Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 1667 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 1667 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 13/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOMECOGNOME nato a Belvedere Marittimo (CS) il 23/03/1992
avverso la ordinanza del 28/05/2024 del Tribunale di Catanzaro;
letti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso; udito il difensore del ricorrente, avv. NOME COGNOME in sostituzione dell’avv. NOME COGNOME che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza impugnata, il Tribunale del riesame di Catanzaro ha confermato l’applicazione degli arresti donniciliari nei confronti di NOME COGNOME in relazione a due furti con scasso commessi, in concorso con altre persone, ai danni di una rivendita di biciclette elettriche e di un negozio di abbigliamento.
Il ricorso, da lui proposto con atto del proprio difensore, consta di tre motivi.
2.1. Il primo consiste nel vizio della motivazione con la quale è stata disattesa l’eccezione d’incompetenza funzionale del Giudice per le indagini preliminari individuato a norma dell’art. 328, comma 1 -bis, cod. proc. pen., non rientrando gli anzidetti reati tra quelli previsti dall’art. 51, comma 3 -bis, cod. proc. pen..
L’ordinanza si è limitata a rilevare che la competenza del giudice “distrettuale” permane anche quando l’elemento che la radica – nello specifico, l’aggravante dell’art. 416-bis.1, cod. pen. – venga escluso in fase di valutazione della richiesta cautelare presentata dal Pubblico ministero, mentre la doglianza difensiva evidenziava la previa iscrizione delle relative notizie di reato presso la Procura della Repubblica competente per territorio ed addirittura, per uno di quegli episodi, la già intervenuta sentenza di condanna, da ciò deducendo la preclusione di una nuova iscrizione da parte del Pubblico ministero distrettuale.
2.2. Il secondo motivo denuncia vizi della motivazione in punto di gravità indiziaria.
Quanto al furto delle biciclette (capo 194 dell’incolpazione), le conversazioni intercettate e valorizzate dal Tribunale sarebbero, in realtà, di significato neutro, mancando di riferimenti alla merce asseritamente rubata e contenendo un’indicazione nominativa de soggetto che le avrebbe recuperate con l’ausilio dei carabinieri, tale “NOME“, non corrispondente al nome del titolare dell’esercizio.
Riguardo all’altro episodio (capo 195), la motivazione è contraddittoria là dove indica nel ricorrente uno degli autori materiali del reato, dopo aver dato atto, tuttavia, che gli stessi, nelle riprese dell’impianto di videosorveglianza del locale, recavano il volto travisato. Le conversazioni intercettate, poi, sarebbero inconferenti, non contenendo alcun riferimento univoco ai fatti di reato.
2.3. Vizi di motivazione vengono rappresentati, con l’ultimo motivo di ricorso, anche in tema di esigenze cautelari, considerando che l’indagato risulta già sottoposto agli arresti domiciliari in separato procedimento per altri reati. Illogicamente, invece, il Tribunale ha ritenuto che tale circostanza determini un aggravamento del pericolo di reiterazione criminosa, senza tuttavia spiegare come, in costanza di tale vincolo, quel pericolo possa concretizzarsi.
Inoltre si lamenta: la mancata considerazione del tempo trascorso dai fatti, risalenti al 2021; la disparità di trattamento rispetto al coindagato Viapiana, nonostante che questi – si legge nell’ordinanza emessa nei suoi confronti dal medesimo Tribunale – avrebbe svolto «funzione propulsiva» nei confronti del ricorrente; l’omessa rivalutazione della proporzionalità della misura, nonostante
l’annullamento dell’originario provvedimento cautelare per altri due episodi analoghi (capi 192 e 193 dell’incolpazione).
Ha depositato memoria scritta la difesa ricorrente, insistendo per l’accoglimento dell’impugnazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Nessuno dei motivi di ricorso può essere ammesso.
Il primo è manifestamente privo di fondamento giuridico.
Come correttamente rilevato dai giudici del riesame, sussiste la competenza del Giudice per le indagini preliminari distrettuale quando il delitto qualificante risulti incluso nella notizia di reato iscritta nel registro di cui all’art. 335, cod. pro pen., anche se in relazione ad esso non venga ravvisato un quadro di gravità indiziaria idoneo all’intervento cautelare domandato e purché, al momento della domanda, risulti ancora l’iscrizione per quel fatto (in generale, Sez. 1, n. 43953 del 09/07/2019, confl. comp. G.i.p. Trib. Messina, Rv. 277499, in motivazione; nello specifico, in tema di perdurante competenza del Giudice per le indagini preliminari distrettuale quando la circostanza aggravante di cui all’art. 7 del D.L. n. 152 del 1991 – ora 416-bis.1, cod. pen. – risulti inclusa nella notizia di reato iscritta nel relativo registro, anche se in ordine alla sussistenza della stessa non venga ritenuto esistente un quadro di gravità indiziaria, si veda, ad esempio, oltre a quelle citate dal Tribunale, Sez. 1, n. 15927 del 22/03/2007, Greco, Rv. 236369).
Quanto poi, al profilo della duplice iscrizione per lo stesso fatto di reato in distinti procedimenti, considerato che nemmeno il ricorrente riferisce di una sentenza definitiva intervenuta nell’altro, la disciplina regolatrice è quella delineata dalle Sezioni unite di questa Corte con la sentenza n. 34655 del 28/06/2005, COGNOME, Rv. 231800: secondo cui non è preclusa l’apertura di procedimenti diversi nei confronti della stessa persona e per lo stesso fatto di reato, ma soltanto la duplicazione dell’esercizio dell’azione penale, peraltro solamente nella stessa sede giudiziaria e su iniziativa del medesimo ufficio del Pubblico ministero, rimanendo perciò al di fuori del relativo campo di applicazione l’ipotesi in esame, in cui, tra l’altro, i procedimenti sono stati avviati da differenti uffici del Pubblico ministero.
I restanti motivi possono essere trattati congiuntamente, poiché presentano il medesimo limite: quello, cioè, di postulare dalla Corte di cassazione delle valutazioni puramente di merito, che non le possono competere.
3.1. Tanto dicasi, anzitutto, per quel che riguarda la gravità indiziaria, contestandosi la valutazione delle risultanze investigative compiuta dal Tribunale, in questa sede tuttavia sindacabile soltanto nei limiti del palese fraintendimento o della totale pretermissione di prove decisive di segno contrario, che, tuttavia, neppure il ricorso prospetta.
3.2. Ed altrettanto vale per il ravvisato pericolo di reiterazione criminosa e per la necessità di una misura custodiale, giustificate dal Tribunale, con motivazione logicamente ineccepibile, in ragione dell’inserimento del ricorrente in contesti criminali articolati e dei suoi numerosi precedenti penali e giudiziari, anche specifici, per fatti successivi a quelli in rassegna e molto recenti.
Nessun rilievo può assegnarsi di per sé, infatti, al dato, puramente quantitativo, del numero delle incolpazioni per le quali è stata confermata la gravità indiziaria, né alla prospettata disparità di trattamento rispetto ad altri indagati: non solo perché non ne è comprovato l’eventuale presupposto di fatto, ovvero la perfetta identità delle relative posizioni, anche, cioè, sul piano soggettivo e non solamente per quel che riguarda gli addebiti; ma, ancor prima, ed in generale, perché essa non è prevista dalla disciplina di rito come criterio selettivo per l’applicazione e la scelta di misure cautelari.
4. L’inammissibilità del ricorso comporta obbligatoriamente – ai sensi dell’art. 616, cod. proc. pen. – la condanna del proponente al pagamento delle spese del procedimento e di una somma in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi una sua assenza di colpa nella determinazione della causa d’inammissibilità (vds. Corte Cost., sent. n. 186 del 13 giugno 2000). Detta somma, considerando la manifesta assenza di pregio degli argomenti addotti, va fissata in tremila euro.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 13 novembre 2024.