Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 4220 Anno 2024
RITENUTO IN FATTO Presidente: COGNOME NOME
Penale Sent. Sez. 3 Num. 4220 Anno 2024
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 13/10/2023
Il Tribunale di Trento, in sede di riesame, con ordinanza del 9 marzo 2023 ha rigettato il riesame proposto da COGNOME NOME avvero il provvedimento del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Trento del 20 novembre 2022 (integrata il 28 dicembre 2022) che aveva disposto numerose misure cautelari, personali e reali, nei confronti di molteplici indagati e nei riguardi del ricorrente l’obbligo di dimora relativamente ai reati di cui agli art. 40, comma 1 lettera B e comma 4, d. Igs. 504 del 1995 e art. 416 cod. pen. e 61 bis cod. pen.
Ricorre in cassazione COGNOME NOME, deducendo i motivi di seguito enunciati, nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att., c.p.p.
1. Violazione di legge (art. 16, 12, 10, 9 e 8 cod. proc. pen.; art. 61 bis, 416 cod. pen., 40 e 49 d. Igs. 50 del 1995); difetto assoluto e illogicità della motivazione.
La difesa aveva prospettato al Tribunale del riesame la questione dell’incompetenza territoriale del Tribunale di Trento in favore del Tribunale di Foggia in quanto la presunta associazione a delinquere diretta ad evadere le accise (dai prodotti energetici per autotrazione) sarebbe stata costituita in Cerignola.
Nella memoria depositata per la discussione la questione era rappresentata specificamente al Tribunale del riesame.
L’ordinanza impugnata ha ritenuto la competenza territoriale del Tribunale di Trento in relazione ad una attività, non meglio precisata, all’estero dell’associazione ex art. 416 cod. pen.
Tuttavia, non si configura l’aggravante dell’art. 61 bis del cod. pen., in quanto non sussiste “l’alterità” tra il gruppo criminale operante in Italia e quello all’estero, essendoci, invece,
immedesimazione e coincidenza tra le strutture criminose (vedi Cassazione 2015, n. 4435).
Il Tribunale del riesame, però, accerta che l’unico luogo dove si sarebbe consumata parte della condotta associativa, in Italia, sarebbe Cerignola – presso l’area di parcheggio dove sono state posizionate telecamere -. Conseguentemente la competenza territoriale risulta del Tribunale di Foggia, per la ratio dell’art. 16 cod. proc. pen.
Trento è una località emersa in modo del tutto occasionale in quanto la Guardia RAGIONE_SOCIALE ha operato un sequestro il 16 settembre 2020, di un autotreno. Il mezzo sequestrato, peraltro, era destinato a Cerignola.
2. Violazione di legge (art. 324, settimo comma, e 309, nono comma, cod. proc. pen.; art. 125 cod. proc. pen., 40, 49 d. Igs. 50 del 1995, 110 e 416 cod. pen.); difetto assoluto di motivazione.
La difesa aveva eccepito al Tribunale del riesame la nullità del provvedimento del giudice delle indagini preliminari per mancanza dell’autonoma valutazione dei presupposti di fatto e di diritto per le misure cautelari personali; la difesa aveva eccepito, quindi, la nullità del provvedimento genetico della misura cautelare.
Per il Tribunale del riesame il Giudice per le indagini preliminari, invece, avrebbe compiuto una autonoma valutazione per aver trattato la questione della competenza territoriale in modo autonomo rispetto alla richiesta del P.M. e per aver considerato atti di indagine diversi da quelli posti a fondamento della richiesta; inoltre, avrebbe applicato misure cautelari diverse da quelle richieste dall’accusa.
Le motivazioni del Tribunale del riesame sono prive di qualsiasi indicazione specifica e si risolvono in una motivazione apparente. Del resto, proprio sulla competenza territoriale (anche con l’integrazione successiva dell’originaria ordinanza) il giudice per le indagini preliminari pedissequamente segue l’impostazione, in fatto ed in diritto, del P.M., per il quale il reato più grave deve individuarsi nel reato associativo.
