona del ricorrente e sulle automobili dal medesimo condotte, all’interno di una delle quali erano riposti gli atti costitutivi di società ritenute cartiere, di cui al 253, che connessione che era stata esclusa dal Tribunale di Ancona con motivazione illogica, fondata sulla incertezza della competenza territoriale per i suddetti reati di ricettazione e riciclaggio, essendo, in realtà, stato esattamente determinato il luogo di accertamento di tali reati e potendo quindi farsi ricorso al relativo criterio determinativo della competenza per territorio.
Ha censurato anche l’applicazione del criterio di determinazione della competenza di cui all’art. 18 d.lgs. n. 74 del 2000, trattandosi di criterio da applicare in via residuale rispetto a quelli stabiliti dall’art. 8 cod. proc. pen. richiama la sentenza n. 29519 del 2019), e anche la mancata applicazione dei criteri di cui all’art. 9 cod. proc. pen.
2.2. Con il secondo motivo ha denunciato, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. c) ed e), cod. proc. pen., l’errata applicazione di disposizioni di leg processuale e un vizio della motivazione, nella parte relativa alla affermazione della sussistenza di gravi indizi di responsabilità a carico del ricorrente in ordine al delitto di autoriciclaggio di cui al capo 132a), che sarebbe stata ribadita senza adeguatamente considerare e confutare i rilievi sollevati dalla difesa con la richiesta di riesame, con i quali era stata evidenziata l’assenza di elementi dai quali desumere il ruolo del ricorrente nel contestato trasferimento in Cina delle somme derivanti dall’attività illecita di emissione di fatture per operazioni inesistenti.
Il Tribunale, in particolare, avrebbe ribadito la sussistenza di gravi indizi di responsabilità a carico del ricorrente in relazione a detto reato esclusivamente sulla base del rinvenimento presso il domicilio e l’abitazione di un terzo (la Hu) di strumenti utilizzabili per disporre bonifici di pagamento telematicamente (carte bancarie e codici pin), in assenza di riscontri circa la commissione da parte del ricorrente delle condotte di autoriciclaggio descritte nel capo di incolpazione, attribuite al ricorrente solamente sulla base della sua veste di amministratore di fatto della società RAGIONE_SOCIALE e della RAGIONE_SOCIALE di Wang COGNOME, omettendo di considerare la ragione alternativa della frequentazione della casa della Hu da
parte del ricorrente COGNOME costituita dalla relazione sentimentale intrattenuta dal ricorrente con la stessa.
2.3. Con il terzo motivo ha denunciato, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., l’errata applicazione degli artt. 5 e 8 d.lgs. n. 74 de 2000 e un ulteriore vizio della motivazione, che sarebbe manifestamente illogica e carente di risposta alle doglianze difensive, con riferimento alla affermazione della sussistenza di gravi indizi di responsabilità a carico del ricorrente in relazione ai reati di cui ai capi 129, 130, 131 e 132 della rubrica provvisoria.
Gli indizi di tali reati sarebbero stati desunti, in modo illogico, dai rapport con la Hu e dal rinvenimento di documenti e strumenti nel domicilio e nella abitazione di quest’ultima, traendone in modo illogico la veste di amministratore di fatto delle società “cartiere” in capo al ricorrente, senza elementi dimostrativi del ruolo di dominus o ideatore del sistema fraudolento (si richiama la sentenza n. 42197 del 2019).
2.4. Con un quarto motivo ha denunciato, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. c) ed e), cod. proc. pen., la violazione dell’art. 274 cod. proc. pen. e u altro vizio della motivazione, nella parte relativa alla affermazione della sussistenza delle esigenze cautelari.
Ha censurato l’affermazione del Tribunale secondo cui il pericolo di reiterazione di condotte illecite sarebbe ravvisabile in considerazione della vicinanza cronologica con i fatti in cui si è manifestata la potenzialità criminale dell’indagato, giacché ciò comporta un inammissibile automatismo ed elude la necessaria indagine sulla concretezza e attualità delle esigenze cautelari.
