Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 20241 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 20241 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 15/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 25/08/2023 del TRIB. LIBERTA’ di PALERMO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; sentite le conclusioni del PG PIETRO COGNOME
Il Proc. AVV_NOTAIO. conclude per il rigetto del ricorso.
udito il difensore
L’avvocato AVV_NOTAIO, in difesa di NOME, insiste nell’accoglimento del ricorso.
Depositata in Cancelleria
Oggi,
22 MAG, 2024
RITENUTO IN FATTO
1. Con l’ordinanza del 26 luglio 2023 il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Termini Imerese ha convalidato il fermo disposto in data 22 luglio 2023 dalla Direzione distrettuale RAGIONE_SOCIALE della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Palermo nei confronti di 15 indagati, ed ha applicato la misura cautelare della custodia in carcere a NOME; quindi, ha dichiarato l’incompetenza per territorio ritenendo sussistere la competenza dell’autorità giudiziaria di Palermo.
1.1. L’ordinanza cautelare è stata emessa per i delitti di cui ai capi:
1) ex artt. 61-bis cod. pen., 74, commi 1, 2 e 3, 80, comma 2, d.P.R. n. 309 del 1990, per essersi associati con NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME ed NOME COGNOME (membri dell’equipaggio della motonave NOME COGNOME, per i quali si è proceduto con separato decreto di fermo), nonché con altri soggetti in corso di identificazione, allo scopo di commettere più delitti ex art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990 e, segnatamente, per avere, nella loro qualità di membri dell’equipaggio della «Plutus», assicurato l’approvvigionamento di quantitativi di sostanza stupefacente del tipo cocaina di ingentissima quantità tali da rifornire buona parte del mercato italiano – anche proveniente dall’estero, rifornendosi a tal fine tramite collaudati canali internazionali e dotandosi di natanti idonei al trasporto degli stupefacenti in alto mare, al loro occultamento e stoccaggio, nonché al loro trasbordo su navi pilota destinate all’approdo sulle coste italiane (in Palermo, Porto Empedocle, Termini Imerese e altre località del territorio siciliano dall’ottobre 2021, in permanenza);
2) per avere, senza l’autorizzazione ex art. 17 e fuori dai casi di cui all’art. 75 d.P.R. n. 309 del 1990, in concorso con i soggetti di cui al precedente capo, detenuto e trasportato sino alle acque costiere italiane ai fini della successiva commercializzazione un ingente quantitativo di sostanza stupefacente del tipo cocaina, suddiviso in n. 188 colli, ciascuno dei quali contenente diversi panetti confezionati in involucri di plastica, del complessivo peso di 5.340,00 kg. lordi, con condotta consistita, per i membri dell’equipaggio della Plutus, tra cui NOME, nello stoccare la sostanza all’interno del natante, nell’organizzare l’allestimento per il successivo lancio in mare con galleggiante e segnale luminoso, nell’abbandonarla sulle acque in attesa del successivo recupero e trasporto verso le coste italiane da parte dell’equipaggio della nave NOME COGNOME (in Porto Empedocle, il 19 luglio 2023).
1.2. Su richiesta del Pubblico ministero del 31 luglio 2023, con l’ordinanza del 4 agosto 2023, ai sensi dell’art. 27 cod. proc. pen. il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Palermo ha disposto nei confronti di tutti gli indagati,
tra cui NOME, la custodia cautelare in carcere, per i reati prima indicati, confermando la precedente decisione.
1.3. Con l’ordinanza del 23 agosto 2023 il Tribunale del riesame di Palermo, in parziale accoglimento dell’istanza ex art. 309 cod. proc. pen. proposta dalla difesa di NOME, ha escluso per il reato di cui al capo 1) la circostanza aggravante ex art. 61-bis cod. pen. e ha confermato nel resto il provvedimento impugnato.
Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’indagato, articolando otto motivi.
2.1. Con il primo motivo si deducono l’inosservanza degli artt. 390, comma 1, e 395, comma 5, cod. proc. pen., ed il vizio della motivazione sulla questione di inefficacia della misura cautelare applicata.
Secondo il ricorrente, il giudice, funzionalmente e inderogabilmente competente ex artt. 390, comma 1, e 395, comma 5, cod. proc. pen. ad applicare le misure restrittive della libertà personale, dovrebbe essere individuato in base al luogo in cui è stato eseguito il fermo o l’arresto. Tale luogo, nel caso in esame, sarebbe nel circondario del Tribunale di Agrigento, nelle cui acque sarebbe stata intercettata la nave Plutus e sarebbe avvenuta l’effettiva privazione della libertà del ricorrente: non rileverebbe che il verbale di fermo sia stato formalizzato nel territorio di Termini Imerese. La competenza ad applicare la misura cautelare sarebbe stata, pertanto, del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Agrigento: non di quello di Termini Imerese che emise la misura cautelare, dichiarando, poi, l’incompetenza per territorio con trasmissione degli atti all’autorità giudiziaria di Palermo.