Il sodalizio è stato ritenuto sussistente in considerazione della accertata consumazione dei reati fine, ma il giudice per le indagini preliminari non spende una sola parola sulla valutazione dei reati fine, commessi degli indagati.
2. 1. Anche sulla eccepita nullità dell’ordinanza genetica, per mancanza di motivazione sui gravi indizi di colpevolezza e sulle esigenze cautelari, il Tribunale del riesame non motiva o motiva solo apparentemente. La denunciata nullità dell’ordinanza genetica non consentiva al Tribunale del riesame di integrarne la motivazione.
Invece, per le esigenze cautelari il Tribunale si sostituisce al GIP e con le ultime righe del provvedimento ritiene sussistenti le esigenze cautelari.
3. Violazione di legge (art. 273, 274 e 275 cod. proc. pen.; art. 40 e 49 d. Igs. 504 del 1995; art. 110 e 416 cod. pen.). Omessa, contraddittoria e manifesta illogicità della motivazione. La nuova motivazione (unica) del Tribunale del riesame sulle esigenze cautelari è censurabile. Gli elementi di indagine non possono far ritenere l’appartenenza del ricorrente all’associazione in quanto la sua partecipazione ai fatti è solo occasionale ed estemporanea, non coordinata in modo stabile con gli altri indagati. Egli non può considerarsi un promotore od organizzatore essendosi limitato ad intervenire nelle fasi finali delle operazioni. Gli unici contatti telefonici di COGNOME sono con COGNOME e COGNOME, ai quali non è stata neanche contestata la partecipazione al reato associativo. Il ricorrente sarebbe stato individuato nelle indagini solo il 16 aprile 2021 in relazione all’episodio n. 49, del capo 28 dell’imputazione. L’associazione sarebbe esistente dal 16 settembre 2020.
Per la prova delle singole imputazioni il Tribunale di Trento utilizza delle presunzioni, in quanto, se si escludono le ipotesi dei sequestri, non risultano prove certe sulla quantità e sul tipo di merci trasportate. Ogni episodio contestato indica una sottrazione delle accise per 16.052,40 per trasporti non inferiori a .26.000 litri di gasolio. Si tratta di un giudizio di verosimiglianza non accettabile,
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neanche nella fase delle indagini, per disporre una misura cautelare personale.
3. 1. Per le esigenze cautelari il Tribunale si è limitato ad affermare che il concreto pericolo della reiterazione è desumibile dal rilevante numero degli episodi in accertamento commessi con professionalità; inoltre, il Tribunale evidenzia precedenti di polizia del ricorrente, per reati simili a quelli in accertamento.
I precedenti di polizia, citati genericamente, non possono considerarsi per la misura cautelare non avendo gli stessi subito nessun vaglio giudiziario. Le modalità dei fatti non possono essere poste a fondamento della misura cautelare, peraltro ad un soggetto incensurato. Il pericolo di reiterazione dei reati deve essere concreto ed attuale; l’ultimo reato sarebbe stato consumato il 27 aprile 2022, circa un anno prima della misura. Non risultano comportamenti negativi successivi a tale data di COGNOME. Infine, le misure cautelari reali hanno spossessato gli indagati di ogni mezzo per commettere ulteriori reati, anche l’area di sosta dove sarebbero stati accertati i reati è stata sequestrata. L’associazione è stata, pertanto, completamente smantellata, escludendo in radice qualsiasi ulteriore possibilità di reiterazione dei reati.
Ha chiesto, pertanto, l’annullamento dell’ordinanza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo di ricorso è fondato e, in quanto assorbente, determina l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata, imponendosi sul punto un nuovo esame da parte del Tribunale alla luce dei principi di seguito indicati.
Va premesso che il procedimento in esame concerne reati tra i quali tutti potrebbe sussistere – ed in parte già è stato
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riconosciuto – il vincolo della connessione ai sensi dell’art. 12 cod. proc. pen.
4.1. Sono stati infatti contestati:
a COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME il reato di associazione per delinquere finalizzato alla commissione di più delitti concernenti la sottrazione al pagamento delle accise dovute sulla produzione e sul commercio di prodotti energetici utilizzati per autotrazione, di cui all’art. 40, comma 1, lett. b), e comma 4 d.lgs. 26 ottobre 1995, n. 504, accertato dal 16 settembre 2020;
a taluno di costoro, unitamente ad altri soggetti estranei al sodalizio, la commissione di numerosi reati-fine riconducibili all’ipotesi criminosa appena citata, oltre che, talvolta, unitamente alla stessa, anche di quella di cui all’art. 49 d.lgs. n. 504 del 1995, ininterrottamente commessi, con pressoché identiche modalità, a distanza di pochi giorni l’uno dall’altro, nei successivi mesi ed in particolare accertati nel periodo di monitoraggio effettuato dal febbraio 2021 sino all’aprile 2022.
Già il provvedimento genetico (pag. 144), sulla scorta della stretta connessione logica e cronologica tra reato mezzo e reati-fine, ha individuato, con riguardo agli associati – che risultano tali sin dal momento dell’accertamento del sodalizio – la sussistenza del vincolo della continuazione, con ciò ravvisando l’ipotesi di connessione di cui all’art. 12, lett. b), cod. proc. pen. e l’ordinanza impugnata ha condiviso quest’impostazione, che in ricorso non viene peraltro contestata.
Sulla base degli unici atti a disposizione del Collegio ed in assenza di specifiche contestazioni, la decisione appare conforme al consolidato principio giusta il quale, ai fini della determinazione della competenza per territorio, la connessione tra delitto associativo e reati-fine può ritenersi sussistente quando risulti che, fin dalla costituzione del sodalizio criminoso o dall’adesione ad esso, un determinato soggetto, nell’ambito del generico programma criminoso,
abbia già individuato uno o più specifici fatti di reato, da lui poi effettivamente commessi (Sez. 1, Sentenza n. 46134 del 21/10/2009, COGNOME e a., Rv. 245503; Sez. 1, n. 17831 del 10/04/2008, COGNOME e aa., Rv. 240309).
4.2. Quanto ai reati-fine contestati anche a soggetti diversi dai sodali, non vale invece richiamare l’ipotesi di connessione di cui all’art. 12, lett. b), cod. proc. pen., avendo questa Corte già precisato che, in tema di competenza determinata dall’ipotesi di connessione oggettiva fondata sull’astratta configurabilità del vincolo della continuazione fra le analoghe, ma distinte, fattispecie di reato ascritte ai diversi imputati, l’identità del disegno criminoso perseguito è idonea a determinare lo spostamento della competenza per connessione, sia per materia, sia per territorio, solo se l’episodio o gli episodi in continuazione riguardino lo stesso o – se sono più di uno gli stessi imputati, giacché l’interesse di un imputato alla trattazione unitaria dei fatti in continuazione non può pregiudicare quello del coimputato a non essere sottratto al giudice naturale secondo le regole ordinarie della competenza (Sez. 2, n. 57927 del 20/11/2018, COGNOME, Rv. 275519; Sez. 2, n. 17090 del 28/02/2017, Bilalaj, Rv. 269960; Sez. 1, n. 8526 del 09/01/2013, Baruffo e aa., Rv. 254924). In tal caso non opera dunque l’ipotesi della connessione di cui all’art. 12, lett. b), cod. proc. pen. e il procedimento per il reato attribuito anche ad altri soggetti appartiene, per tutti gli imputati, alla competenza per territorio del giudice individuato a norma degli att. 8 e 9 cod. proc. pen., mentre il vincolo della continuazione, per coloro i quali sussista, produrrà i suoi effetti solo sul piano sostanziale, ai fini della determinazione della pena (Sez. 4, n. 11963 del 07/11/2006, dep. 2007, Galletti, Rv. 236276).