Ha, inoltre, evidenziato l’erroneità della affermazione della disponibilità da parte del ricorrente dei documenti e del denaro rinvenuti nella abitazione della Hu, nella quale il ricorrente medesimo si trovava esclusivamente in ragione della relazione sentimentale che lo legava a costei, e anche quella della disponibilità di ingenti somme di denaro da parte del ricorrente, non essendovi alcun accertamento sul punto, posto che i relativi procedimenti presso le Procure di Verona e Vicenza erano ancora nella fase delle indagini preliminari.
Quanto al ravvisato rischio di inquinamento probatorio ne ha evidenziato il carattere congetturale, essendo stato ritenuto sussistente non sulla base di comportamenti tenuti dall’indagato o di specifici dati emergenti dagli atti, bensì, in modo illogico, dall’astratto interesse del ricorrente a inquinare le prove e dalla mancata confessione, sottolineando anche la violazione dell’art. 292, secondo comma, lett. d), cod. proc. pen. in conseguenza della mancata fissazione della data di scadenza della misura in relazione alle indagini da compiere.
Analoghe censure ha sollevato con riferimento al pericolo di fuga, ritenuto sussistente sulla base del ritrovamento di atti e documenti nella disponibilità della Hu e non del ricorrente presso l’abitazione della prima e senza considerare
che il ricorrente risiede in Italia dal 1995, laddove vivono anche la consorte e i tre figli.
2.5. Infine, con un quinto motivo, ha lamentato, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. c), ed e), cod. proc. pen., la violazione dell’art. 275 cod. proc. pen. e un ulteriore vizio della motivazione, nella parte relativa alla ritenuta inapplicabilità di misure meno afflittive, esclusa in assenza di elementi concreti dimostrativi della inidoneità degli arresti domiciliari richiesti dal ricorrente pres l’abitazione di un amico in Rimini.
Il Procuratore Generale ha concluso per l’inammissibilità del ricorso, sottolineando la corretta determinazione del luogo di consumazione del reato ai sensi dell’art. 18 d.lgs. n. 74 del 2000, essendo allo stato ignoto il luogo di emissione delle fatture relative a operazioni inesistenti; la correttezza della valutazione dei dati indiziari in ordine alla realizzazione del delitto autoriciclaggio e al ruolo gestorio svolto dal ricorrente e alla sussistenza delle esigenze cautelari.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
Il primo motivo, mediante il quale è stato censurato il rigetto della eccezione di incompetenza per territorio del Tribunale di Ancona, è inammissibile, essendo volto, tra l’altro riproducendo il corrispondente motivo di riesame senza significativi elementi di novità critica, a censurare valutazioni di merito in ordine ad aspetti di fatto, ossia circa l’impossibilità di individuare il luogo di consumazione del più grave reato di cui all’art. 8 d.lgs. n. 74 del 2000 contestato al ricorrente, che ha determinato l’applicazione del criterio di cui all’art. 18 d.lgs. n. 74 del 2000, valutazioni che sono state giustificate in modo logico dal Tribunale, con motivazione idonea, non sindacabile sul piano delle valutazioni di merito nel giudizio di legittimità.
Giova, in premessa, ricordare che in tema di emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti di cui all’art. 8 d.lgs. n. 74 del 2000, i «luogo in cui il reato è stato consumato», previsto come criterio determinativo della competenza dall’art. 8, comma 1, cod. proc. pen. – dalla cui inapplicabilità discende la competenza del «giudice del luogo di accertamento del reato», ex art. 18, comma 1, d.lgs. n. 74 del 2000 – deve essere individuato in base a elementi oggettivi e idonei a fondare una ragionevole certezza al momento dell’esercizio dell’azione penale, ovvero, se la decisione deve essere assunta anteriormente, allo stato degli atti, e non coincide necessariamente con la sede
dell’ente cui è attribuibile la falsa emissione dei documenti fiscali (Sez. 3, n. 11216 del 19/02/2021, COGNOME, Rv. 281568).
Il principio dell’individuazione del «luogo in cui il reato è stato commesso» sulla base di elementi oggettivi e non di mere ipotesi risponde alla necessità di assicurare che l’attribuzione della competenza avvenga sulla base di valutazioni oggettivamente verificabili, e non, invece, eccessivamente discrezionali e altamente opinabili, in contrasto, innanzitutto, con il principio della precostituzione per legge del giudice naturale, di cui all’art. 25, primo comma, Cost., e, poi, anche con le esigenze di stabilità del processo, implicite nel principio di ragionevole durata dello stesso, fissato dall’art. 111, secondo comma, Cost.
L’accertamento del «luogo in cui il reato è stato commesso», con riferimento alla fattispecie di cui all’art. 8 d.lgs. n. 74 del 2000, non può dirsi fondato sul base di elementi oggettivi anche nel caso in cui sia individuata la sede dell’ente cui è attribuibile l’emissione delle fatture o degli altri documenti per operazioni inesistenti.
Innanzitutto, infatti, non può dirsi rispondente a una massima di esperienza l’affermazione secondo cui le false fatture, almeno quando riguardano operazioni del tutto inesistenti, sono state emesse nel luogo in cui ha sede la ditta di emissione.
Invero, proprio perché si tratta di documenti del tutto mendaci, e di “comodo” per altri soggetti, non vi sono ragioni per ritenere con ragionevole certezza che gli stessi, per ciò solo, siano stati emessi o rilasciati nel luogo in cui ha formalmente sede la ditta cui sono riferibili.
Nel caso in esame non è contestato che le imprese emittenti le fatture ritenute relative a operazioni inesistenti, con sede apparente in Lombardia, venivano costituite per un breve tempo e al solo scopo di operare illecitamente, ossia per emettere una serie indeterminata di fatture per operazioni oggettivamente inesistenti a benefico di imprese dislocate nell’intero territorio nazionale, senza che a ciò seguissero i dovuti versamenti di imposta.
I giudici di merito, partendo dal dato obiettivo che si trattava di “società cartiere” totalmente destrutturate, in relazione alle quali non è individuabile la sede operativa e non è possibile stabilire dove siano state emesse le fatture per operazioni inesistenti, hanno valorizzato come criterio attributivo della competenza il luogo ove è insediata l’Autorità giudiziaria che ha analizzato gli elementi e la documentazione idonea a integrare i fatti per cui si procede.
Pertanto, è coerente con tali premesse la conclusione secondo la quale la competenza va determinata nel luogo di accertamento, individuabile in quello in cui ha sede l’Autorità Giudiziaria che ha compiuto un’effettiva valutazione degli elementi che depongono per la sussistenza della violazione, essendo invece
irrilevante il luogo di acquisizione dei dati e delle informazioni da sottoporre a verifica (così Sez. 3, n. 42147 del 15/07/2019, Reale, Rv. 277984).
