Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 20229 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 20229 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 15/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME, nato in Azerbaijan il DATA_NASCITA;
avverso la ordinanza n. 1349/2023 del Tribunale di Palermo del 25 agosto 2023;
letti gli atti di causa, la ordinanza impugnata e il ricorso introduttivo;
sentita la relazione fatta dal AVV_NOTAIO COGNOME;
sentito il PM, in persona del AVV_NOTAIO, quale ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
sentito, altresì, per il ricorrente l’AVV_NOTAIO, del foro di Palermo, il q ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 25 agosto 2023 il Tribunale di Palermo, Sezione del riesame dei provvedimenti cautelari, adito nell’interesse di diversi soggetti attinti da misura cautelare intramuraria, i quali hanno impugnato la ordinanza del Gip del Tribunale di Palermo applicativa nei loro confronti appunto della misura cautelare della custodia in carcere con riferimento alle ipotesi di incolpazione di cui agli artt. 74 e 73 del dPR n. 309 del 1990, aggravata ai sensi dell’art. 61-bis cod. pen., ha rigettato in amplissima misura le istanze accogliendole solo con riferimento alla esclusione della aggravante della transnazionalità.
Avverso la predetta ordinanza hanno proposto distinti ricorsi per cassazione gli interessati mediante il comune difensore deducendo, ciascuno, 8 motivi di impugnazione di identico tenore.
Esaminando ora la posizione di NOME COGNOME si osserva che questi, con il primo motivo di ricorso ha dedotto il vizio ex art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 390, comma 1, e 391, comma 5, cod. proc. pen. nonché vizi di motivazione in relazione alla dedotta inefficacia della misura applicata.
Si premette che il giudice competente a decidere in ordine a misure restrittive della libertà va individuato in base al luogo in cui l’arrestato fermato è stato privato della libertà personale, ovvero del luogo in cui è stato eseguito il fermo o l’arresto, e che tale località nel caso in esame andrebbe identificata nel circondario del Tribunale di Agrigento, posto che lì, nel mare antistante siffatto territorio, i ricorrenti sarebbero stati fermati; per c competenza a conoscere anche dell’applicazione della misura cautelare nei confronti del ricorrente sarebbe spettata al Gip del predetto Tribunale e non a quello del Tribunale di Termini Imerese che provvide ai sensi dell’art. 27 cod. proc. pen. emanando una misura cautelare d’urgenza investendo nel contempo sul punto ex art. 27 cod. proc. pen. il Gip del Tribunale di Palermo, autore dell’ordinanza impugnata in sede di riesame.
Con la conseguenza che l’incompetenza funzionale del Gip del Tribunale di Termini Imerese, che per primo adottò una misura cautelare nei confronti dei ricorrenti, avrebbe dato luogo alla inefficacia della misura medesima, così che il Gip del Tribunale di Palermo, investito ex art. 27 cod. proc. pen., avrebbe provveduto sostanzialmente sul nulla atteso che la misura cautelare dallo stesso confermata sarebbe stata radicalmente viziata; l’ordinanza del Gip di Palermo sarebbe stata, perciò, anch’essa invalida.
Il Tribunale del riesame non si sarebbe pronunziato sull’inefficacia della ordinanza del Gip di Palermo quale effetto dell’inefficacia della ordinanza emessa dall’incompetente Gip del Tribunale termitano.
Col secondo motivo si deduce il vizio ex art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 390, comma 1, e 391, comma 5, cod. proc. pen., nonché il vizio di mancanza di motivazione in relazione alla incompetenza territoriale del Gip di Palermo come dedotta alla udienza del 23 agosto 2023; si sostiene che l’unico giudice legittimato ad applicare una misura cautelare nei confronti di un soggetto sottoposto a fermo, è funzionalmente ed in via inderogabile il Giudice del luogo in cui il fermo è stato eseguito sia che lo s identifichi nel Gip di Agrigento che in quello di Termini Imerese.
Con il terzo motivo deduce il vizio ex art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. in relazione all’art. 309, comma 5, cod. proc. pen. e vizi d motivazione in relazione al mancato deposito degli atti di indagine di cui all’art. 291, comma 1, cod. proc. pen.; si rappresenta, infatti, il mancato deposito da parte del Pm di una ripresa audiovisiva che si assume essere l’unica fonte indiziaria a carico dei ricorrenti; si osserva, altresì, che tale circosta inciderebbe in termini di inefficacia sulla misura personale applicata secondo il combinato disposto di cui all’art. 309, commi 5 e 10, e 291, comma 1, cod. proc. pen.; si contesta inoltre la tesi del Tribunale per cui la necessità d predetto deposito sarebbe stata superata dal fatto che la citata ripresa sarebbe stata sostituita da una relazione di polizia giudiziaria in cui gli operan avrebbero descritto quanto da essi percepito attraverso un servizio di osservazione.
Ciò in quanto dalla stessa ordinanza impugnata che richiama il provvedimento di fermo si evincerebbe che la predetta relazione di polizia giudiziaria si limiterebbe esclusivamente a dare atto della esistenza della ripresa audiovisiva piuttosto che descrivere quanto percepito dagli operanti; pertanto, la videoripresa, quale unico elemento fondante il quadro indiziario e quindi la misura cautelare, avrebbe dovuto essere depositata presso il Tribunale del riesame; in tale quadro neppure sarebbe stata necessaria un’apposita richiesta di deposito da avanzarsi da parte della difesa come sostenuto in ordinanza.
Si contesta, infine, che, non essendo stata depositata la videoripresa presso il AVV_NOTAIO, essa non dovesse essere depositata neppure in sede di riesame trattandosi di dato – il mancato deposito presso il AVV_NOTAIO – solo riferito dal Pm.
Con il quarto motivo è lamentato il vizio ex art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. in relazione all’art. 5 del decreto-legge n. 367 del 1991, convertito, con modificazioni, in legge n. 8 del 1992, nonché vizi di motivazione in relazione alla dedotta incompetenza della Procura distrettuale antimafia di
Palermo in ragione della rappresentata insussistenza dei gravi indizi in ordine al reato ex art. 74 del DPR 309/90; il Tribunale si sarebbe limitato a sostenere la competenza della predetta Procura mediante affermazioni solo apodittiche.
Col quinto motivo è dedotto il vizio ex art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. in relazione all’art. 273, comma 1, cod. proc. pen. e vizi di motivazione per travisamento della prova; si ribadisce il mancato deposito della ripresa audiovisiva prima citata, e si sottolinea la conseguente assenza di ogni indizio a carico dei ricorrenti e si evidenzia l’intervenuto travisamento della prova da parte del Tribunale in quanto il collegio della cautela avrebbe ritenuto erroneamente che una relazione della polizia giudiziaria avrebbe descritto quanto percepito direttamente dagli operanti atteso che la stessa si sarebbe limitata a dare atto della esistenza della citata ripresa audiovisiva.
Col sesto motivo ci si lagna del vizio ex art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 73 e 74 del dPR n. 309 del 1990 nonché vizi di motivazione circa gli elementi costitutivi delle predette fattispecie di reato; s ribadisce la assenza di prova circa il contenuto degli imballaggi che sarebbero stati lanciati in mare dalla motonave Plutus e poi rinvenuti a bordo della nave Ferdinando d’Aragona; quanto all’ipotesi di incolpazione ex art. 74 del dPR n. 309 del 1990, mancherebbe ogni indizio circa la partecipazione degli indagati a qualsiasi vincolo associativo, in assenza di incondizionata disponibilità alla realizzazione di una programmata serie indeterminata di delitti, in seno ad una struttura associativa stabile.
Col settimo motivo si è dedotta la violazione dell’art. 110 cod. pen. e la mancanza e manifesta illogicità della motivazione quanto agli elementi costitutivi del concorso di persone non emergendo una forma di responsabilità collettiva per la sola presenza sulla motonave Plutus di più soggetti neppure identificati e dei quali non sono indicate le singole condotte; si contesta, i particolare, la consapevolezza della presenza a bordo degli imballaggi e comunque del loro contenuto e si osserva come manchi l’illustrazione dello specifico apporto causale fornito alla causazione dei reati da ogni indagato; vi sarebbe stata confusione tra l’apporto di ciascun membro dell’equipaggio alla navigazione ed il contributo causale che sarebbe stato dato alla commissione delle condotte ipotizzate.
Con l’ottavo motivo è dedotta la violazione dell’art. 274 cod. proc. pen. e la mancanza e manifesta illogicità della motivazione in relazione alle esigenze cautelari; si premette che l’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza per i reato di cui all’art. 74 del dPR n. 309 del 1990 implicherebbe l’insussistenza della presunzione relativa di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen.; s aggiunge che non sarebbe stata dimostrata è l’esistenza del pericolo di fuga né
l’impossibilità di presidiarlo con misure meno afflittive del carcere; quanto al pericolo quello di reiterazione del reato lo si contesta a fronte sia della assenz di ogni stabile inserimento in un sistema criminale o di professionalità nel reato sia a fronte della assenza di sua attualità e concretezza e della mancata valutazione da parte del Tribunale delle personalità degli indagati e delle loro condizioni di vita.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile e per tale deve essere dichiarato.
Il primo, il secondo, il terzo ed il quarto motivo, nella parte in cui in ess si deduce il vizio della motivazione sulla risposta alle questioni di diritto, qua l’efficacia della misura cautelare, l’individuazione del giudice territorialmente competente ad applicare la misura e della Procura della Repubblica competente a condurre le indagini preliminari, sono inammissibili ai sensi dell’art. 606, comma 3, cod. proc. pen.
Essi, negli indicati contenuti, sono contrari al costante orientamento della giurisprudenza di questa Corte, ancora ribadito dalle Sezioni unite di essa (cfr. Corte di cassazione, Sezioni unite penali, 23 ottobre 2020, n. 29541), secondo il quale, in tema di ricorso per cassazione, i vizi di motivazione indicati dall’ar 606, comma 1, lettera e), cod. proc. pen., non sono mai denunziabili con riferimento alle questioni di diritto, non solo quando la soluzione adottata dal giudice sia giuridicamente corretta, ma anche nel caso contrario, essendo, in tale ipotesi, necessario dedurre come motivo di ricorso l’intervenuta violazione di legge.
Venendo ora all’esame del vizio di violazione di legge processuale agitato col primo motivo di impugnazione, si rileva che lo stesso è manifestamente infondato.
E’ errata in diritto, oltre che contraria al costante insegnamento della giurisprudenza di legittimità, la tesi sostenuta nel ricorso, secondo la quale, i caso di fermo o di arresto, il giudice funzionalmente ed inderogabilmente competente ex artt. 390, comma 1, e 395, comma 5, cod. proc. pen. ad applicare le misure cautelari sarebbe sempre quello del luogo in cui l’indagato è stato provato della libertà personale in conseguenza della esecuzione della misura precautelare, sicché non sarebbe possibile la dichiarazione di incompetenza per territorio e la, sostenuta, violazione della regola di
competenza funzionale renderebbe inefficace anche la successiva ordinanza emessa questa volta dal giudice territorialmente competente.
Invero, le Sezioni unite penali di questa Corte hanno affermato il principio per cui, quando il luogo dell’arresto o del fermo sia diverso da quello della commissione del reato, l’ordinanza coercitiva emessa dal Gip competente per la convalida della misura precautelare ha comunque efficacia provvisoria a norma dell’art. 27 cod. proc. pen. (Corte di cassazione, Sezioni unite penali, 15 ottobre 1999, n. 17).
Nella motivazione di tale decisione si osserva che il giudice indicato nell’art. 390, comma 1, cod. proc. pen. è funzionalmente competente per il giudizio di convalida dell’arresto e del fermo, senza che siano previste deroghe; ma la misura coercitiva che egli applichi su richiesta del Pm è pur sempre esercizio di un’attività posta in essere da un giudice incompetente quando per la diversità fra il luogo del commesso reato e quello in cui il fermo è stat eseguito, egli non si identifichi col giudice indicato dall’art. 279 cod. proc. pe correlato agli artt. 4 e segg. dello stesso codice; da ciò deriva che la competenza funzionale per la convalida dell’arresto e del fermo non si traduce automaticamente in competenza esclusiva e derogatoria riferita al potere di disporre un eventuale provvedimento coercitivo.
La previsione di cui all’art. 391, comma 6, cod. proc. pen., secondo la quale, nel caso in cui il giudice in occasione della convalida della misura precautelare non applichi una misura coercitiva, vi è l’obbligo di disporre l’Oimmediata liberazione dell’indagato, “non autorizza a ritenere sussistente una competenza cautelare esclusiva e derogatoria attribuita al giudice della convalida che non si identifichi col giudice che procede, considerata la inderogabilità della disciplina sulla competenza normativamente prevista e costituzionalmente garantita. Ove coincidenza non vi sia, l’esercizio del potere precautelare e di quello cautelare non opera sullo stesso piano di competenza funzionale, non previsto dalle norme che regolano la materia”.
Si è, di conseguenza, affermato che il provvedimento di convalida della misura precautelare e quello di applicazione della misura cautelare sono reciprocamente autonomi e la eventuale nullità del primo non si estende alla successiva ordinanza impositiva della misura (cfr.: Corte di cassazione, Sezioni unite penali, 15 ottobre 1999, n. 17).
Tali principi sono stati successivamente confermati da questa Corte, ancora una volta a Sezioni unite, allorché si è affermato che, nell’ipotesi in cu
la misura cautelare sia stata disposta dal giudice della convalida ex art. 391 comma 5, cod. proc. pen. ed il luogo dell’arresto o del fermo sia diverso da quello del commesso reato, solo la formale dichiarazione dì incompetenza del primo giudice determina l’inefficacia della misura cautelare che non sia stata rinnovata dal giudice competente entro 20 giorni dall’ordinanza di trasmissione degli atti (Corte di cassazione, Sezioni unite penali, 2 aprile 2010, n. 12623 successivamente ribadita da Corte di cassazione, Sezione V penale, 6 novembre 2019, n. 45176).
Nell’occasione le Sezioni unite di questa Corte hanno richiamato l’autorevole precedente costituito dalla decisione n. 17 del 1999, osservando che in esso si disse che l’attribuzione prevista dal comma 5 dell’art. 391 cod. proc. pen., in base alla quale il provvedimento cautelare era stato adottato, non configurava una competenza funzionale del giudice della convalida, ma rientrava nel genus dell’art. 291, comma 2, cod. proc. pen., avendo natura di intervento d’urgenza e provvisorio, osservando, quindi come debba confermarsi che le misure cautelari disposte dal giudice della convalida non sono, solo perché adottate nell’esercizio dei poteri di cui all’art. 391, comma 5, cod. proc pen., disposte dal giudice a ciò competente.
La tesi difensiva e, perciò, del tutto infondata, così come non pertinenti ad essa sono i precedenti giurisprudenziali richiamati, i quali, invece, risultan conformi agli indicati indirizzi delle Sezioni unite.
Invero, la sentenza n. 3268 del 1999 rimanda esplicitamente alla sentenza n. 17 del 1999 delle Sezioni unite, ribadendo che la competenza funzionale ex art. 391 cod. proc. pen. del giudice della convalida non deroga alle norme sulla competenza per territorio stabilite dagli artt. 8 e segg. cod proc. pen., cosicché, quando il luogo dell’arresto o del fermo è diverso da quello della commissione del reato, l’ordinanza coercitiva emessa dal Gip competente per la convalida ha efficacia provvisoria a norma dell’art. 27 cod. proc. pen., per cui, ove il Gip competente per territorio non provveda nel termine di 20 giorni ad emettere il nuovo provvedimento cautelare, la misura perde efficacia (Corte di cassazione, Sezione VI penale, 24 novembre 1999, n. 3268).
Anche la ulteriore sentenza chiamata a sostegno della tesi di parte ricorrente risulta essere, in realtà, in linea con la consolidata giurisprudenza questa Corte, laddove in essa si rileva, in linea con la citata sentenza n. 17 d 1999, il carattere inderogabile della competenza ex art. 390, comma 1, cod. proc. pen. (Corte di cassazione, Sezioni II penale, 7 febbraio 2007, n. 5226).
Alla luce dei principi riportati, deve concludersi che non sussiste alcuna forma di invalidità derivata del provvedimento applicativo della misura reso ai sensi dell’art. 27 cod. proc. pen., non essendo, d’altra parte, tale sanzio espressamente prevista da alcuna norma dell’ordinamento con riferimento al caso in esame.