4.3. Nella motivazione della citata sentenza COGNOME si puntualizza, tuttavia, la differenza strutturale al riguardo ravvisabile tra l’ipotesi di cui all’art. 12 lett. b) e quella di cui all’art. 12 lett. c) cod. proc. pen., posto che quest’ultima, a differenza della prima, non contiene l’incipit “se una persona è imputata di più reati…” e pertanto
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non postula necessariamente l’identità soggettiva tra gli autori dei reati connessi.
Risolvendo il contrasto di giurisprudenza al proposito insorto sul punto, questa Corte nella sua più autorevole composizione ha infatti chiarito che, ai fini della configurabilità della connessione teleologica prevista dall’art. 12, lett. c), cod. proc. pen. e della sua idoneità a determinare uno spostamento della competenza per territorio, non è richiesto che vi sia identità fra gli autori del reato fine e quelli del reato mezzo, ferma restando la necessità di accertare che l’autore di quest’ultimo abbia avuto presente l’oggettiva finalizzazione della sua condotta alla commissione o all’occultamento di un altro reato (Sez. U, n. 53390 del 26/10/2017, G. Rv. 271223; nello stesso senso, Sez. 2, n. 44678 del 16/10/2019, COGNOME, Rv. 278000).
Sulla scorta delle stesse ragioni esposte dai giudici del merito cautelare, laddove fosse possibile ravvisare la connessione teleologica tra il reato associativo ed i reati-fine (contestati anche a persone diverse dai sodali) nella misura in cui possa dirsi che il primo è stato commesso per eseguire questi ultimi, potrebbe dunque nella specie affermarsi la sussistenza della connessione di cui all’art. 12 cod. proc. pen. – sia pur all’insegna della lett. c) – anche con riguardo ai reatifine commessi anche da soggetti non associati che abbiano agito in concorso con taluno di questi. Questa verifica, tuttavia, è nella specie mancata, benché, come detto, il ricorrente, al quale non è contestata la partecipazione al reato associativo, risponda soltanto di reati-fine commessi anche in concorso con persone ritenute affiliate al sodalizio.
4.4. Se risulti la connessione tra delitto associativo e reati-fine e si tratti, ciò che nella specie è pacifico, di reati che appartengono tutti alla competenza del tribunale, laddove in relazione agli stessi la competenza per territorio spetti a giudici diversi, va applicato il criterio di cui all’art. 16 cod. pen., in base al quale la competenza per territorio appartiene al giudice competente per il reato più grave ovvero, in caso di pari gravità, al giudice competente per il primo reato (Sez. 2, n. 45337 del 04/11/2015, Preci e aa., Rv. 265031).
Muovendosi in quest’ottica, sia pur senza aver approfondito il punto di cui supra sub §§. 2.2 e 2.3, i giudici del merito cautelare, con affermazione al proposito indubbiamente esatta e condivisa anche dalla parte ricorrente, hanno individuato nel delitto associativo il più grave tra i reati connessi.
5.1. Ciò premesso, trattandosi di reato permanente, osserva il Collegio che il giudice territorialmente competente va individuato in quello del luogo in cui ha avuto inizio la consumazione, ex art. 8, comma 3, cod. proc. pen. (cfr. Sez. 1, n. 20908 del 28/04/2015, Minerva e aa., Rv. 263612), vale a dire – secondo il più recente e preferibile orientamento – quello in cui ha sede la base ove si svolgono programmazione, ideazione e direzione delle attività criminose facenti capo al sodalizio (Sez. 2, n. 41012 del 20/06/2018, C., Rv. 274083), assumendo rilievo non tanto il luogo in cui si è radicato il pactum sceleris, quanto quello in cui si è effettivamente manifestata e realizzata l’operatività della struttura (Sez. 6, n. 4118 del 10/01/2018, Piccolo, Rv. 272185; Sez. 6, n. 49995 del 15/09/2017, COGNOME e aa., Rv. 271585).
5.2. Nel caso di specie, secondo la non illogica ricostruzione operata nel provvedimento impugnato – sul punto neppure specificamente contestata dalla parte ricorrente – il luogo in cui ha avuto inizio la consumazione del reato, essendosi colà manifestata per la prima volta l’operatività della struttura, ricade all’estero.
Il Tribunale del riesame – ed in ciò si ravvisa la violazione di legge dedotta in ricorso – ha tuttavia erroneamente parificato tale situazione a quella dell’impossibilità di stabilire la competenza con riguardo al GLYPH più grave reato associativo per individuare conseguentemente la competenza con riguardo, in via gradata rispetto ai residui reati connessi, al reato-fine più grave, in forza di un consolidato orientamento interpretativo che reputa inapplicabili le regole suppletive di cui all’art. 9, commi 2 e 3, cod. proc. pen.,
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ritenute riferibili soltanto al procedimento relativo ad un singolo reato (Sez. U, n. 40537 del 16/07/2009, COGNOME, Rv. 244330; Sez. 2, n. 3850 del 21/10/2016, dep. 2017, Cassola e a., Rv. 269246). Tale conclusione è errata perché il Tribunale del riesame non ha tenuto conto del disposto di cui all’art. 9, comma 1, cod. proc. pen., al quale l’ordinanza impugnata neppure accenna.
6.1. Come ben chiarito dalla Sezioni unite nella citata sentenza COGNOME, la disposizione da ultimo richiamata, a differenza di quelle contenute nei successivi due commi, detta una regola integrativa dei criteri stabiliti nell’art. 8 cod. proc. pen. che continua ad ancorare l’individuazione del giudice competente al luogo in cui, almeno in parte, è stata realizzata la condotta criminosa e resta dunque applicabile anche nel caso di procedimenti per reati connessi (cfr., da ultimo, Sez. 1, n. 35861 del 19/06/2019, Rv. 276812).
L’art. 9, comma 1, cod. proc. pen., del resto, è certamente riferibile anche ai reati permanenti, come da questa Corte ripetutamente affermato, ad es., con riguardo al delitto di detenzione di sostanze stupefacenti (Sez. 4, n. 31522 del 01/06/2023, COGNOME NOME, Rv. 284959; Sez. 4, n. 24719 del 03/03/2016, NOME, Rv. 267227) e pure laddove la consumazione sia iniziata in territorio estero (cfr. Sez. 4, n. 8665 del 22/01/2010, COGNOME e NOME, Rv. 246851), purché, in quest’ultimo caso, nel territorio nazionale si sia consumata una parte della condotta essenziale per l’integrazione della fattispecie, dovendosi in caso contrario fare riferimento ai criteri contemplati dai successivi commi della norma menzionata (Sez. 4, n. 29187 del 19/06/2007, Paja, Rv. 236996).
6.2. Ed invero, allorché si versi in questa situazione non ne è certo preclusa l’operatività. In forza della previsione contenuta nell’art. 10, comma 3, cod. proc. pen., disposizione del pari erroneamente non considerata dall’ordinanza impugnata, quando il reato risulta commesso in parte all’estero, la competenza va infatti determinata alla luce degli artt. 8 e 9 del codice di rito, ciò che, per quanto appena osservato, rende dunque certamente applicabile anche la regola integrativa prevista dal primo comma di tale ultimo
articolo, giusta la quale, se la competenza non può essere determinata a norma dell’art. 8 (come nel caso in esame, posto che il luogo di inizio della consumazione del reato associativo è stato individuato in territorio estero), «è competente il giudice dell’ultimo luogo in cui è avvenuta una parte dell’azione o dell’omissione».
Che in territorio italiano si sia svolta una parte significativa di condotta del delitto associativo è riconosciuto anche dall’ordinanza impugnata.
Dovendosi al proposito avere riguardo al luogo in cui si è concretamente manifestata, secondo un criterio di effettività, la consumazione del reato associativo, sia con riguardo alla programmazione, ideazione e direzione delle attività illecite commesse in territorio nazionale, sia con riguardo all’esecuzione dei delitti programmati (cfr., per la rilevanza di tali criteri ai fini della determinazione della competenza per territorio, Sez. 3, n. 35578 del 21/04/2016, Bilali Bilali e aa., Rv. 267635), secondo la ricostruzione operata nel provvedimento impugnato viene in particolare in rilievo la cittadina di Cerignola, luogo di residenza dei sodali italiani che ricoprivano ruolo apicale e sede della “cellula operativa” italiana secondo quanto si legge nell’ordinanza impugnata.
In particolare, in essa si attesta che Cerignola è identificabile proprio come l’ultimo luogo di manifestazione delle attività del sodalizio: «appare innegabile che diverse condotte preparatorie poste in essere dagli associati, quali l’acquisto e la miscelazione del prodotto, nonché l’organizzazione dei trasporti, siano state compiute all’estero in sedi e basi operative diverse da quella italiana, operativa, invece, come si è detto, nella fase finale dell’attività criminosa».
8. L’ordinanza impugnata deve pertanto essere annullata con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Trento, che si atterrà ai principi sopra esposti e verificherà se tra i reati-fine rilevanti ai fini
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della decisione del presente procedimento cautelare sussista la connessione ex art. 12 cod. proc. pen. – lett. b) o lett. c) con il reato associativo e quale conseguentemente sia il giudice territorialmente competente.
Nel caso di ritenuta incompetenza per territorio del Tribunale di Trento, valuterà il giudice del rinvio se fare applicazione della regola generale fissata nell’art. 27 cod. proc. pen., che disciplina, e contempera, le regole sulla competenza del giudice e quelle legate all’urgenza di assumere provvedimenti in materia cautelare ed è certamente riferibile anche ai sequestri giusta il richiamo agli artt. 317 e 321 cod. proc. pen. Per consolidato orientamento interpretativo, la suddetta efficacia interinale del provvedimento cautelare assunto dal giudice incompetente opera anche laddove l’incompetenza sia stata successivamente dichiarata in sede d’impugnazione (cfr., quanto alle misure cautelari personali, Sez. U, n. 1 del 24/01/1996, COGNOME, Rv. 204164; quanto alle misure cautelari reali, Sez. 6, n. 11637 del 27/02/2020, COGNOME, Rv. 278721). L’adozione di una misura cautelare reale da parte del giudice (dichiaratosi o riconosciuto) incompetente non richiede, peraltro, alcuna ulteriore valutazione in termini di urgenza rispetto alla sussistenza degli ordinari presupposti del fumus e del periculum (cfr. Sez. 5, n. 54016 del 30/10/2017, Sorato e aa., Rv. 271886), diversamente da quanto previsto, per i soli provvedimenti in materia di misure cautelari personali, dall’art. 291, comma 2, cod. proc. pen., ove si prescrive che l’adozione della misura da parte del giudice incompetente postula, altresì, la riconosciuta sussistenza dell’urgenza di soddisfare taluna delle esigenze cautelari previste dall’art. 274 cod. proc. pen. (cfr., sul punto, Sez. U, n. 19214 del 23/04/2020, Giacobbe, Rv. 279092, nella cui motivazione si specifica che il giudice, anche dell’impugnazione, che dichiari la propria incompetenza ex art. 27 cod. proc. pen., deve trasmettere gli atti al pubblico ministero che ha richiesto la misura, cui spettano le conseguenti determinazioni).
P.Q.M.
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Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Trento, sezione del riesame.
Così deciso il 13/10/2023