Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 45785 Anno 2024
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 1 Num. 45785 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 04/12/2024
PRIMA SEZIONE PENALE
– Presidente –
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOMECOGNOME nato a LAMEZIA TERME il 11/02/1986 avverso la sentenza del 20/02/2024 della Corte d’appello di Catanzaro Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso, e le conclusioni scritte depositate nell’interesse del ricorrente, con le quali si insiste per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 08/06/2015, il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Catanzaro ha dichiarato NOME COGNOME colpevole del reato di associazione a delinquere di stampo mafioso, oltre che di numerosi reati fine, questi ultimi inerenti all’operatività del sodalizio malavitoso denominato cosca Giampà, in quanto volti ad agevolarne l’operatività e relativi sia alla detenzione di armi e stupefacenti, sia alla perpetrazione di truffe in ambito assicurativo.
1.1. Con sentenza del 18/07/2016, la Corte di assise di appello di Catanzaro ha confermato la condanna pronunciata a carico di NOME COGNOME con riferimento a tutti i reati fine (condanna poi divenuta irrevocabile); ha dichiarato, però, la nullità della sentenza impugnata, con riferimento al solo reato associativo, rilevando la omessa motivazione sul punto e la mancata assunzione di qualsivoglia statuizione decisoria.
1.2. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Catanzaro ha confermato la sentenza del 20/02/2018 del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catanzaro, che aveva dichiarato NOME COGNOME colpevole del reato di cui all’art. 416bis cod. pen. contestato al capo 1 (per esser stato intraneo all’associazione ndranghetista promossa da NOME COGNOME svolgendo egli la funzione di autista di NOME COGNOME e ponendo in essere – a beneficio della
NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME
cosca – innumerevoli truffe riguardanti sinistri stradali inesistenti, commissionate dal COGNOME, il provento delle quali andava a incrementare le casse dell’organizzazione, in vista del successivo reimpiego nell’acquisto di armi, di mezzi e di sostanze stupefacenti, oltre che a volte occupandosi di estorsioni e, infine, svolgendo funzioni di corriere di ingenti quantitativi di droga e di armi) e, per l’effetto, lo aveva condannato – previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche – alla pena di anni quattro e mesi otto di reclusione, applicandogli le pene accessorie dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici e dell’interdizione legale durante il tempo di espiazione della pena, nonchØ ordinandone la sottoposizione – a pena espiata – alla misura di sicurezza della libertà vigilata, per un periodo di tempo non inferiore ad anni due.
Ricorre per cassazione NOME COGNOME a mezzo dell’avv. NOME COGNOME deducendo due motivi, che vengono di seguito riassunti entro i limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo, viene denunciata erronea applicazione dell’art. 21 cod. proc. pen., stante la incompetenza funzionale della Corte di appello di Catanzaro, per essere invece competente la Corte di assise di appello della medesima città.
Il COGNOME Ł stato condannato dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Catanzaro per il reato di cui all’art. 416bis cod. pen. e per i relativi reati fine di illegale detenzione di armi e stupefacenti, nonchØ per la commissione di truffe assicurative. La Corte di assise di appello di Catanzaro ha confermato la condanna, limitatamente ai reati fine (con pronuncia poi passata in giudicato), ma ha dichiarato la nullità della sentenza di primo grado, quanto al reato associativo ascritto sub 1 della rubrica, disponendo la restituzione degli atti al giudice di primo grado. Svoltosi il secondo giudizio dinanzi al Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Catanzaro, veniva emessa nuova condanna nei confronti del COGNOME per il reato associativo, poi confermata dalla sentenza ora impugnata. La violazione dell’art. 21 cod. proc. pen., dunque, deriva dalla incompetenza funzionale della Corte di appello di Catanzaro, per essere invece competente la Corte di assise di appello della medesima città, originariamente competente per connessione ex art. 15 cod. proc. pen. Una volta dichiarata la nullità parziale della prima sentenza e una volta regrediti gli atti, la competenza funzionale avrebbe dovuto rimanere identica a quella individuata nel primo giudizio.
2.2. Con il secondo motivo, viene denunciata erronea applicazione dell’art. 416bis cod. proc. pen., nonchØ mancanza e manifesta illogicità della motivazione. Erra il Giudice per le indagini preliminari, nel punto in cui si riferisce alle truffe ed al presunto ruolo rivestito, in queste, dal perito NOME COGNOME dato che questi Ł stato definitivamente assolto dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. I proventi delle truffe – stando a quanto riferito da NOME COGNOME, nel corso dell’interrogatorio del 28/10/2011 – non confluivano nella cassa comune dell’organizzazione, ma venivano incamerati dagli autori dei singoli fatti.