L’incompetenza funzionale del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Termini Imerese avrebbe determinato l’invalidità e l’inefficacia della misura cautelare del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Palermo, investito ex art. 27 cod. proc. pen., il quale avrebbe provveduto «sul nulla» (così a pag. 5 del ricorso), poiché la misura cautelare da lui confermata avrebbe dovuto considerarsi tamquam non esset. L’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Palermo sarebbe anch’essa invalida e inefficace, in quanto atto consecutivo e dipendente da uno precedente invalido; di conseguenza, sarebbe inapplicabile l’art. 27 cod. proc. pen.
2.2. Con il secondo motivo si deducono l’inosservanza degli artt. 390, comma 1, e 395, comma 5, cod. proc. pen., ed il vizio della motivazione sull’eccezione di incompetenza per territorio del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Palermo, proposta all’udienza del 24 agosto 2023. L’unico giudice legittimato ad applicare la misura cautelare nei confronti di un soggetto sottoposto a fermo
sarebbe, per competenza funzionale ed inderogabile, il Giudice del luogo in cui il fermo è stato eseguito, sia che lo si identifichi nel Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Agrigento che in quello di Termini Imerese, con conseguente incompetenza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Palermo.
Infine, si deduce la mancanza di motivazione sulla eccezione di inefficacia della misura cautelare applicata al ricorrente dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Palermo, quale conseguenza dell’inefficacia dell’ordinanza emessa, in difetto di competenza funzionale, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Termini Imerese.
2.3. Con il terzo motivo si deducono l’inosservanza dell’art. 309, comma 5, cod. proc. pen., ed il vizio della motivazione sugli effetti del mancato deposito degli atti di indagine di cui all’art. 291, comma 3, cod. proc. pen.
Il Pubblico ministero non avrebbe depositato al Tribunale del riesame la ripresa audiovisiva, che costituirebbe l’unica fonte indiziaria a carico dei membri dell’equipaggio della Plutus, tra cui il ricorrente. Non sussisterebbe in atti alcun altro elemento da cui potrebbe desumersi, anche indirettamente, il coinvolgimento della nave Plutus nell’attività di traffico di sostanza stupefacente: senza la videoripresa, non potrebbe configurarsi nessuna accusa nei confronti dei membri dell’equipaggio.
L’omesso deposito di tale elemento indiziario renderebbe inefficace la misura applicata, ai sensi degli artt. 309, commi 5 e 10, e 291, comma 1, cod. proc. pen.
Si deduce il vizio della motivazione nella parte in cui il Tribunale del riesame ha ritenuto non necessario il deposito della video ripresa perché il suo contenuto sarebbe descritto nella relazione di polizia giudiziaria, mediante l’osservazione RAGIONE_SOCIALE immagini. Come risulterebbe dalla stessa ordinanza impugnata, la relazione della polizia giudiziaria si limiterebbe, esclusivamente, a dare atto dell’esistenza della ripresa audiovisiva e non a descrivere quanto percepito dagli operanti; pertanto, i due mezzi di prova non sarebbero fungibili: la video ripresa avrebbe dovuto essere conosciuta ed esaminata dal Tribunale del riesame.
Contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale del riesame, la difesa non avrebbe dovuto formulare una richiesta di deposito della ripresa, poiché il Pubblico ministero avrebbe un onere di allegazione.
Il Tribunale del riesame avrebbe, contraddittoriamente, negato la finalità dell’art. 309, comma 5, cod. proc. pen. di garanzia del diritto di difesa.
Infine, il dato di fatto, in base al quale il Tribunale del riesame ha rigettat l’eccezione di inefficacia, per cui la video ripresa non sarebbe stata depositata al Giudice per le indagini preliminari con la richiesta di applicazione della misura cautelare risulterebbe solo dalle affermazioni del Pubblico ministero.
2.4. Con il quarto motivo si deducono l’inosservanza dell’art. 5 d.l. n. 367 del 1991, conv. con mod. dalla legge n. 8 del 1992, e il vizio della motivazione sulla dedotta incompetenza della Direzione distrettuale RAGIONE_SOCIALE della Procura presso il Tribunale di Palermo, in ragione della ritenuta insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza sul reato ex art. 74 del d.P.R. n. 309 del 1990. Il Tribunale del riesame avrebbe confermato la sussistenza della competenza con motivazione apodittica.
2.5. Con il quinto motivo si deducono l’inosservanza dell’art. 273, comma 1, cod. proc. pen. ed il vizio della motivazione per il travisamento della prova. L’assenza della gravità indiziaria deriverebbe dall’omesso deposito della ripresa audiovisiva. Il Tribunale del riesame sarebbe incorso nel travisamento della prova in quanto avrebbe erroneamente ritenuto che la relazione della polizia giudiziaria abbia descritto quanto percepito direttamente dagli operanti, mentre la stessa si sarebbe limitata a dare atto dell’esistenza della ripresa audiovisiva.
2.6. Con il sesto motivo si deducono l’inosservanza degli artt. 73 e 74 d.P.R. n. 309 del 1990, la mancanza e manifesta illogicità della motivazione, e si sostiene l’assenza di elementi costituitivi dei reati contestati. Quand’anche il Tribunale del riesame avesse avuto a disposizione la ripresa audiovisiva, comunque, non vi sarebbe prova che gli imballaggi – che sarebbero stati lanciati in mare dalla nave Plutus – contenessero la sostanza stupefacente, dal momento che gli stessi non sarebbero stati materialmente individuati a bordo della nave NOME RAGIONE_SOCIALE‘RAGIONE_SOCIALE, come si evincerebbe dal provvedimento di fermo.
Quanto al delitto ex art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990, mancherebbe ogni indizio della partecipazione degli indagati a qualsiasi vincolo associativo, non emergendo alcuna incondizionata disponibilità alla realizzazione di una serie indeterminata di delitti, nel quadro di una struttura associativa stabile e connotata da un programma criminale. Non sarebbe emerso a carico dei membri della Plutus alcun altro episodio oltre a quello di cui al capo 2), né vi sarebbero indizi della consapevolezza degli indagati di partecipare stabilmente ad una serie indeterminata di reati.
2.7. Con il settimo motivo si deducono l’inosservanza dell’art. 110 cod. pen., la mancanza e la manifesta illogicità della motivazione: mancherebbero gli elementi costitutivi del concorso di persone nel reato. Sarebbe stata ritenuta sussistente una, inammissibile, responsabilità penale «collettiva» per la sola presenza sulla nave Plutus di più persone: non sarebbero stati identificati i singoli soggetti impegnati nel lancio in mare degli imballaggi e non vi sarebbe stata la consapevolezza del ricorrente della presenza a bordo degli imballaggi e, comunque, del loro contenuto.
Mancherebbe la motivazione sul necessario e specifico apporto causale, ex art. 110 cod. pen., da parte di ciascuno degli indagati in relazione ai fatti ascritt Sarebbe stato confuso l’apporto di ciascun membro dell’equipaggio alla navigazione con il contributo causale arrecato da ciascun indagato nella commissione del reato contestato.
2.8. Con l’ottavo motivo si deducono l’inosservanza dell’art. 274 cod. proc. pen. e la mancanza e manifesta illogicità della motivazione sulla sussistenza RAGIONE_SOCIALE esigenze cautelari. L’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza per il reato ex art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 implicherebbe l’inapplicabilità della presunzione relativa di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. Mancherebbe la motivazione sul pericolo di fuga e sulla impossibilità di impedirlo con misure meno afflittive.
Non sussisterebbe il pericolo di reiterazione dei reati, a fronte dell’assenza di ogni stabile inserimento in un sistema criminale; mancherebbe la professionalità nel reato, l’attualità e concretezza del pericolo, Il Tribunale del riesame non avrebbe valutato la personalità dell’indagato o le sue condizioni di vita.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo, secondo, il terzo e il quarto motivo sono inammissibili ex art. 606, comma 3, cod. proc. pen., nella parte in cui deducono il vizio della motivazione sulla risposta alle questioni di diritto dedotte con il riesame sull’efficacia del misura cautelare, sull’individuazione del giudice territorialmente competente ad applicare la misura cautelare, sulla competenza della Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Palermo.
Secondo il costante orientamento della giurisprudenza, ribadito da Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, Filardo, Rv. 280027 – 01, «In tema di ricorso per cassazione, i vizi di motivazione indicati dall’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. non sono mai denunciabili con riferimento alle questioni di diritto, non solo quando la soluzione adottata dal giudice sia giuridicamente corretta, ma anche nel caso contrario, essendo, in tale ipotesi, necessario dedurre come motivo di ricorso l’intervenuta violazione di legge».
Il primo motivo, sul vizio di violazione di legge processuale, è manifestamente infondato.
2.1. La tesi difensiva è manifestamente infondata perché confonde la competenza funzionale del giudice per la convalida, che è collegata al luogo dell’arresto o del fermo, con la competenza ad emettere la misura cautelare che è ritenuta – dal ricorrente – funzionale ed «assoluta», tanto che non si applicherebbero le ordinarie regole sulla competenza per territorio.
È manifestamente infondata anche nel punto in cui ritiene che l’eventuale invalidità o l’inefficacia dell’ordinanza emessa dal giudice della convalida si estenda alla successiva ordinanza emessa dal giudice territorialmente competente: vi è, invece, totale autonomia tra i due provvedimenti. La tesi difensiva è, infatti, contraria alla giurisprudenza, anche RAGIONE_SOCIALE Sezioni Unite.
2.1.1. Con la sentenza n. 17 del 14/07/1999, COGNOME, Rv. 214239-01, le Sezioni Unite hanno affermato il principio per cui, quando il luogo dell’arresto o del fermo sia diverso da quello della commissione del reato, l’ordinanza coercitiva emessa dal giudice per le indagini preliminari competente per la convalida ha efficacia provvisoria a norma dell’art. 27 cod. proc. pen.
In motivazione, si osserva che «Il giudice indicato nell’art. 390.1 c.p.p. è funzionalmente competente per il giudizio di convalida dell’arresto o del fermo senza che siano previste deroghe; ma la misura coercitiva che, richiesto dal P.M., applichi a norma dell’art. 391.5 è pur sempre esercizio di attività posta in essere da un giudice incompetente quando, come nel caso in esame, per la diversità fra luogo del commesso reato e luogo in cui il fermo è stato eseguito, non si identifichi col giudice indicato dall’art. 279, correlato agli artt. 4 e segg. c.p.p.»; pertant «La competenza funzionale per la convalida dell’arresto o del fermo non si traduce automaticamente in competenza esclusiva e derogatoria riferita al potere di disporre (eventualmente) un provvedimento coercitivo, ferma restando la stretta relazione tra le due attività (cfr. Sez. U, n. 17 del 14/07/1999, in motivazione, par. 2 e 3 del «Considerato»).
2.1.2. La previsione dell’art. 391, comma 6, cod. proc. pen., secondo cui, ove il giudice in sede di convalida della misura precautelare non applichi una misura coercitiva, vi è l’obbligo di disporre l’immediata liberazione dell’indagato, «non autorizza a ritenere sussistente una competenza cautelare esclusiva e derogatoria attribuita al “giudice della convalida” che non si identifichi col “giudice ch procede”, considerata l’inderogabilità della disciplina sulla competenza, normativamente prevista e costituzionalmente garantita. Ove coincidenza non vi sia, l’esercizio del potere precautelare e di quello cautelare non opera sullo stesso piano di competenza funzionale, non previsto dalle norme che regolano la materia (arg. ex artt. 390.1, 27, 291 nonché 391.5 che a quest’ultimo fa espresso riferimento)» (cfr. Sez. U., n. 17 del 14/07/1999, par. 3 del «Considerato»).
2.1.3. Si è, di conseguenza, affermato che il provvedimento di convalida della misura precautelare e quello di applicazione della misura cautelare sono reciprocamente autonomi e la nullità del primo non si estende all’ordinanza impositiva della misura coercitiva (cfr. Sez. U., n. 17 del 14/07/1999, COGNOME, Rv. 214239-02).
2.2. I principi della sentenza COGNOME sono stati confermati da Sez. U, n. 12823 del 25/03/2010, COGNOME, Rv. 246273-01, secondo cui, nell’ipotesi in cui la misura cautelare sia stata disposta dal giudice della convalida ex art. 391, comma 5, cod. proc. pen., e il luogo dell’arresto o del fermo sia diverso da quello di commissione del reato, solo la formale dichiarazione di incompetenza da parte del giudice determina l’inefficacia della misura cautelare che non sia stata rinnovata dal giudice competente entro venti giorni dall’ordinanza di trasmissione degli atti (principio ribadito da Sez. 5, n. 45176 del 02/10/2019, P., Rv. 277642-01). In motivazione, le Sezioni Unite hanno richiamato la motivazione della sentenza COGNOME, con la quale «… Si disse infatti allora che l’attribuzione prevista da comma 5 dell’art. 391 c.p.p., in base alla quale il provvedimento cautelare era stato adottato, non configurava una competenza funzionale del giudice della convalida, come peraltro la maggioranza della giurisprudenza aveva fino al quel momento ritenuto, ma rientrava nel genus dell’art. 291 comma 2 c.p.p. avendo natura di intervento di urgenza e provvisorio» (cfr. par. 2 del «Considerato»); hanno ritenuto che vada «… tenuto fermo, a monte, che le misure cautelari disposte dal giudice della convalida non sono, solo perché tali e cioè perché emanate nell’esercizio dei poteri di cui all’art. 391 comma 5 c.p.p., misure disposte da giudice competente …» (cfr. par. 3 del «Considerato»).
Dunque, la tesi difensiva è del tutto infondata.
2.3. Le sentenze citate nel ricorso (pag. 4) sono tutte in linea con i principi di diritto espressi dalle Sezioni Unite e non dimostrano in alcun modo la tesi difensiva.
2.3.1. Sez. 6, n. 3268 del 18/10/1999, Nasone, Rv. 216374-01, in motivazione, al par. 2 del «Considerato», ha esplicitamente richiamato la sentenza COGNOME ed ha affermato che «… la competenza funzionale ex art. 391 cod. proc. pen. del giudice della convalida non deroga – come è reso evidente dal richiamo, effettuato dal quinto comma dell’art. 391, all’intero art. 291 cod. proc. pen. – alle norme sulla competenza per territorio stabilite dall’art. 8 segg. cod. proc. pen., cosicché, quando il luogo dell’arresto o del fermo sia diverso da quello della commissione del reato, l’ordinanza coercitiva emessa dal giudice per le indagini preliminari competente per la convalida ha efficacia provvisoria a norma dell’art. 27 cod. proc. pen., per cui, ove il giudice per le indagini preliminari competente per territorio non provveda nel termine di venti giorni a emettere il nuovo provvedimento cautelare, la misura perde efficacia».
2.3.2. Nella motivazione di Sez. 2, n. 5226 del 16/11/2006, Lomanto, Rv. 235813-01, si afferma il carattere inderogabile della competenza ex art. 390, comma 1, cod. proc. pen. e, quanto alle misure cautelari disposte dal giudice della convalida del fermo o dell’arresto, si richiama testualmente il principio di diritt sancito della sentenza COGNOME.
2.4. Non sussiste, di conseguenza, alcuna c.d. «invalidità derivata» del provvedimento applicativo della misura cautelare ex art. 27 cod. proc. pen., non essendo, per altro, tale sanzione processuale espressamente prevista per il caso in esame da alcuna norma dell’ordinamento.
Il secondo motivo, con cui si deduce il vizio di violazione di legge processuale sulla competenza per territorio, è manifestamente infondato. L’incompetenza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Palermo ad ree., emettere la misura cautelare è stata eccepita nel ricorso in base ii stesse argomentazioni, manifestamente infondate, del primo motivo. Va ribadita la differenza tra la competenza funzionale alla convalida del fermo e quella relativa alla competenza per territorio.
Il terzo motivo, con cui si deduce il vizio di violazione di legge processuale eccependo l’inefficacia della misura cautelare, è manifestamente infondato.
4.1. Secondo il costante orientamento della giurisprudenza, l’obbligo di trasmissione al Tribunale del riesame, previsto dall’art. 309, comma 5, cod. proc. pen., riguarda solo gli atti che il pubblico ministero ha selezionato per sostenere la sua richiesta cautelare, oltre che gli elementi a favore dell’indagato, mentre nessun onere sussiste di trasmettere tutto il contenuto del fascicolo processuale (Sez. 4, n. 5981 del 17/10/2019, dep. 2020, Monaco, Rv. 278436-01).
Il Tribunale del riesame ha rilevato che «il supporto contenente le riprese video non è stato inviato neanche al G.I.P.» (pag. 4), con conseguente inapplicabilità dell’art. 309, comma 5, cod. proc. pen.
4.2. Ove la difesa del ricorrente avesse voluto smentire tale affermazione, non si sarebbe dovuta limitare ad una generica contestazione (cfr. pag. 12 del ricorso), ma avrebbe dovuto provare ex art. 187, comma 2, cod. proc. pen., trattandosi di un fatto processuale, la presenza di tale video ripresa tra gli atti trasmessi dal Pubblico ministero con la richiesta di misura cautelare al Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Palermo che ha, poi, applicato la misura cautelare.
La prova del fatto processuale era del tutto possibile poiché, ex art. 293, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., è diritto del soggetto nei cui confronti è eseguita la custodia cautelare di «accedere agli atti sui quali si fonda il provvedimento». Tale prova non è stata in alcun modo fornita con il ricorso.
4.3. Nel caso in esame, la misura coercitiva è stata pacificamente applicata sulla scorta degli elementi indiziari evidenziati nella informativa di polizi giudiziaria.
Va sottolineato che, in tema di misure cautelari, il pubblico ministero non ha l’obbligo di mettere a disposizione, del Giudice per le indagini preliminari prima e del Tribunale del riesame dopo, determinati atti tassativamente indicati, ma può utilizzare quelli più rilevanti o riassuntivi, con la conseguenza che il verbale di fermo, quando contenga la esposizione RAGIONE_SOCIALE indagini svolte – anche se riassuntivamente menzionate – correttamente può essere posto a fondamento dell’ordinanza applicativa della misura (Sez. 4, n. 53168 del 05/10/2017, COGNOME, Rv. 271682-01) e che, come avvenuto nel caso in esame, il pubblico ministero non ha l’obbligo di trasmettere, ai sensi dell’art. 309, comma 5, cod. proc. pen., i supporti informatici contenenti le video riprese utilizzate ai fini dell’applicazion della misura quando gli esiti RAGIONE_SOCIALE stesse siano riportati nell’annotazione di polizia giudiziaria (Sez. 2, n. 19195 del 12/04/2019, COGNOME, Rv. 276444-01).
Non vi era, dunque, alcun obbligo per il Pubblico ministero di trasmettere al Giudice per le indagini preliminari – e tanto più al Tribunale del riesame – le riprese audio-video indicate dalla difesa, essendo gli esiti RAGIONE_SOCIALE stesse riportati nella relazione di polizia giudiziaria contenuta nel provvedimento di fermo.
Il quarto motivo, con cui si deduce il vizio di violazione di legge processuale sulla competenza della Direzione distrettuale RAGIONE_SOCIALE della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Palermo, è inammissibile trattandosi di provvedimento non impugnabile né con il riesame né con il ricorso per cassazione, trattandosi di questione che non concerne la legittimità dell’ordinanza genetica.
5.1. La persona sottoposta alle indagini o i suoi difensori, che abbiano conoscenza del procedimento ai sensi degli artt. 335 o 369 cod. proc. pen., se ritengono che il reato appartenga alla competenza di un giudice diverso da quello presso il quale il pubblico ministero che procede esercita le sue funzioni, hanno l’onere di richiedere la trasmissione degli atti ad un diverso Pubblico ministero ex art. 54-quater cod. proc. pen.
5.2. Non inciderebbe sull’individuazione della competenza l’insussistenza, valutata ex post, dei presupposti per l’emissione della misura cautelare in relazione al reato ex art. 74 d.P.R. n. 309 del 1999, giacché la competenza si determina in base all’imputazione e non alla successiva valutazione di merito sulla sussistenza del fatto.
È manifestamente infondato il quinto motivo con cui si deducono l’inosservanza dell’art. 273, comma 1, cod. proc. pen. e il vizio della motivazione per il travisamento della prova.
6.1. In tema di misure cautelari personali, il ricorso per cassazione per vizio di motivazione del provvedimento del Tribunale del riesame in ordine alla
consistenza dei gravi indizi di colpevolezza consente al giudice di legittimità, in relazione alla peculiare natura del giudizio ed ai limiti che ad esso ineriscono, la sola verifica RAGIONE_SOCIALE censure inerenti la adeguatezza RAGIONE_SOCIALE ragioni addotte dal giudice di merito ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento RAGIONE_SOCIALE risultanze probatorie e non il controllo di quelle censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze già esaminate dal giudice di merito (Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, Mazzelli, Rv. 276976-01).
6.2. Nel caso in esame, mediante la apparente deduzione del travisamento della prova, ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., si sollecita la Corte ad una, non consentita, valutazione alternativa del compendio indiziario e, precisamente, dell’integrale contenuto della relazione di polizia giudiziaria esaminata dal giudice di merito.
Non si indica nel ricorso quale sarebbe lo specifico passo della relazione che sarebbe stato travisato, né da quale individuato sintagma dovrebbe desumersi che tale annotazione non contenga «quanto percepito» dagli operatori di polizia.
Deve ribadirsi che, a norma dell’art. 606, comma primo, lett. e) cod. proc. pen., costituisce un vizio denunciabile in cassazione l’errore cosiddetto revocatorio che cadendo sul significante e non sul significato della prova si traduce nell’utilizzo di una prova inesistente per effetto di una errata percezione di quanto riportato dall’atto istruttorio (il cosiddetto travisamento della prova) (cfr. sul punto Sez. 5 n. 18542 del 21/01/2011, Carone, Rv. 250168-01).
A ciò si aggiunga, in ogni caso, che, come prima evidenziato, l’annotazione o relazione di polizia giudiziaria ben può contenere la descrizione di immagini e riprese effettuate nel corso RAGIONE_SOCIALE indagini.
Il sesto motivo, con cui si deducono l’inosservanza degli artt. 73 e 74 d.P.R. n. 309 del 1990, la mancanza e manifesta illogicità della motivazione, è inammissibile perché carente del requisito della specificità estrinseca.
7.1. Il ricorso – sostenendo l’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza per i reati di cui all’incolpazione, solo in quanto mancherebbe la prova del contenuto, in termini di sostanza stupefacente, degli imballaggi che sarebbero stati lanciati in mare dalla nave Plutus – non si confronta in modo adeguato con l’ordinanza impugnata.
Il Tribunale del riesame ha fondato la propria decisione su plurimi elementi indiziari, ulteriori rispetto al rinvenimento e al sequestro della cocaina all’intern della nave NOME D’COGNOME, tra cui: l’utilizzo di utenze criptate, riconducibili ad un unico server, denominato «fast.m2m»; le attività di pedinamento e controllo condotte sin dal 2021, con plurimi sequestri di droga; il monitoraggio effettuato
sulla porta-container Plutus, sulle rotte da quest’ultima intrapresa e sui contatti avuti con altre imbarcazioni (pagg. 5-7). Il ricorrente omette di confrontarsi con tali elementi.
7.2. Sulla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza per il reato ex art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990, inoltre, il Tribunale del riesame ha motivato in modo analitico. In primo luogo, ha ritenuto che vi fosse un quadro indiziario caratterizzato da gravità in ordine al delitto di cui al capo 2), ossia al trasporto rilascio in mare di n. 188 colli, ciascuno contenente diversi panetti di cocaina confezionati in involucri di plastica, del complessivo peso di 5.340,00 kg. lordi.
Con un ragionamento coerente e non manifestamente illogico, il Tribunale del riesame ha rilevato che il contesto criminale, in cui è stata eseguita tale condotta di trasporto e rilascio in mare della droga, è riconducibile ad un quadro di incondizionata disponibilità degli indagati ad una serie indeterminata di delitti ex art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990, posti in essere da una struttura connotata da uno stabile programma criminoso, condiviso dai sodali.
Ciò in quanto, già in passato la polizia giudiziaria, mediante l’individuazione RAGIONE_SOCIALE utenze criptate, ha ricostruito le rotte seguite dai trafficanti e ha sequestrato diversi carichi di droga.
Inoltre, con motivazione non manifestamente illogica, il Tribunale del riesame ha ritenuto che un’operazione quale quella descritta al capo 2) – caratterizzata dal trasporto in alto mare, per mesi, di un carico di eccezionale quantità di cocaina, per un valore stimato di almeno € 135 milioni, che ha visto il coinvolgimento di due interi equipaggi di una nave porta-container, sprovvista di altro carico, e di una motopesca d’altura, dotata di intercapedine per occultare la droga – è stata preceduta da una complessa organizzazione volta a concordare e programmare le fasi di acquisto, cessione, trasporto, recupero in mare e commercializzazione della droga, con il coinvolgimento di plurimi soggetti impegnati in vari settori.
Di conseguenza, tale operazione straordinaria non può ragionevolmente considerarsi un fatto episodico e occasionale, essendo realizzabile unicamente da parte di un gruppo criminale stabile, dotato di capacità organizzative, conoscenze, contatti e mezzi patrimoniali ed esecutivi idonei, oltre che da soggetti di estrema fiducia, tra i quali anche il ricorrente, legati reciprocamente da affectio societatis.
NOME avendo dichiarato di essere il terzo capitano della Plutus (pag. 7 dell’ordinanza) e avendo viaggiato per lungo tempo in mare per trasportare unicamente il carico in questione, da trasbordare in alto mare, ha contribuito consapevolmente alla realizzazione del programma criminoso in esame.
7.3. Il ricorrente non contesta analiticamente la logicità del ragionamento seguito dal Tribunale del riesame ma si limita ad asserire l’assenza di ogni indizio
per il reato associativo, senza mai confrontarsi con il contenuto dell’ordinanza impugnata, con conseguente inammissibilità del motivo perché aspecifico.
Anche il settimo motivo, con si deducono l’inosservanza dell’art. 110 cod. pen., la mancanza e la manifesta illogicità della motivazione è inammissibile per aver la difesa del ricorrente omesso di confrontarsi con la motivazione dell’ordinanza impugnata.
8.1. Va ribadito che, nel caso di ricorso avverso il riesame in tema di misure cautelari personali, le doglianze attinenti alla sussistenza o meno dei gravi indizi di colpevolezza e di esigenze cautelari possono assumere rilievo solo se rientrano nella previsione di cui all’art. 606, comma primo lett. e) cod. proc. pen., concernente mancanza o manifesta illogicità della motivazione. Esula, quindi, dalle funzioni della Corte di RAGIONE_SOCIALEzione la valutazione della sussistenza o meno dei gravi indizi e RAGIONE_SOCIALE esigenze cautelari, essendo questo compito primario ed esclusivo dei giudici di merito e, in particolare, prima, del giudice al quale è richiest l’applicazione della misura e poi, eventualmente, del giudice del riesame (Sez. 5, n. 806 del 08/03/1993, COGNOME, Rv. 194139-01, principio ribadito da Sez. 2, n. 56 del 07/12/2011, dep. 2012, Siciliano, Rv. 251761-01, nonché da Sez. F, n. 47748 del 11/08/2014, COGNOME, Rv. 261400-01).
8.2. Ebbene, nella motivazione dell’ordinanza impugnata (cfr. pagg. 7 e 8), il Tribunale del riesame ha ritenuto che ciascun membro dell’equipaggio della Plutus, tra cui il ricorrente, ha consapevolmente intrapreso la traversata, durata mesi, allo scopo, ciascuno con le proprie funzioni, di consentire il trasporto della droga.
Tale finalità è stata desunta da una pluralità di elementi indiziari: l’esiguo numero dei membri dell’equipaggio in rapporto alle dimensioni della motonave, lunga circa 140 metri, nonché alle scarse condizioni di manutenzione della stessa e alla durata della traversata, durata mesi; l’assenza di altro carico, al di fuori d quello gettato in mare, in piena notte, con l’uso di galleggianti e lampade, senz ) altra spiegazione che non il successivo recupero da parte di altri soggetti; la mancata indicazione da parte degli indagati di una diversa finalità lecita della traversata, intrapresa senza trasportare altra merce che i n. 188 colli trasbordati in mare; il recupero di tali colli da parte di un’altra motopesca, dotata di intercapedine atta ad occultare la droga, che aveva incrociato la rotta della Plutus, disattivando il sistema A.I.S. di tracciamento automatico della posizione in mare.