In particolare, il Tribunale ha escluso la rilevanza al fine dell’accertamento del luogo di consumazione del reato, del rinvenimento nella abitazione della coindagata Hu in Sesto San Giovanni di un router, che sarebbe stato utilizzato per l’emissione e la spedizione delle fatture oggetto della contestazione, sottolineando che si tratta di un apparecchio di piccole dimensioni facilmente trasportabile e che non vi erano elementi certi per ritenere che fosse stato utilizzato per l’emissione delle fatture, tantomeno in Sesto San Giovanni, dalla abitazione della RAGIONE_SOCIALE
Le censure del ricorrente sul punto sono volte a conseguire una rivisitazione di tali considerazioni, sulla base di una diversa valutazione delle risultanze istruttorie, tra cui il rinvenimento nella suddetta abitazione della Hu di documenti societari e l’individuazione di un altro luogo che sarebbe stato utilizzato come sede sociale (un hotel di Cinisello Balsamo), risultanze che, però, sono state considerate in modo logico dal Tribunale, che ha spiegato chiaramente e in modo non manifestamente illogico le ragioni della non decisività degli elementi di fatto evidenziati dal ricorrente per poter ritenere accertato il luogo di emissione delle fatture ritenute relative a operazioni inesistenti, cosicché le doglianze del ricorrente risultano inammissibili, sia perché sono ripropositive dei motivi di riesame (posto che il ricorso per cassazione fondato sugli stessi motivi proposti in sede di impugnazione e motivatamente respinti da parte del giudice del gravame deve ritenersi inammissibile, sia per l’insindacabilità delle valutazioni di merito adeguatamente e logicamente motivate, sia per la genericità delle doglianze che, solo apparentemente, denunciano un errore logico o giuridico determinato, in termini v. Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, COGNOME, Rv. 276970; Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014, COGNOME e altri, Rv. 260608; Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, COGNOME e altro, Rv. 243838; Sez. 5, n. 11933 del 27/01/2005, COGNOME, Rv. 231708); sia perché sono volte a sindacare sul piano delle valutazioni di merito l’apprezzamento e la considerazione delle risultanze investigative, allo scopo di ottenerne una lettura alternativa, da contrapporre a quella dei giudici di merito, che non è manifestamente illogica e non è, dunque, suscettibile di rivalutazione nel giudizio di legittimità. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Analoghe considerazioni possono essere svolte per quanto riguarda la connessione con i reati di ricettazione e riciclaggio, peraltro meno gravi di quello di emissione di fatture per operazioni inesistenti, giacché anche a questo proposito il Tribunale ha escluso l’esistenza di elementi certi in ordine al luogo di consumazione di tali reati, stante la non decisività del fermo in territorio dei circondari di Vicenza e Verona dell’automobile del ricorrente in occasione del trasporto di denaro di provenienza illecita, facendo, nuovamente, corretto
ricorso, per la determinazione della competenza per territorio, al criterio di cui all’art. 18, comma 1, d.lgs. n. 74 del 2000.
Tali considerazioni, non manifestamente illogiche ma, anzi, pienamente razionali, sono state, nuovamente, censurate esclusivamente sul piano dell’apprezzamento delle risultanze istruttorie e della valutazione della loro portata, dunque, ancora una volta, in modo non consentito nel giudizio di legittimità, nel quale è esclusa la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia pure anch’essa logica, dei dati processuali, o una diversa ricostruzione storica dei fatti, o un diverso giudizio di rilevanza, o comunque di attendibilità delle fonti di prova (Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, COGNOME, Rv. 276970, cit.; Sez. 2, n. 7667 del 29/01/2015, COGNOME, Rv. 262575; Sez. 3, n. 12226 del 22/01/2015, G.F.S., non massimata; Sez. 3, n. 40350, del 05/06/2014, C.C. in proc. M.M., non massimata; Sez. 3, n. 13976 del 12/02/2014, P.G., non massimata; Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, COGNOME, Rv. 253099; Sez. 2, n. 7380 del 11/01/2007, Messina ed altro, Rv. 235716).
Il secondo motivo, mediante il quale è stata denunziata una erronea applicazione della legge processuale con riferimento alla asserita sussistenza della gravità indiziaria in ordine al reato di autoriciclaggio di cui al capo 132a) della rubrica provvisoria, in carenza della prova certa o quantomeno documentabile – in termini di qualificata probabilità di colpevolezza dell’avvenuto trasferimento verso la Repubblica Popolare Cinese di cospicue somme di denaro (nella specie, pari a euro 51.814.510), è manifestamente infondato, essendo volto, anch’esso, a censurare sul piano delle valutazioni di merito l’apprezzamento e la valutazione delle risultanze investigative.
Il Tribunale ha, infatti, ritenuto sussistente la gravità indiziaria a carico de ricorrente anche in relazione a tale reato non sulla base dei suoi rapporti personali con la coindagata Hu, bensì sulla base di una pluralità di elementi indiziari, ritenuti, in modo non illogico, univocamente dimostrativi della sua partecipazione ai trasferimenti illeciti di denaro, elementi costituiti:
dal rinvenimento nella abitazione comune del ricorrente e della Hu dei documenti di identità e del permesso di soggiorno di NOME COGNOMEamministratore della RAGIONE_SOCIALE e della RAGIONE_SOCIALE utilizzate per trasferimenti di denaro) e di documentazione bancaria relativa alla RAGIONE_SOCIALE, oltre che della somma in contanti di 1.580.400,00 euro e di documenti di identità di cittadini cinesi, di cui alcuni contraffatti, oltre che e di documentazion amministrativa e bancaria relativa a numerose altre società ritenute “cartiere”;
dalla disponibilità da parte del ricorrente e della Hu degli strumenti bancari della RAGIONE_SOCIALE e della RAGIONE_SOCIALE;
dal rinvenimento nella abitazione della Hu in Sesto San Giovanni degli atti relativi al sequestro del denaro trasportato dal ricorrente;
dal rinvenimento, nella suddetta abitazione di Sesto San Giovanni, all’interno di un locale adibito a ufficio occulto, insieme alla somma in contanti di euro 500.000,00 in banconote di vario taglio, di copiosa documentazione amministrativa e contabile relativa a società “RAGIONE_SOCIALE” e dell’estratto conto del ricorrente.
Sulla base di tali, invero univoche, risultanze il Tribunale ha ravvisato la gravità indiziaria a carico del ricorrente anche in relazione al delitto di autoriciclaggio di cui al capo 132a) e tale conclusione, fondata, come notato, su un apprezzamento razionale degli elementi indiziari, è stata censurata esclusivamente sul piano della lettura e dell’apprezzamento di detti elementi indiziari, dunque, nuovamente, in modo non consentito nel giudizio di legittimità.
Anche il terzo motivo, mediante il quale sono state lamentate l’errata applicazione degli artt. 5 e 8 d.lgs. n. 74 del 2000 e un vizio della motivazione, con riferimento alla affermazione della sussistenza di gravi indizi di responsabilità a carico del ricorrente anche in relazione ai reati di cui ai capi 129, 130, 131 e 132 della rubrica provvisoria, è inammissibile per ragioni analoghe, essendo, anche a questo proposito, meramente ripropositivo del corrispondente motivo di riesame e volto a sindacare la valutazione della rilevanza e del significato degli elementi indiziari acquisiti nel corso delle indagini.
Il Tribunale, dopo aver ricostruito il complesso sistema delittuoso, finalizzato al conseguimento di profitti illeciti mediante l’emissione di fatture per operazioni inesistenti, profitti poi trasferiti in Cina, ha, infatti, ribadito la sussiste elementi indizianti a carico del ricorrente anche in relazione ai reati di emissione di fatture per operazioni inesistenti e di omessa presentazione delle dichiarazioni Iva, di cui ai suddetti capi 129, 130, 131 e 132, oltre che sulla base degli elementi già evidenziati a proposito del delitto di autoriciclaggio, sottolineando anche la totale promiscuità nella detenzione dei documenti e dei dispositivi bancari relativi alle società “cartiere” e del denaro rinvenuto in occasione della perquisizione eseguita presso la suddetta abitazione della Hu, laddove dimorava anche il ricorrente, traendone, in modo logico, la piena condivisione dei traffici illeciti tra la Hu e il ricorrente.
Si tratta, anche a questo proposito, di motivazione idonea e fondata su argomenti logici, censurata, nuovamente, esclusivamente sul piano della lettura e della valutazione delle risultanze investigative, dunque, ancora, in modo non consentito in sede di legittimità, con la conseguente inammissibilità anche di tale censura.
Il quarto motivo, relativo alle esigenze cautelari, non è fondato.