Il Procuratore generale ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso, mentre il difensore ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso Ł infondato.
Integrando brevemente quanto già esposto in parte narrativa, può dirsi che COGNOME Ł stato condannato nel 2015 dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Catanzaro, per il delitto di
cui all’art. 416bis cod. pen. e per svariati reati fine. In grado di appello, tale sentenza Ł stata dichiarata nulla, limitatamente alla contestazione ex art. 416bis cod. pen.; la condanna attinente alle residue contestazioni Ł stata invece confermata, sino a diventare irrevocabile.
In seguito, l’odierno ricorrente Ł stato nuovamente condannato – questa volta, ovviamente, solo per l’imputazione ex art. 416bis cod. pen. – con doppia conforme affermazione di responsabilità, assunta in primo e in secondo grado.
3. Con il primo motivo, la difesa rappresenta che:
il primo giudizio Ł stato celebrato dinanzi al Giudice dell’udienza preliminare, con imputazioni, pur se elevate a carico di altri coimputati, che avrebbero determinato, nel secondo grado di giudizio, il radicarsi della competenza della Corte di assise di appello;
il processo Ł regredito in primo grado, ma esclusivamente in relazione al reato associativo;
sarebbe stato doveroso, pertanto, seguire nuovamente il medesimo iter processuale, per cui – anche nel nuovo giudizio, instaurato solo per la contestazione ex art. 416bis cod. pen. – dopo il primo grado tenutosi dinanzi al Giudice dell’udienza preliminare, avrebbe dovuto radicarsi la competenza della Corte di assise di appello.
3.1. A fondamento di tale tesi, la difesa richiama il principio di diritto enunciato da Sez. 3, n. 32322 del 05/02/2015, K., Rv. 264241, a mente della quale: ‹‹In tema di competenza, allorquando due o piø procedimenti, alcuni appartenenti alla cognizione della Corte di assise ed altri a quella del Tribunale, sono stati riuniti (anche per mere ragioni di connessione probatoria) in sede di giudizio abbreviato davanti al giudice per le indagini preliminari, competente a decidere sull’appello Ł sempre la Corte di Assise di appello, anche ove ne sia disposta successivamente la separazione, in applicazione del principio generale desumibile dall’art. 17, comma primo bis, cod. pen.››.
Correttamente il Procuratore generale, però, osserva come, nel caso di specie, non si sia verificata alcuna riunione, con successiva separazione, bensì una mera regressione parziale del procedimento.
3.2. Non può trovare applicazione, alla vicenda processuale sottoposta al vaglio di questa Corte, neanche la regola ermeneutica dettata da Sez. 5, n. 31673 del 13/06/2017, A., Rv. 270879 (regola che ha portata generale, sebbene sia stata enunciata in relazione ad altre tipologie delittuose), secondo cui ‹‹Per i delitti di cui agli artt. 600 e 601 cod. pen (rispettivamente riduzione in schiavitø e tratta di persone) la competenza in appello appartiene alla Corte d’assise d’appello anche quando il giudizio di primo grado sia stato celebrato con il rito abbreviato dinanzi al giudice dell’udienza preliminare; si tratta di competenza funzionale, con la conseguenza che la violazione della relativa disciplina determina, ex art. 178, comma 1, lett. a) e 179, comma 1, cod. proc. pen., una nullità assoluta e, pertanto, insanabile e rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio, ivi compreso quello di legittimità››.
Trattasi di un principio di diritto la cui applicazione postula, però, che si sia comunque in presenza di un reato di competenza della Corte di assise, che venga giudicato dal Giudice per le indagini preliminari in primo grado e che, inderogabilmente, andrà poi a radicare la competenza della Corte di assise di appello, in secondo grado. Nella concreta fattispecie, al contrario, il secondo giudizio (per chiarezza, quello successivo alla regressione del procedimento, dovuta all’annullamento parziale pronunciato dalla Corte di assise di appello) Ł stato originariamente promosso esclusivamente in relazione al delitto di cui all’art. 416bis cod. pen.
