Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 35657 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 35657 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 17/09/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME.A. COGNOME
omissis
avverso la sentenza del 18/02/2025 della Corte di appello di Torino visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
Corte di Cassazione – copia non ufficiale udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso;
udito per l’imputato l’AVV_NOTAIO che ha concluso richiamando i motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 18/02/2025, la Corte di appello di Torino, in riforma della
A.A.
sentenza emessa in data 24/11/2022 dal Tribunale di Torino, assolveva
i Ldal reato di cui all’art. 609-quinquies cod.pen. contestatogli al capo c) dell’imputazione perché il fatto non costituisce reato e, confermata l’affermazione di responsabilità del predetto per i reati di violenza sessuale contestati ai capi ab-d-/ rideterminava la pena in anni 6 e mesi 10 di reclusione.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione A.A. a mezzo del difensore di fiducia, articolando tre motivi di seguito enunciati.
Con il primo motivo deduce, in relazione al capo 1), erronea applicazione dell’art. 21, comma 1, cod.proc.pen.
Argomenta che l’imputato era stato ritenuto responsabile del reato di violenza per aver commesso il fatto nei confronti di soggetti che non avevano compiuto gli anni dieci; erroneamente la Corte di appello aveva rigettato l’eccezione di incompetenza per materia sollevata dalla difesa dell’imputato, trovando applicazione il novum normativo di cui alla legge 69/2019, vigente al momento di esercizio dell’azione penale, e, quindi, la competenza della Corte di assise,
La sentenza della Corte di cassazione n. 42465/2024, che attribuiva alla modifica legislativa natura sostanziale e sulla cui base la Corte di appello aveva rigettato l’eccezione di incompetenza sollevata, non era condivisibile, in quanto era decisivo valutare il momento dell’esercizio penale ai fini dell’attribuzione della competenza, secondo il principio tempus regit actum ed in assenza di una transitoria nella legge del 2019, come, invece, affermato dalla sentenza n. 28485/2024 della Cassazione.
Con il secondo motivo deduce, in relazione al capo2), violazione dell’art. 398, commi 5ter e 5quater cod.proc.pen.
Lamenta che erroneamente la Corte di appello aveva confermato l’utilizzabilità delle dichiarazioni rese dalla persona offesa NOME in sede di incidente probatorio, nonostante fossero state assunte in violazione della legge processuale e, in particolare, dell’art. 398 cod.proc.pen.; infatti, pur trattandosi di soggett maggiorenne,erano state applicate le modalità dell’audizione protetta, senza che risultassero dagli atti concreti elementi di fragilità e che venisse argomentato in tal senso; rimarca che l’utilizzo dello strumento probatorio va limitato alle ipotesi tassativamente previste e la condizione di vulnerabilità non può essere automaticamente presunta; inoltre, l’utilizzo dell’incidente probatorio costituisce eccezione alle regole processuali di formazione della prova e l’assunzione con
modalità protette era lesiva del diritto al controesame ed ai principi del contraddittorio.
Con il terzo motivo deduce vizio di motivazione in relazione al trattamento sanzionatorio.
Argomenta che la Corte di appello aveva determinato l’aumento di pena ex art. 81 cpv cod.pen. per il reato di cui al capo 3) dell’imputazione in mesi dieci di reclusione, superiore all’aumento (mesi sei di reclusione) operato per gli altri episodi di violenza; la motivazione resa al riguardo dalla Corte di appello richiamava la frequenza degli abusi ed era, quindi, ingiustificata non essendo significativo l’elemento richiamato in quanto elemento relativo alla determinazione della pena principale.
Chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata.
3. Il difensore del ricorrente ha chiesto la trattazione orale del ricorso; il PG ha depositato memoria ex art. 611 cod.proc.pen. nella quale ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso; il difensore della parte civile ha depositato memoria ex art. 611 cod.proc.pen. nella quale ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.II primo motivo di ricorso è infondato.
Va osservato che assume rilievo la modificazione dell’art. 609-ter cod. pen. determinata dall’art. 13, comma 2, lett. b), della legge 19 luglio 2019, n. 69.
Prima dell’entrata in vigore di questa disposizione, l’ultimo comma dell’art. 609-ter cit. stabiliva che il delitto di violenza sessuale ex art. 609-bis cod. pen. (l cui cornice edittale di base contemplava la pena della reclusione da anni cinque ad anni dieci), quando era stato commesso in danno di persona che non aveva compiuto dieci anni, era punito con la reclusione da anni sette a ad anni quattordici. In forza della modificazione normativa suindicata, l’ultimo comma dell’art. 609-ter cit. stabilisce che il delitto di violazione sessuale (la cui corn edittale di base, in virtù della stessa legge del 2019, contempla la pena della reclusione da anni sei ad anni dodici), quando è stato commesso in danno di persona che non ha compiuto gli anni quattordici, è punito con la pena della reclusione aumentata della metà (così ascendendo, la pena detentiva, alla forbice da nove a diciotto anni), mentre, quando è stato commesso in danno di persona che non ha compiuto gli anni dieci, è punito con la pena della reclusione raddoppiata, ossia con la pena della reclusione da dodici a ventiquattro anni.
Ai sensi dell’art. 5, comma 1, lett. a), cod. proc. pen., riguardato in relazione alle regole per la determinazione della competenza dettate dall’art. 4 cod. proc. pen., la Corte di assise è competente per i delitti per i quali la legge stabilisce l
pena dell’ergastolo o della reclusione non inferiore nel massimo a ventiquattro anni, tranne determinati titoli di reato, fra i quali non è compresa la violenza sessuale. Pertanto, non è discutibile che, a regime, l’ipotesi aggravata di violenza sessuale in danno di persona minore degli anni dieci appartiene alla competenza per materia della corte di assise.
Sul tema – che qui rileva – dell’individuazione del giudice competente per materia per la fattispecie di violenza sessuale aggravata dall’età infradecennale della vittima con riferimento ai fatti commessi in tempo antecedente all’entrata in vigore della legge che ha modificato la ricordata cornice edittale, ma per i quali l’esercizio dell’azione penale sia avvenuto in tempo successivo, la condivisa giurisprudenza di questa Corte ha affermato che la modifica in questione ha natura essenzialmente sostanziale (Sez. 3, n. 42465 del 22/10/2024, A., Rv. 287186 01) e, quindi, in tema di violenza sessuale, competente per materia a giudicare del delitto, nel caso in cui risulti aggravato a norma dell’art. 609-ter, ultim comma, cod. pen. e sia stato commesso in danno di soggetto minore che non ha compiuto gli anni dieci, è il tribunale in composizione collegiale per i fatti commessi antecedentemente all’entrata in vigore dell’aumento sanzionatorio disposto dall’art. 13, comma 2, lett. b), legge n. 69 del 2019, vigente dal 9 agosto 2019. L’approdo si fonda sul rilievo che si deve attribuire a tale disposizione – che pure ha comportato, per i fatti successivi, l’effetto processuale dello spostamento della competenza alla corte di assise – valore essenzialmente sostanziale, e non di disposizione processuale.
Il legislatore del 2019 ha, infatti, inciso direttamente sulla pena (modifica sostanziale) e, per l’effetto conseguente, ha inciso, ma in modo indiretto, sulla competenza (modifica processuale). Essendo la modifica primaria e diretta di natura sostanziale, quindi, alla corte di assise spetta la competenza a conoscere dei reati di violenza sessuale aggravata in danno di persona di età inferiore a dieci anni commessi dal momento dell’entrata in vigore della legge n. 69 del 2019, non di quelli commessi in precedenza, quantunque l’azione penale, per tali reati, sia stata esercitata successivamente.
Tale principio è stato ribadito da Sez.1, n.15251 del 2025, non mass. che si è pronunciata, in fattispecie analoga, in sede di risoluzione di conflitto negativo di competenza.
Tale pronuncia ha richiamato la citata Sez. 3 n. 424.65 del 22/10/2024, Rv. 287186 – 01, rimarcando che tale decisione, muovendo dalle Sez. Unite n. 3E2:2 del 17/01/2006, NOME, e con un’ampia disamina delle successive pronunce di questa Corte (Sez. 1, n. 1878 del 29/04/1993, Maiello, Rv. 194240 01 per i fatti di usura commessi anteriormente all’aggravamento di pena operato dall’art. 11 “quiniquies” decreto legislativo 8 giugno 1992 n. 306 convertito nella legge 7
agosto 1992, i. 356; Sez. 1, n. 6789 del 02/12/1997, dep. 1998, COGNOME, Rv. 209531 – 01, per il reato di omissione di atti di ufficio contestato come permanente con inizio della condotta in data anteriore all’entrata in vigore della legge n. 286 del 1990; Sez. 1, n. 6023 del 18/11/1996, COGNOME, Rv. 206255 01, per il reato di falsa testimonianza previsto dall’art. 372 cod. pen. commesso prima dell’entrata in vigore dell’art. 11 di. 8 giugno 1992 n. 306, convertito nella legge 7 agosto 1992 n. 356 – che ha elevato da tre a sei anni di reclusione la pena; Sez. 1, n. 48249 del 20/06/2017, Rv. 271318 – 01, in materia di lesioni personali stradali gravi e gravissime di cui all’art. 590-bis cod. pen., commessi in data anteriore all’entrata in vigore della legge 24 marzo 2016 n. 41), ha concluso nel senso che la modifica legislativa abbia natura sostanziale, sicché i riflessi processuali in termini di competenza, che derivano dalla modifica della cornice edittale, sono solo indiretti.
Ha, quindi, affermato ribadito il principio per cui «In tema di violenza sessuale, competente per materia a giudicare del delitto, nel caso in cui risulti aggravato a norma dell’art. 609-ter, ultimo comma, cod. pen. e sia stato commesso in danno di un minore che non ha compiuto gli anni dieci, è il tribunale in composizione collegiale per i fatti commessi antecedente-mente all’entrata in vigore dell’aumento sanzionatorio disposto dall’art. 13, comma 2, lett. b), legge 19 luglio 2019, n. 69, vigente dal 9 agosto 2019, dovendosi attribuire a tale disposizione, che pur ha comportato, per i fatti successivi, l’effetto processuale dello spostamento della competenza alla corte d’assiste, valore essenzialmente sostanziale e non di disposizione processuale».
In applicazione del condiviso principio di diritto suesposto, risulta corretta la valutazione della Corte di appello in quanto, trattandosi di fatti commessi antecedentemente all’entrata in vigore dell’aumento sanzionatorio disposto dall’art. 13, comma 2, lett. b), legge n. 69 del 2019, vigente dal 9 agosto 2019, permane la competenza per materia del tribunale in composizione collegiale.
Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
In premessa, va evidenziato che, secondo il disposto dell’art. 398 cod.proc.pen., il giudice può disporre modalità protette di audizione in tre casi: a) d’ufficio, quando si procede alla audizione in contraddittorio incidentale di minorenni o maggiorenni infermi di mente – vittime o testimoni – e si proceda per uno dei reati che generano una presunzione assoluta di vulnerabilità, elencati dal comma 5-bis; b) su richiesta di parte, quando tra le persone interessate all’assunzione della prova vi siano maggiorenni in condizioni di particolare vulnerabilità, desunta anche dal tipo di reato per cui si procede; c) d’ufficio, quando si assume la testimonianza di una persona offesa che versa in condizione di particolare vulnerabilità (art. 90-quater cod.proc.pen.).
L’assetto normativo può, quindi, così essere sintetizzato: le testimonianze dei minori e degli infermi di mente vanno assunte con modalità protette, indipendentemente dalla loro condizione di persona offesa; la presunzione assoluta di vulnerabilità assiste solo i minorenni ed i maggiorenni infermi di mente, mentre per i testimoni maggiorenni vulnerabili occorre una “dichiarazione di vulnerabilità” che accompagna il provvedimento che dispone il ricorso alle modalità protette e che esplichi il motivo per cu si ricorra alla protezione, secondo i parametri di cui all’art. 90-quater.
La doglianza mossa dal ricorrente ha ad oggetto la violazione dell’art. 398 cod. proc. pen. e la conseguente inutilizzabilità della prova assunta, in ragione del fatto che l’incidente probatorio della persona offesa di cui al capo b) dell’imputazione era stato effettuato con modalità d’audizione protetta, pur essendo la predetta maggiorenne e difettando una valutazione di vulnerabilità della stessa.
Ciò posto, va osservato che la norma in questione è posta a tutela degli interessi del dichiarante, anche se le modalità di audizione influiscono sui processi di riedizione del ricordo e, quindi, sull’affidabilità della prova testimoniale, quanto l’audizione in ambiente non tutelante e con modalità non adeguate potrebbe incidere non solo sul dichiarante ma anche sulla genuinità della prova. Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, le doglianze relative alla irregolarità nelle modalità dell’assunzione della prova dichiarativa dei soggetti vulnerabili non integrano nullità nè inutilizzabilità della prova e devono tradursi in censure che investono la motivazione di attendibilità del teste e le eventuali eccezioni relative alle modalità di conduzione dell’esame testimoniale devono essere proposte immediatamente al giudice cheoccoglie la prova.
Tale principio è stato affermato in tema violazione del divieto di porre domande suggestive. Si è osservato che l’inosservanza del divieto non comporta né l’inutilizzabilità né la nullità della deposizione, non essendo prevista una tale sanzione dall’art. 499, comma 3, cod. proc. pen., né potendo la stessa essere desunta dalle previsioni contenute nell’art. 178 cod. proc. pen.; la domanda suggestiva, infatti, può compromettere la genuinità della dichiarazione ove abbia inciso sul risultato della prova in maniera da rendere il materiale raccolto globalmente inidoneo ad essere valutato; ne consegue che per sostenere l’assenza di genuinità della prova dichiarativa, non è sufficiente affermare e comprovare che una o più domande abbiano suggerito la risposta, ma occorre estendere l’analisi dell’affidabilità della prova nel suo complesso, ben potendo il giudizio di piena attendibilità del teste essere fondato sulle risposte ad altre domande (Sez. 3, n. 49993 del 16/09/2019, Rv. 277399 – 01; Sez.3, n. 42568 del 25/06/2019, Rv. 277988 – 01; Sez.3, n. 36413 del 09/05/2019, dep.26/08/2019, Rv.276682;
Sez.3, n. 4672 del 22/10/2014,dep.02/02/2015, Rv.262468 – 01). E si è anche precisato che la relativa eccezione deve essere proposta nel corso dell’acquisizione dell’atto istruttorio e non può essere sollevata per la prima volta con l’atto d’impugnazione (Sez.5, n. 27159 del 02/05/2018, Rv.273233 – 01; Sez. 1, n.44223 del 17/09/2014, Rv. 260899; Sez. 3, n. 47084 del 23/10/2008, Rv.242255 – 01).
Il principio in questione è stato affermato anche con riferimento ad ipotesi di violazione del disposto del comma 4-quater dell’art. 498 cod. proc. pen., ribadendosi anche in tale caso che la violazione di prescrizioni positive relative alle modalità di assunzione della prova dichiarativa non ne determina nè la nullità nè Vinutilizzabilità, stante la mancanza di una previsione sanzionatoria specifica in tal senso (cfr. Sez. 2 n. 27743 del 13/06/2024, Rv.286907 – 01, che, in fattispecie di adozione delle modalità di audizione protetta del testimone non preceduta dalla prescritta richiesta di uno dei soggetti indicati dall’art. 498 comma 4-quater, ha qualificato la violazione come mera irregolarità procedurale e non vizio incidente sulla nullità o sulla inutilizzabilità della prova orale in tal modo raccolta no essendovi una previsione sanzionatoria specifica e ciò alla luce del disposto dell’art. 177 cod. proc. pen.; ed ha anche osservato che il difensore, presente all’assunzione della prova, non aveva sollevato alcuna eccezione e che, quindi, anche se si fosse determinato qualche profilo di nullità, lo stesso sarebbe comunque stato sanato ex art. 182, comma 2, cod. proc. pen).
Del resto l’affermazione che le irregolarità nelle modalità dell’assunzione della prova dichiarativa non integrano nullità della prova nè inutilizzabilità della stessa costituisce principio di carattere AVV_NOTAIO, non limitato alle modalità di assunzione della prova dichiarativa dei soggetti vulnerabili (cfr Sez.3, n. 52435 del 03/10/2017, Rv. 271883 – 01, che ha affermato che la violazione delle regole per l’esame dibattimentale del testimone e, in particolare, di quella secondo cui l’esame deve svolgersi mediante domande su fatti specifici –art. 499, comma 1, cod. proc. pen.-, non dà luogo né alla sanzione di inutilizzabilità, poiché si tratta di prova assunta non in violazione di divieti posti dalla legge, ma con modalità diverse da quelle prescritte, né ad una ipotesi di nullità, non essendo la fattispecie riconducibile ad alcuna delle previsioni delineate dall’art. 178 cod. proc. pen; nonchè Sez.2, n. 48957 del 11/09/2019, Rv.277685 – 01, Sez.3, n. 49993 del 16/09/2019, Rv. 277399 – 01, Sez. 3, n. 45931 del 09/10/2014, Rv.260872 01; Sez. 6, n.28247 del 30/01/2013, Rv. 257026, che hanno affermato che l’assunzione della prova testimoniale direttamente a cura del presidente o del giudice, pur non essendo conforme alle regole che ne disciplinano l’acquisizione, non dà luogo a nullità, non essendo riconducibile alle previsioni di cui all’art. 178 cod. pen., né ad inutilizzabilità, trattandosi di prova assunta non in violazione di
divieti posti dalla legge, ma con modalità diverse da quelle prescritte; ed anche Sez. 6, n. 13791 del 10/03/2011, Rv. 249890 – 01, secondo cui l’eccezione circa le modalità di assunzione della prova da parte del giudice nel contraddittorio delle parti deve essere proposta nel corso dell’acquisizione e non può essere sollevata per la prima volta con l’atto di impugnazione).
Va, quindi, affermato che la violazione delle prescrizioni relative alle modalità di assunzione della prova previste dall’art. 398 cod.proc.pen. non determina nullità della prova, stante la mancanza di una previsione sanzionatoria specifica in tal senso e non essendo la fattispecie riconducibile ad alcuna delle previsioni delineate dall’artt. 178 cod. proc. pen nè inutilizzabilità della prova, trattandosi di prov assunta non in violazione di divieti posti dalla legge, ma con modalità diverse da quelle prescritte; le relative doglianze devono tradursi in censure che investono la motivazione di attendibilità del teste`le eventuali eccezioni relative alle modalità di conduzione dell’esame testimoniale devono essere proposte immediatamente al giudice che raccoglie la prova.
Con riferimento al profilo della dedotta inutilizzabilità, devono svolgersi le ulteriori considerazioni che seguono, relative alla specifica disciplina che regola l’incidente probatorio, istituto che qui rileva.
Si è condivisibilmente osservato che la sanzione dell’inutilizzabilità concerne un tipo di invalidità dell’atto processuale derivante dalla mancanza di conformità al modello legale di ammissione o assunzione della prova; tuttavia, mentre la mancanza di conformità derivante da “violazione di divieti” stabiliti dalla legge è presidiata dalla sanzione AVV_NOTAIO dell’inutilizzabilità, prevista dall’art. 191 comma 1, cod. proc. pen., la mancanza di conformità derivante dalla violazione di prescrizioni positive relative alle condizioni di ammissione o assunzione della prova non rientra nella previsione AVV_NOTAIO delle “prove illegittimamente acquisite” (art. 191 cod. proc. pen.), occorrendo una previsione specifica di inutilizzabilità (c.d. speciale). Nella disciplina dell’incidente probatorio, tuttavia, le ipotesi inutilizzabilità c.d. speciali previste dalla legge sono soltanto quelle di cui agli art 403 e 404 cod. proc. pen., che sanciscono l’utilizzabilità delle prove assunte soltanto nei confronti degli imputati i cui difensori abbiano partecipato all’assunzione, e l’inopponibilità -non già l’invalidità- del giudicato fondato su prove assunte in incidente probatorio al danneggiato, che non ne faccia accettazione, anche tacita; ipotesi, dunque, di inutilizzabilità ‘non patologica’ (cf Sez.5, n. 49030 del 17/07/2017, Rv.271777 – 01, in motivazione).
Nè, infine, coglie nel segno l’affermazione che l’assunzione della prova con e modalità protette sarebbe stata lesiva del diritto al controesame esid3i principi del contraddittorio.
Questa Corte ha affermato, in maniera condivisibile, che trattasi di una forma di escussione che non viola né il diritto di difesa, inteso quale diritto a contraddittorio, né i principi dell’oralità e del giusto processo di matric convenzionale, consentendo comunque all’imputato di interrogare o fare interrogare il testimone a suo carico davanti ad un giudice (Sez.3 n. 58318 del 09/11/2018, Rv.274739 – 02, che in motivazione ha chiarito che “non è prospettabile la dedotta violazione del diritto di difesa, come anche declinato nella giurisprudenza di matrice convenzionale secondo quanto sancito dall’art. 6 Cedu, quale diritto a controesaminare il teste – diritto dell’accusato di interrogare davanti ad un giudice – in quanto l’assunzione della prova avviene davanti ad un giudiceG.I.P – ed è pienamente garantito all’accusato di esaminare il teste, pur con l’adozione delle misure volte ad impedire un diretto contatto tra costoro e con la mediazione del giudice nel porre le domande).
A ciò si aggiunge anche che, nel caso in esame, al momento della raccolta delle dichiarazioni della persona offesa maggiorenne, era presente il difensore dell’imputato, il quale è stato posto in condizione di rivolgere domande alla teste a mezzo del giudice e non risulta avere eccepito alcunché in ordine alle modalità di assunzione della prova, con la conseguenza che la relativa doglianza non è proponibile in questa sede.
Da tanto discende, come anticipato, la manifesta infondatezza della doglianza. 3. Il terzo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Secondo il dictum delle Sezioni Unite, in tema dì reato continuato, il giudice, nel determinare la pena complessiva, oltre ad individuare il reato più grave e stabilire la pena base, deve anche calcolare e motivare l’aumento di pena in modo distinto per ciascuno dei reati satellite (Sez.U, n. 47127 del 24/06/2021, Rv.282269 – 01).
In particolare, è stato chiarito che il grado di impegno motivazionale richiesto in ordine ai singoli aumenti di pena è correlato all’entità degli stessi e tale da consentire di verificare che sia stato rispettato il rapporto di proporzione tra le pene, anche in relazione agli altri illeciti accertati, che risultino rispettati i previsti dall’art. 81 cod. pen. e che non si sia operato surrettiziamente un cumulo materiale di pene (conf. Sez. U, n. 7930/94, Rv 201549-01).