Secondo il Tribunale del riesame, non è ragionevolmente credibile che i membri dell’equipaggio, di diverse nazionalità, abbiano intrapreso un simile lungo viaggio dal Sud America alla Turchia, a bordo di una porta-container priva di merce e di documentazione idonea a giustificare la traversata, senza essere al corrente della finalità di quest’ultima. Ugualmente, non è stato ritenuto credibile che tali
componenti l’equipaggio, ivi compresi quelli con funzioni tecniche, non siano resi conto che l’unica merce trasportata fosse costituita da 188 colli con luci e galleggianti, privi di documenti.
Tali colli di eccezionale peso, nelle argomentazioni del Tribunale del riesame, non possono esser stati ragionevolmente spostati dalla stiva al ponte della nave da una o due persone, senza la partecipazione dell’intero equipaggio.
In risposta alle deduzioni difensive poste con l’istanza di riesame, infine, il Tribunale del riesame ha osservato come fosse irrilevante, nella fase cautelare, individuare i singoli soggetti che hanno lanciato in mare i colli, in quanto, a prescindere da tale attività, ciascun membro dell’equipaggio, accettando di imbarcarsi sulla nave e di mettere a disposizione le proprie competenze infungibili in ragione dell’esiguo numero dei membri e della durata del viaggio per consentire una traversata, il cui scopo era trasportare la droga, ha apportato un apprezzabile contributo causale alla realizzazione di tale attività illecita, ultroneo rispetto alla mera connivenza.
8.3. Il Tribunale del riesame ha, quindi, ritenuto sussistentO, i gravi indizi di colpevolezza in ordine al reato ex artt. 110 cod. pen. e 73 d.P.R. n. 309 del 1990 di cui al capo 2), mediante un ragionamento completo, coerente e non manifestamente illogico, come tale insindacabile in sede di legittimità.
Il ricorrente, lungi dal confrontarsi compiutamente con la motivazione, non ha argomentato in maniera analitica sul perché il ragionamento seguito dal Tribunale del riesame dovrebbe ritenersi manifestamente illogico o contraddittorio, limitandosi a ribadire in modo acritico che non sarebbero stati identificati i singoli soggetti impegnati nel lancio in mare dei colli e che il ricorrente non sarebbe stato consapevole del loro contenuto.
8.4. Infine, non sussiste la denunciata violazione dell’art. 110 cod. pen., avendo il Tribunale del riesame correttamente individuato, in termini di gravità indiziaria, il contributo causale (cfr. Sez. 1, n. 10730 del 18/02/2009, Puoti, Rv. 242849-01) fornito da ciascun membro dell’equipaggio, consistito nel mettere a disposizione le proprie competenze infungibili per consentire la traversata non in sé, ma in quanto avente lo scopo di trasportare la sostanza stupefacente (cfr. pag. 8).
L’ottavo motivo, con il quale si deducono i vizi di violazione di legge processuale e della motivazione sulle esigenze cautelari, è manifestamente infondato.
9.1. Il motivo si fonda, soprattutto, sulla insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza del reato ex art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 e sulla insussistenza della presunzione relativa ex art. 275, comma 3, cod. proc. pen.
Il Tribunale del riesame ha, però, correttamente ritenuto sussistenti i gravi indizi di colpevolezza del reato associativo e, di conseguenza, applicato la presunzione relativa di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., con riguardo sia alle esigenze cautelari, sia all’adeguatezza della custodia cautelare in carcere (cfr. Sez. 5, n. 4950 del 07/12/2021, dep. 2022, Andreano, Rv. 282865-01).
Dunque, il motivo non si confronta con la ratio della decisione.
9.2. Inoltre, il motivo si limita a contestare la sussistenza dei collegamenti del ricorrente con gli ambienti criminali che hanno organizzato il trasporto della sostanza stupefacente che, invece, sono stati correttamente ritenuti esistenti proprio in base alla stessa descrizione dei fatti ed alle modalità del fatto.
Inoltre, gli elementi indicati dal ricorrente – mancherebbe la prova del coinvolgimento in fatti reato diversi da quelli per cui si procede – non solo non sono idonei a superare la presunzione, ma neanche sono idonei a ritenere insussistenti le esigenze cautelari che vanno valutate in base ai parametri ex art. 274 cod. proc. pen.
Va, infine, rilevato che l’ordinanza motiva in relazione alla specifica posizione dell’indagato, anche in relazione all’assenza di una dimora in Italia ove il ricorrente potrebbe essere sottoposto alla misura degli arresti domiciliari.
In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen. si condanna il ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese del procedimento e della somma di euro 3.000,00, determinata in via equitativa, in favore della RAGIONE_SOCIALE, considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ammende.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 15/01/2024.