3.3. In conclusione, la piana applicazione della lettera dell’art. 596, comma 3, cod. proc. pen., rende del tutto infondata la tesi di parte ricorrente; nØ ricorre alcuna delle ragioni di economia processuale, sostanzialmente sottese alle regole che, in termini generali, determinano il fenomeno della perpetuatio jurisdictionis e che giustificano, ma in altre vicende, la contraria soluzione.
Il secondo motivo si duole della pretesa illogicità della avversata decisione, segnatamente nella parte in cui afferma di poter ricavare la prova della intraneità di COGNOME alla cosca, coordinando tra loro il narrato di NOME COGNOME e degli altri collaboratori di giustizia.
In ipotesi difensiva, infatti, il primo opera una chiamata in correità, ma limitatamente a una serie di sinistri simulati; da tale fonte dichiarativa, quindi, non emergerebbe il dato fondamentale postulato dall’imputazione, costituito dall’affiliazione formale del ricorrente all’associazione malavitosa di cui sopra. Dalla lettura delle dichiarazioni rese da COGNOME – sostiene ancora la difesa emergerebbe come COGNOME custodisse armi e stupefacente, ma esclusivamente nel suo stesso interesse. I reati fine contestati a COGNOME, quindi, non ne dimostrerebbero la militanza associativa, potendosi desumere soltanto la sussistenza di un vincolo del ricorrente con COGNOME il quale Ł, peraltro, fratello della fidanzata del COGNOME stesso. Le truffe, in conclusione, non possono essere considerate momento fenomenico dell’operatività del sodalizio in esame, in quanto a questo sicuramente non erano funzionali.
4.1. Va evidenziato come tali censure si sviluppino sul piano del fatto e siano tese a sovrapporre una nuova interpretazione delle risultanze probatorie, diversa da quella recepita nell’impugnato provvedimento, piø che a rilevare un vizio rientrante nella rosa di quelli delineati dall’art. 606 cod. proc. pen. Tale operazione, con tutta evidenza, fuoriesce dal perimetro del sindacato rimesso al giudice di legittimità. Secondo la linea interpretativa da tempo tracciata da questa Corte regolatrice, infatti, l’epilogo decisorio non può essere invalidato sulla base di prospettazioni alternative, che sostanzialmente si risolvano in una “mirata rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, ovvero nell’autonoma assunzione di nuovi e differenti canoni ricostruttivi e valutativi dei fatti, da preferirsi a quelli adottati dal giudice del merito, perchØ illustrati come maggiormente plausibili, o perchØ assertivamente dotati di una migliore capacità esplicativa, nel contesto in cui la condotta delittuosa si Ł in concreto realizzata (Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, F., Rv. 280601; Sez. 6, n. 22256 del 26/04/2006, Bosco, Rv. 234148; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, COGNOME, Rv. 235507).
4.2. D’altronde, nessun vizio logico argomentativo Ł ravvisabile nella motivazione sviluppata dalla Corte territoriale, che riporta integralmente il passaggio maggiormente significativo, contenuto nella pronuncia di primo grado; a tale apparato argomentativo, richiamato per relationem , la sentenza impugnata aggiunge le proprie compiute e coerenti valutazioni, così andando a formare una struttura motivazionale unitaria, che Ł lineare, esaustiva e priva del pur minimo spunto di contraddittorietà.
La Corte territoriale, infatti, ha tratto dalla perpetrazione dei reati fine la conclusione dell’assunzione – da parte dell’imputato – di un ruolo associativo non statico e limitato alla mera intraneità astratta, bensì trasfuso nell’attivo perseguimento degli scopi dell’organizzazione. La sentenza impugnata, peraltro, si confronta adeguatamente con il dedotto tema a discolpa, inerente alla pretesa natura solo personale dei rapporti del COGNOME con il COGNOME; ne trae la conclusione, però, anzitutto della sostanziale coincidenza, fra gli interessi di quest’ultimo e quelli della cosca e, viepiø, ricorda come i reati fine posti in essere da COGNOME fossero direttamente funzionali al raggiungimento dei risultati propri del sodalizio, finanziandone i necessari approvvigionamenti. Anche il tema della esistenza di una cassa comune, infine, Ł oggetto di attenta analisi, da parte della Corte distrettuale, la quale sottolinea come la distribuzione dei proventi dei reati fine fra gli affiliati apportasse, comunque, un rilevante beneficio alle casse comuni, venendo tali esborsi imputati a ‘stipendi’ in favore dei partecipi della cosca.
la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così Ł deciso, 04/12/2024
Il Consigliere estensore
NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME