Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 26761 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 26761 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 10/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a ROMA il 22/03/1978
avverso l’ordinanza del 18/12/2024 del TRIB. L1~ di SANTA MARIA CAPUA VETERE
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette/sentite le conclusioni del PG NOME COGNOME
Il Proc. Gen. conclude per il rigetto come da requisitoria in atti.
udito il difensore
IN FATTO E IN DIRITTO
1. Con l’ordinanza di cui in premessa il tribunale di Napoli, in funzione di tribunale del riesame, adito ex art. 322, c.p.p., confermava il decreto con cui il giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di S. Maria Capua Vetere, in data 25.11.2024, aveva disposto il sequestro preventivo (anche per valore equivalente) di una serie di beni mobili e immobili, specificamente indicati nel provvedimento in questione, in danno di COGNOME NOME, in relazione ai reati di bancarotta impropria societaria, RAGIONE_SOCIALE bancarotta fraudolenta RAGIONE_SOCIALE patrimoniale per distrazione aggravata, di riciclaggio e di autoriciclaggio, ascrittigli nelle imputazioni provvisorie.
2. Avverso il menzionato provvedimento, di cui chiedono l’annullamento, ha proposto ricorso per cassazione l’indagato, lamentando violazione di legge, in relazione all’art. 16, c.p.p., in quanto il tribunale del riesame, nel rigettare il rilievo difensivo, volto a eccepire l’incompetenza per territorio del tribunale sammaritano, in favore del tribunale di Roma, ha erroneamente interpretato l’anzidetta norma processuale.
Ad avviso del ricorrente la competenza in capo al tribunale di Roma si giustifica in quanto fu tale tribunale che, con sentenza resa il 4.11.2022, dichiarò il fallimento della società “RAGIONE_SOCIALE, circostanza che determinò l’apertura di un procedimento penale da parte della Procura della Repubblica presso il tribunale di Roma, trasmesso successivamente alla Procura della Repubblica presso il tribunale di S. Maria Capua Vetere, per ragioni di connessione con altro procedimento penale instaurato a carico del COGNOME per il reato di cui all’art. 2634, c.c., in forza di querele sporte nei suoi confronti nel gennaio del 2021, in relazione a cessioni del patrimonio delle società “RAGIONE_SOCIALE” e “RAGIONE_SOCIALE” in favore della società “RAGIONE_SOCIALE“, riconducibile al COGNOME in quanto amministratore di fatto, successivamente dichiarata fallita dal tribunale sammaritano con sentenza resa il 17.3.2022, che aveva innescato l’insorgenza di un nuovo procedimento penale sempre ad opera della Procura della Repubblica presso il tribunale di S. Maria Capua Vetere
Un ulteriore fallimento veniva dichiarato dal tribunale di S. Maria Capua Vetere nei confronti dì un’altra società, la “RAGIONE_SOCIALE“, con conseguente instaurazione di ulteriori procedimenti penali da parte della Procura della Repubblica presso il tribunale di S. Maria Capua Vetere.
Premesso che tutte le indicate condotte sono state assorbite dal reato di bancarotta, ad avviso del ricorrente la vis attrattiva ex art. 16, c.p.p., spiega la sua forza individuando nel tribunale di Roma il giudice territorialmente competente, non solo perché la bancarotta più grave è quella contestata con riferimento al fallimento della società “RAGIONE_SOCIALE, dichiarato, per l’appunto, dal tribunale di Roma, ma anche perché gli effetti della dichiarazione di insolvenza decorrono dalla data di esecuzione delle attività distrattive, momento che identifica la commissione e non già la consumazione del delitto di bancarotta.
E, come affermato, dalla giurisprudenza di legittimità, ai fini della determinazione della competenza per territorio nell’ipotesi di reati connessi, quali sono quelli per cui si procede a carico dell’indagato, quando non sia possibile individuare quale sia la condotta più grave tra quelle contestate, occorre fare riferimento, ai sensi dell’art. 16, co. 1, c.p.p., a quello commesso per primo.