A sostegno della affermazione della sussistenza del pericolo di reiterazione di condotte dello stesso genere e del pericolo di fuga il Tribunale ha sottolineato la circostanza che il ricorrente è stato fermato in due occasioni mentre trasportava ingenti somme di denaro ed è stato trovato in possesso dei documenti di identità degli amministratori delle società ritenute “cartiere”, nonché di documenti amministrativi e bancari di tali società, ed anche di ingenti somme di denaro contante, oltre che di svariati documenti di identità, anche validi per l’espatrio, di cui alcuni contraffatti, intestati al ricorrente, traendone modo logico, la prova della estensione e della organizzazione della attività illecita, realizzata in modo stabile e organizzato e anche attraverso contatti con numerosi soggetti, anche stranieri, e, quindi, anche del pericolo di reiterazione di condotte dello stesso genere (desunto dalla stabilità e dalla articolazione dell’organizzazione delittuosa) e di quello di fuga (ricavato dai contatti con l’estero e dalla disponibilità di documenti contraffatti): si tratta di motivazion idonea a giustificare la affermazione della sussistenza di dette esigenze cautelari, desunte da elementi ritenuti in modo logico univocamente dimostrativi di tali pericoli, che il ricorrente ha censurato sul piano valutativo, contestando le conclusioni raggiunte dal Tribunale sulla base degli elementi disponibili, in termini di mero dissenso, senza individuare violazioni di disposizioni di legge penale o processuale o vizi della motivazione, bensì proponendo una diversa valutazione dei medesimi elementi, in tal modo formulando, anche a questo proposito, censure non consentite nel giudizio di legittimità.
Le censure svolte a proposito del pericolo di inquinamento probatorio, giustificato dal Tribunale in modo generico, con la mancata ammissione degli addebiti da parte del ricorrente e con il suo, conseguente, interesse a esercitare pressioni e condizionamenti nei confronti degli altri soggetti coinvolti nella vicenda, sono prive di decisività, alla luce della adeguatezza della motivazione in ordine alle altre esigenze cautelari, in quanto le esigenze cautelari relative al pericolo di inquinamento delle prove, di fuga e di reiterazione del reato previste dall’art. 274 cod. proc. pen. non devono necessariamente concorrere, bastando anche l’esistenza di una sola di esse per giustificare o confermare, in sede di riesame, l’adozione del provvedimento (Sez. 3, n. 15980 del 16/04/2020, COGNOME, Rv. 278944 – 02; Sez. 3, n. 35973 del 03/03/2015, COGNOME, Rv. 264811 – 01), con la conseguenza che il vizio di carenza di motivazione in ordine a una di esse risulta privo di incidenza sulla persistenza della misura, che continua a essere validamente sorretta dalle altre esigenze adeguatamente giustificate.
Il quinto motivo, concernente l’adeguatezza della misura applicata al ricorrente, è manifestamente infondato, in quanto anche tale censura si pone in termini di mero dissenso rispetto alla valutazione dei giudici di merito, che hanno adeguatamente giustificato la conferma della applicazione della custodia in carcere sottolineando la gravità dei fatti, la pluralità e la reiterazione dell condotte, le modalità delle stesse, realizzate avvalendosi anche di strumenti informatici e di una ampia, stabile e collaudata organizzazione, fondata anche sulla creazione per brevi periodi di tempo di società “cartiere” totalmente prove di struttura: si tratta di motivazione idonea a giustificare il diniego di una misura meno afflittiva, che risulterebbe inidonea, alla luce della personalità del ricorrente e delle modalità delle condotte, realizzabili anche da una dimora privata, a salvaguardare il pericolo di reiterazione e di fuga, con la conseguente manifesta infondatezza dei rilievi sollevati sul punto dal ricorrente, che si pongono, anche a questo riguardo, in termini di mero dissenso valutativo.
In conclusione il ricorso deve essere rigettato, a cagione della infondatezza del quarto motivo e della inammissibilità del primo, del secondo, del terzo e del quinto motivo.
Al rigetto del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 17/9/2024