Si è osservato che “il reato continuato non è strutturalmente un reato unico; l’unificazione rappresenta una determinazione legislativa funzionale alla definizione da parte del giudice di un trattamento sanzionatorio più mite di quanto non risulterebbe dall’applicazione del cumulo materiale delle pene. Per tale motivo essa non può spiegare effetto oltre il perimetro espressamente individuato dal legislatore. Ne consegue che dal punto di vista della struttura del reato continuato non vi è ragione di ridurre l’obbligo motivazionale ritenendolo cogente unicamente
per la pena relativa al reato più grave”. E si è sottolineato che: “L’autonomia dei reati satellite si salda all’obbligo di motivazione, che accede all’esercizio del potere discrezionale attribuito al giudice per la determinazione del trattamento sanzionatorio, sì che deve essere giustificato ogni risultato di quell’esercizio (art. 132, primo comma, cod. pen.); e che: “In conclusione, il valore ponderale che il giudice attribuisce a ciascun reato satellite concorre a determinare un razionale trattamento sanzíonatorio; e, pertanto, devono essere resi conoscibili gli elementi che hanno condotto alla definizione di quel valore.”
Si è, inoltre, evidenziato che “l’obbligo motivazionale richiede modalità di adempimento diverse a seconda dei casi”. In particolare, si è osservato che “la associazione di una pena base determinata nella misura minima edittale ed un aumento per la continuazione di entità esigua esclude l’abuso del potere discrezionale conferito dall’art. 132 cod. pen. e dimostra, per implicito, che è stata operata la valutazione degli elementi obiettivi e subiettivi del reato risultanti da contesto complessivo della decisione. Quando, invece, la pena per il reato più grave è quantificata a livelli prossimi o coincidenti con il minimo edittale ma quella fissata in aumento per la continuazione è di entità tale da configurare, sia pure in astratto, una ipotesi di cumulo materiale dei reati, l’obbligo motivazionale del giudice si fa più stringente, dovendo egli specificare dettagliatamente le ragioni che lo hanno indotto a tale decisione”
Nella specie, la Corte territoriale, facendo buon governo del suesposto principio di diritto, ha congruamente e logicamente argomentato in ordine all’entità dell’aumento operato sulla pena base ai sensi dell’art. 81 cpv cod.pen. per la continuazione interna (mesi dieci di reclusione), richiamando la reiterazione delle condotte (“elevata frequenza e consistente protrazione delle condotte, AI reiterate per circa quattro anni).
Nè rileva che l’elemento della protrazione della condotta per un lungo lasso di tempo sia stata considerata dalla Corte di appello anche ai fini della determinazione dell’entità della pena base, trattandosi di elemento polivalente. Va ricordato che, ai fini della determinazione della pena, il giudice può tenere conto di uno stesso elemento che abbia attitudine a influire su diversi aspetti della valutazione, ben potendo un dato polivalente essere utilizzato più volte sotto differenti profili per distinti fini senza che ciò comporti lesione del principio del ” bis in idem” (Sez.2, n. 24995 del 14/05/2015, Rv.264378 – 01″).
In definitiva, il ricorso è per un motivo infondato e per altri inammissibile e va, quindi, rigettato nel suo complesso, con condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod.proc.pen, al pagamento delle spese processuali.
Va, infine, dato atto che nel giudizio di cassazione con trattazione orale non va disposta la condanna dell’imputato al rimborso delle spese processuali in favore
della parte civile che – come avvenuto nella specie – non sia intervenuta nella discussione in pubblica udienza, ma si sia limitata a formulare la richiesta di condanna mediante il deposito di una memoria in cancelleria con l’allegazione di nota spese (Sez U, n. 27727 del 14/12/2023, dep.11/07/2024, Rv.286581 – 03).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 17/09/2025
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Il Consigliere estensore
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In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell’art. 52 d.lgs 196/03 in quanto imposto dalla legge.
Deposituta in Cancelleria oggi, COGNOME 31 OTT, 2025
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