Orbene, nel caso in esame, anche a non volerla considerare come il reato più grave, la bancarotta contestata in relazione al fallimento della società “RAGIONE_SOCIALE“, da considerare aggravata ai sensi dell’art. 219, I.fall, a prescindere dalla formale contestazione provvisoria, sarebbe il reato commesso per primo, perché non è revocabile in dubbio che gli atti da cui è nata l’intera vicenda sono stati posti in essere a Roma dal Leccisi e che tutte le società successivamente fallite avrebbero, in ipotesi, incamerato nel proprio patrimonio soltanto frazioni delle due società, il cui fallimento è oggetto delle condotte di cui al capo n. 1)
2) violazione di legge in relazione all’art. 321 ter, c.p.p., in quanto, premesso che il termine di dieci giorni per la convalida da parte del giudice del decreto di sequestro eseguito d’urgenza dal pubblico
ministero o di iniziativa dalla polizia giudiziaria decorre dalla ricezione degli atti da parte della cancelleria del giudice, avvenuta nel caso in esame il 14.11.2024, non è revocabile in dubbio che la convalida, intervenuta in data 25.11.2025, deve ritenersi tardiva, con conseguente inefficacia sopravvenuta del sequestro originariamente disposto dal pubblico ministero.
Con requisitoria scritta del 22.3.2025, da valere come memoria, perché nelle more è stata richiesta la trattazione in forma orale della proposta impugnazione, il sostituto procuratore generale della Repubblica presso la Corte di cassazione, dott. NOME COGNOME chiede che il ricorso venga rigettato.
Con memoria di replica dell’1.4.2025, l’avv. COGNOME difensore di fiducia del COGNOME, insiste per l’accoglimento del ricorso, reiterando le proprie doglianze.
Il ricorso va rigettato, essendo sorretto da motivi in parte infondati, in parte inammissibili.
La questione giuridica posta all’attenzione del Collegio riguarda l’applicazione nel caso di specie del disposto dell’art. 16, co. 1, cod. proc. pen., norma disciplinante la competenza per territorio determinata dalla connessione, alla luce della quale “la competenza per territorio per i procedimenti connessi rispetto ai quali più giudici sono ugualmente competenti per materia appartiene al giudice competente per il reato più grave e, in caso di pari gravità, al giudice competente per il primo reato”.
Il ricorrente non contesta che, in relazione ai procedimenti penali sorti a suo carico per una serie di reati in materia fallimentare presso le autorità giudiziarie di Roma e di Santa Maria Capua Vetere, in precedenza indicati, esista un rapporto di connessione qualificata, lamentando, piuttosto, come si è detto, la correttezza giuridica del ragionamento seguito dal giudice dell’impugnazione cautelare.
Quest’ultimo, nel rigettare l’eccezione articolata sul punto dall’indagato, ha ritenuto più gravi i fatti di bancarotta distrattiva, oggetto della contestazione provvisoria di cui al capo 3), perché aggravati, ai sensi
dell’art. 219, co. 1), I.fall., dall’avere arrecato un danno patrimoniale di rilevante gravità, circostanza aggravante a effetto speciale, che, in materia di individuazione del giudice competente per territorio, va tenuta presente, ai sensi e per gli effetti del combinato disposto degli artt. 4 e 16, del codice di rito.
Di conseguenza, rileva il tribunale del riesame, si è determinato “il radicamento, in ragione della forza attrattiva, di cui all’art. 16 c.p.p., della competenza territoriale del Tribunale di Santa Maria C.V. anche per gli altri reati oggetto di imputazione provvisoria”.
Il ricorrente contesta tale conclusione, rilevando che, in realtà, come si evince dall’avviso ex art. 415-bis, cod. proc. pen. (allegato al ricorso in conformità al principio dell’autosufficienza), contenente le imputazioni aggiornate alla chiusura delle indagini preliminari la circostanza aggravante ad effetto speciale di cui all’art. 219, comma 1, I. fall. è contestata tanto con riferimento al capo 1) e 2) che al capo 3), sicché non corrisponde al vero che la circostanza aggravante in parola non sarebbe stata contestata con riferimento ai capi 1) e 2) dell’imputazione provvisoria (cfr., in particolare, la richiamata memoria di replica dell’1.4.2025).
Il rilievo difensivo ha un suo fondamento, ma, per le ragioni di seguito esposte, non comporta l’accoglimento del ricorso.
Come è noto il giudice territorialmente competente a decidere su una richiesta di applicazione di misura cautelare si determina avendo riguardo a tutti i reati connessi per cui si procede, anche nel caso in cui solo alcuni abbiano formato oggetto dell’istanza o del provvedimento applicativo (Fattispecie in tema di misura cautelare reale: cfr. Sez. 3, n. 37248 del 20/06/2024, Rv. 287052).
Tanto premesso, si osserva che, come affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, con orientamento costante nel tempo, in tema di competenza per connessione, al fine di stabilire quale sia il reato più grave deve farsi riferimento all’imputazione contestata dal pubblico ministero (cfr. Sez. 4, n. 29187 del 19/06/2007, Rv. 236997; Sez. 3, n. 38491 del 20/06/2024, Rv. 287050).
