Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 13824 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 13824 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 06/03/2025
SENTENZA
sul ricorso di NOME COGNOME nato in Albania il 29/03/1995, avverso la sentenza in data 30/05/2024 della Corte di appello di Genova, visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; dato atto che l’avv. NOME COGNOME la quale aveva chiesto la trattazione orale, non si è presentata
RITENUTO IN FATTO
1.Con sentenza in data 30 maggio 2024 la Corte di appello di Genova ha confermato la sentenza in data 16 febbraio 2023 del Tribunale di Genova che aveva condannato NOME COGNOME alle pene di legge per violazioni in concorso dell’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990, consistenti nella detenzione di 98,003 grammi di cocaina, da cui era possibile ricavare 523 dosi (capo 2) e nel trasporto in Francia di circa 50 chili di marijuana (capo 4).
Il ricorso consta di trenta pagine, compresa la procura speciale, non numerate, e censura la sentenza per violazione di legge e vizio di motivazione con
riferimento al rigetto dell’eccezione di incompetenza per territorio in favore del Tribunale di Roma, nonostante fosse stata tempestivamente proposta e sussistesse la connessione teleologica con il reato associativo di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 commesso da altri soggetti (primo motivo), all’accertamento di responsabilità, non essendo emersi solidi elementi di giudizio a suo carico (secondo motivo), all’interpretazione delle intercettazioni, perché non era stato spiegato per quale ragione i loquenti parlassero proprio di lui (terzo motivo).
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è manifestamente infondato.
3.1. Il primo motivo sulla competenza territoriale si articola in due parti: una processuale relativa alla tempestiva formulazione dell’eccezione e l’altra sostanziale relativa alla connessione teleologica con il reato associativo commesso da altri soggetti, tra cui quelli che avevano concorso con l’imputato nelle due violazioni dell’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990, e trasferito a Roma. Non mette conto entrare nella questione processuale perché i Giudici hanno rigettato l’eccezione di incompetenza nel merito, come si desume da entrambe le sentenze. Nella prima sentenza, dopo il richiamo delle ordinanze del 20 luglio 2022 e del 22 settembre 2022, si legge che l’imputato era rimasto estraneo al reato associativo, che il reato di detenzione della cocaina era stato commesso prima del 13 settembre 2016, data di inizio dell’associazione, che non erano emersi in dibattimento elementi dimostrativi del reato dell’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 e di collegamento dell’imputato al reato associativo. Nella seconda sentenza, vi è un riferimento alla tardività dell’eccezione contenuto nelle ordinanze, ma poi si ribadiscono tutti gli argomenti di merito già svolti dal Tribunale a sostegno del rigetto dell’eccezione nel merito. Il ricorrente si confronta con tak motivazione ma allegando dati non significanti. Afferma che il collegamento con il reato associativo era desumibile “da alcuni esigui frammenti di indagine”: il rapporto di parentela con alcuni sodali dell’associazione, la consegna al cugino NOME COGNOME della propria utenza intestata, la verifica a mezzo servizi di osservazione, controllo e pedinamento delle frequentazioni dell’imputato con cugini e sodali sia a Roma che a Genova, la soddisfazione del gruppo per il successo dell’esportazione di marijuana in Francia, operazione alla quale aveva partecipato come staffettista e autista di riserva del cugino NOMECOGNOME Osserva ulteriormente che per il reato di detenzione della cocaina non era stato individuato il luogo di ricezione dello stupefacente e per il reato di trasporto della marijuana era certo che l’acquisto non era avvenuto a Genova. In ogni caso, l’organizzazione aveva sede a Roma; era certo che i due episodi criminosi erano tra di loro collegati e si iscrivevano nelle attività dell’associazione;
dalle intercettazioni era emerso lo stretto collegamento tra l’imputato e gli altri sodali che avevano parlato del danno, dovuto alla perdita di un carico ) per il sequestro, che egli aveva provocato per pigrizia e negligenza nella custodia dello stupefacente. Le deduzioni svolte dalla difesa, basate su esigui frammenti di indagini, come ammesso nel motivo, sono rivalutative e disancorate dalle risultanze processuali. In questo processo non è stata accertata l’esistenza dell’associazione ma solo due violazioni in concorso dell’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990. E’ evidente che il Pubblico ministero non ha ritenuto sufficienti gli elementi raccolti ai fini della configurazione della partecipazione dell’imputato al reato associativo, non essendo all’uopo decisivi né il rapporto di parentela e di frequentazione dell’imputato con alcuni sodali né l’omogeneità della tipologia di affari trattati, e d’altra parte non sono noti né l’esito del procedimento relativo all’associazione né le prove colà raccolte. La giurisprudenza di legittimità ha chiarito in plurime occasioni