Ai fini della individuazione della competenza per territorio in caso di procedimenti connessi, la comparazione dei reati sotto il profilo della gravità, secondo il disposto del comma terzo dell’art. 16 cod. proc. pen., va effettuata, in particolare, con riguardo esclusivo alle sanzioni edittali, restando priva di rilevanza, nel caso che queste si equivalgano, la maggiore o minore entità del danno in concreto provocato dalle singole condotte criminose (cfr. Sez. 2, n. 48784 del 19/11/2003, Rv. 228335; Sez. 6, Sentenza n. 52550 del 22/11/2016, Rv. 268689; Sez. 1, n. 40118 del 09/07/2024, Rv. 287099).
Dunque, con riferimento ai reati di bancarotta impropria da reato societario per avere cagionato il dissesto, di cui ai capi n. 1) e n. 2), e al reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione di cui al capo n. 3), trattandosi di reati di pari gravità, alla luce della previsione edittale e della contestazione per ciascuno di essi dell’indicata circostanza aggravante a effetto speciale, ai fini della determinazione del giudice competente per territorio occorrerà fare riferimento al criterio alternativo del giudice competente per il primo reato.
L’errore di valutazione commesso dal tribunale del riesame, tuttavia, non comporta l’annullamento dell’impugnata ordinanza, non investendo la correttezza della decisione assunta, ma solo il percorso giuridico seguito per giungere a tale epilogo decisorio, che la Corte di cassazione, ai sensi dell’art. 619, cod. proc. pen., può rettificare, pervenendo, per altra via e nel rispetto del fatto come ricostruito dal giudice di merito e dalle parti, alla medesima conclusione (cfr. Sez. U, n. 9973 del 24/06/1998, Rv. 211072)
A tal fine, ritille il Collegio, che il giudice competente per territorio vada individuato nel giudice per le indagini preliminari presso il tribunale sammaritano per la decisiva ragione che l’espressione “primo reato”, utilizzata dall’art. 16, co. 1, cod. proc. pen., va intesa nel senso di reato che è stato consumato per primo sotto il profilo cronologico, perché completo di tutti i suoi elementi costitutivi, tale apparendo, nel caso in esame, il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione di cui al capo n. 3) dell’imputazione provvisoria, trattandosi di condotta
distrattiva relativa al fallimento della società “RAGIONE_SOCIALE“, dichiarato dal tribunale di S. Maria Capua Vetere con la sentenza n. 18/2022, pubblicata il 17.3.2022, dunque antecedente al fallimento della società “RAGIONE_SOCIALE“, dichiarato il 4.11.2022 dal tribunale di Roma, che, come rilevato dallo stesso ricorrente, in data 24.7.2023, aveva dichiarato l’inammissibilità del ricorso volto alla dichiarazione dello stato di insolvenza della società “RAGIONE_SOCIALE in liquidazione”.
La tesi difensiva che fa leva sull’accertamento da parte del tribunale civile di Roma, con la sentenza n. 598/22 del 4.11.2022, di “elementi e operazioni risalenti a ben prima del 2020”, commesse prima delle condotte distrattiva di cui al capo n. 3), non appare condivisibile, perché fondata su di una distinzione tra commissione e consumazione del reato di bancarotta, non condivisa dal Collegio.
Al riguardo va innanzitutto chiarito che il tenore letterale dell’art. 16, co. 1, del codice di rito non autorizza l’affermazione, secondo cui con l’espressione “giudice competente per il primo reato” il legislatore abbia voluto fare riferimento al giudice del luogo in cui è stato commesso, e non consumato, il primo reato in ordine di tempo.
Nella previsione letterale dell’art. 16, co. 1, del codice di rito, è il “reato”, sia esso quello più grave o il “primo” in ordine temporale, a rappresentare il punto di riferimento della disciplina fissata per determinare la competenza per territorio in caso di connessione e per “reato” non può che intendersi la fattispecie tipica prevista dal legislatore, dunque un fatto della realtà fenomenica che assume rilevanza penale solo in presenza di tutti gli elementi costitutivi previsti dalla singola norma incriminatrice, il cui compiuto verificarsi ne determina, per l’appunto, non la “commissione”, ma la “consumazione”.
Laddove per commissione deve intendersi il verificarsi di una condotta, che, pur costituendo uno degli elementi della fattispecie tipica, non la esaurisce.
La distinzione tra commissione e consumazione del reato appare, pertanto, non pertinente al tema trattato e, comunque, non sostenibile in tema di reati fallimentari.
In questo senso si è espressa la giurisprudenza di legittimità, rilevando, secondo l’orientamento prevalente, condiviso dal Collegio, che la consumazione dei reati di bancarotta coincide con la pronuncia della sentenza di fallimento, ancorché la condotta, commissiva od omissiva, si sia esaurita anteriormente, in quanto detta sentenza ha natura di elemento costitutivo del reato (cfr., ex plurimis, Sez. 5, n. 40477 del 18/05/2018, Rv. 273800; Sez. 5, n. 27426 del 01/03/2023, Rv. 284785).
Principio affermato anche con riferimento al delitto di bancarotta fraudolenta impropria, ex art. 223, comma secondo, n. 1, I.fall., in relazione al quale, ha osservato la Suprema Corte, pur essendo strutturato come reato complesso, rispetto al quale un reato societario tra quelli espressamente previsti dal legislatore ed assunto come elemento costitutivo deve essere causa o concausa del dissesto societario, tuttavia, il momento consumativo del reato è da individuarsi nella dichiarazione di fallimento, che fissa anche il “dies a quo” da cui decorre la prescrizione (cfr. Sez. 5, n. 32164 del 15/05/2009, Rv. 244488).
Ne consegue, come già detto, l’irrilevanza, ai fini che ci occupano, delle condotte del Leccisi antecedenti all’anno 2000, in quanto il “primo reato” da lui commesso in ordine di tempo è il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione di cui al capo n. 3), essendo intervenuta la dichiarazione di fallimento del tribunale di S. Maria Capua Vetere, necessaria per la consumazione del reato, prima della dichiarazione di fallimento pronunciata dal tribunale di Roma, del pari necessaria per la consumazione del delitto di bancarotta impropria da reato societario di cui al capo n. 1).
Inammissibile appare il secondo motivo di ricorso.
In disparte la circostanza evidenziata dal sostituto procuratore generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione nella richiamata memoria,
secondo cui nel caso in esame, in forza del disposto dell’art. 172 comma 3 c.p.p., il termine di dieci giorni, che sarebbe scaduto domenica 24 novembre 2025, risulta prorogato di diritto al giorno successivo non festivo (cfr. Sez. 3, n. 9345 del 19/01/2024, Rv. 286024), nel quale è stata emessa l’ordinanza di convalida, va sottolineato come il motivo di ricorso, oltre ad essere manifestamente infondato, risulta affetto da una radicale causa di inammissibilità.
Come affermato dalla giurisprudenza di legittimità con orientamento condivisibile, infatti, nel giudizio di riesame del sequestro preventivo eseguito d’urgenza dalla polizia giudiziaria non sono proponibili le questioni relative all’avvenuta convalida, dato che oggetto esclusivo del riesame è il decreto di sequestro emesso dal giudice, che è l’unico provvedimento che legittima la misura cautelare (cfr. Sez. 3, n. 11671 del 03/02/2011, Rv. 249919).
In tema di misure cautelari reali, infatti, non sono impugnabili né il decreto di sequestro preventivo disposto in via d’urgenza dal pubblico ministero, né l’ordinanza con la quale il giudice, a norma dell’art. 321, comma terzo-bis, cod. proc. pen., ne dispone la convalida, posto che, come chiarito, il decreto del pubblico ministero ha carattere provvisorio, in quanto destinato ad una automatica caducazione a seguito della mancata convalida ovvero, in caso di controllo positivo, ad essere sostituito per effetto dell’autonomo decreto di sequestro giudiziale che il giudice emette dopo l’ordinanza di convalida e che costituisce il titolo legittimante il vincolo reale sul bene sequestrato (cfr. Sez. 3, n. 5770 del 17/01/2014, Rv. 258936; Sez. U, n. 21334 del 31/05/2005, Rv. 231055).
Di conseguenza, in materia di sequestro preventivo d’urgenza disposto dal pubblico ministero o dalla polizia giudiziaria, l’inosservanza del termine di dieci giorni per l’emissione dell’ordinanza di convalida, non rende invalido il decreto di sequestro adottato pur tardivamente dal giudice per le indagini preliminari (cfr. Sez. 5, n. 21920 del 04/05/2010, Rv. 247309).
7. Al rigetto del ricorso segue la condanna della ricorrente, ai sensi dell’art. 616, c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 10.4.2025.