che, nel caso di reati connessi, la competenza si determina avendo riguardo alla contestazione formulata dal pubblico ministero, a meno che questa non contenga errori rilevanti, macroscopici e immediatamente percepibili (Sez. 3, n. 38491 del 20/06/2024, Silipo, Rv. 287050 – 02) e che nel caso di reato associativo e di reati fine la connessione è configurabile solo nell’ipotesi in cui risulti che, fin dalla costituzione del sodalizio criminoso o dall’adesione ad esso, i singoli partecipi, nell’ambito del generico programma criminoso, avevano già individuato uno o più specifici fatti di reato, dagli stessi poi effettivamente commessi (tra le più recenti, Sez. 2, n. 45337 del 04/11/2015, Preci, Rv. 265031 – 01). Nel caso in esame, come detto, non è noto se sia stata raggiunta la prova dell’esistenza dell’associazione e, d’altra parte, l’episodio della detenzione di cocaina si è verificato prima della nascita dell’associazione secondo la contestazione, mentre l’episodio dell’esportazione della marijuana in concorso con NOME COGNOME nonché con NOME COGNOME e NOME COGNOME (per cui si è proceduto separatamente) è stato desuntoAuattro ambientali, stimate insufficienti a provare la partecipazione dell’imputato nel reato associativo. La giurisprudenza è ferma nel ritenere che lo svolgimento dell’attività di “corriere” per conto del sodalizio non costituisce, in sé ed automaticamente, prova della partecipazione al reato associativo, qualora non venga dimostrato che il soggetto agente, consapevole dell’esistenza di un sodalizio volto alla commissione di una serie indefinita di reati nel settore degli stupefacenti, aderisca volontariamente a tale programma ed assicuri la sua stabile disponibilità ad attuarlo (Sez. 6, n. 44359 del 15/10/2024, Bernardo, Rv. 287369 – 01). Tale principio vale a maggior ragione per la staffetta che costituisce un livello più basso. La motivazione non è manifestamente illogica o contraddittoria e resiste alle censure sollevate. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
3.2. Il secondo e il terzo motivo attengono alla valutazione della prova e all’accertamento della responsabilità e possono essere trattati congiuntamente. La
tesi propugnata si fonda sull’incertezza interpretativa delle intercettazioni tra i concorrenti. Il ricorrente esprime dubbi sul fatto che i loquenti stiano parlando di lui sia con riferimento al primo che al secondo episodio. Sul punto va riaffermato il principio di diritto secondo cui l’interpretazione delle intercettazioni è questione di fatto non sindacabile dal giudice di legittimità, a meno della sua illogicità (Sez. 3, n. 44938 del 05/10/2021, COGNOME, Rv. 282337 – 01). Nello specifico, per il primo episodio, il Tribunale ha fondato la responsabilità dell’imputato in particolare sull’intercettazione della conversazione tra NOME COGNOME (cugino) e NOME COGNOME, progressivo 1131 del 22/05/2017, pag. 23 della perizia, riportata a pag. 22 della sentenza e sull’intercettazione della conversazioni tra il concorrente, NOME COGNOME e altro soggetto non identificato, progressivo 825 del 21 gennaio 2018, pag. 28 della perizia, riportata a pag. 23 della sentenza. Ha ricostruito in fatto che la cocaina era stata trovata accidentalmente da un addetto alle pulizie nel portalampada dell’ascensore del fabbricato ove aveva dimorato NOME COGNOME con la sua famiglia per un breve periodo. Nelle due intercettazioni i loquenti avevano commentato l’episodio duramente ritenendo NOME responsabile dell’incidente per la sua pigrizia e negligenza e nell’ambientale del 2018 COGNOME aveva indicato anche il quantitativo di cocaina perso, esattamente corrispondente a quello rinvenuto nell’ascensore. L’imputato ritiene insufficienti gli elementi a suo carico, mentre è pacifico in giurisprudenza che, qualora gli elementi a carico di un soggetto siano costituiti dalle dichiarazioni tra terzi, captate nel corso di operazioni di intercettazione, il giudice è chiamato ad un rigoroso apprezzamento delle risultanze processuali potenzialmente idonee ad invalidare il rilievo accusatorio delle dichiarazioni stesse (Sez. 6, n. 5073 del 19/12/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258523 – 01). In particolare, nel caso in esame, oltre al sequestro della cocaina, vi sono due intercettazioni a distanza di molto tempo l’una dall’altra e tra soggetti diversi che rendono certa la responsabilità dell’imputato, il quale peraltro non allega elementi di valutazione o interpretazione alternativa. Analoghe considerazioni devono svolgersi per l’episodio del trasporto della marijuana in Francia per il quale, a dispetto del mancato sequestro dello stupefacente, vi sono numerose intercettazioni che spiegano i contorni dell’operazione del 18 marzo 2017 e vi è il servizio di monitoraggio delle auto, in particolare da Genova, in una delle quali vi era proprio l’imputato (pag. 26-45 della sentenza di primo grado e 13 della sentenza di secondo grado).
3.3. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata, i ragione della consistenza della causa di inammissibilità del ricorso, in vi
equitativa, di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende
Così deciso, il 6 marzo 2025
Il Consigliere estensore