Gli argomenti sinora svolti valgono anche a dimostrare la manifesta infondatezza del secondo motivo di impugnazione, afferente, sotto il profilo della violazione della norma processuale, alla mancata rilevazione della pretesa incompetenza funzionale del Gip del Tribunale di Palermo ad emettere la misura ora gravata; essendo questa dedotta sulla base delle argomentazioni del precedente motivo, la ulteriore censura è parimenti priva di pregio.
Venendo al terzo motivo – avente ad oggetto la ritenuta violazione della legge processuale, per non essere stata dichiarata la perdita di efficacia dell misura cautelare disposta a seguito della incompleta trasmissione degli atti al giudice del riesame – se ne rileva fin d’ora la manifesta infondatezza.
Va, infatti, ribadito il costante orientamento della giurisprudenza, secondo il quale l’obbligo di trasmissione degli atti, ex art. 309, comma 5, cod. proc. pen., al Tribunale del riesame riguardo solo quelli che il Pm ha selezionato per sostenere la propria richiesta cautelare, oltre che gli elementi favorevol all’indagato, mentre nessun onere sussiste di rimettere al giudice del riesame l’intero contenuto del fascicolo processuale (in tale senso: Corte di cassazione, Sezione IV penale, 17 febbraio 2020, n. 5981); come segnala il Tribunale di Palermo, nella presente occasione, il supporto digitale contenente le riprese oggetto del motivo di impugnazione non era stato inviato neppure al AVV_NOTAIO che ha emesso la misura.
Osserva, quindi il Collegio che, ove il ricorrente avesse voluto smentire una tale affermazione, che in radice esclude la illegittimità della mancata allegazione di detto supporto agli atti rimessi dal Pm al Tribunale del riesame, trattandosi di atto evidentemente non utilizzato per sostenere la richiesta cautelare, non si sarebbe dovuta limitare, come invece avvenuto, ad una generica contestazione, ma trattandosi di un dato processuale, avrebbe dovuto dimostrare la presenza di tale supporto elettronico contenente le riprese fra gli atti che il AVV_NOTAIO aveva valutato per emettere la misura.
Si aggiunge che la prova di tale circostanza era possibile poiché, ex art. 293, comma 1, lettera e), cod. proc. pen., è diritto del soggetto nei cui confront
sia stata emessa una misura cautelare custodiale accedere agli atti sui quali s fonda il provvedimento, onde verificarne la consistenza anche materiale.
Nel caso in esame la misura è stata applicata sulla base degli elementi indiziari rivenienti dalla informativa di polizia giudiziaria già richiamata n provvedimento con il quale era stato disposto il fermo dell’indagato.
Va, a questo punto, sottolineato che, in tema di misura cautelari, il Pm non ha l’obbligo di mettere a disposizione del AVV_NOTAIO ed, eventualmente, poi del Tribunale del riesame determinati atti tassativamente indicato, ben potendo utilizzare al detto fine quelli ritenuti più rilevanti o, comunque, riassuntivi altri; da ciò consegue che se, come nel caso, il verbale di fermo contenga la esposizione riassuntiva delle indagini svolte esso può essere posto correttamente a fondamento della ordinanza applicativa della misura (Corte di cassazione, Sezione IV penale, 22 novembre 2017, n. 53168), non essendo necessario rimettere al Tribunale, ai sensi dell’art. 309, comma 5, cod. proc. pen., atti, anche riproducenti immagini, il cui contenuto sia stato descritt nell’annotazione di polizia (cfr., per una ipotesi proprio di mancata allegazione di videoriprese: Corte di cassazione, Sezione II penale, 7 maggio 2019, n. 19195).
Ne s sun obbligo vi era, pertanto, a carico del Pm di trasmettere al Tribunale del riesame i supporti informatici contenenti le video riprese di cui sopra, sia perché non oggetto di immediata valutazione da parte del Gip, sia perché il loro contenuto era stato trasfuso sia nella informativa di Pg sia ne verbale di fermo giudiziario.
Il quarto motivo di impugnazione, avente ad oggetto la ritenuta assenza di competenza a condurre le indagini della Procura distrettuale antimafia di Palermo, va risolto, in via preliminare, in termini di assoluta inammissibilità ove si osservi che, per come essa è stata posta, cioè come contestazione della legittimazione investigativa della Procura distrettuale palermitana, lo stesso non è sostenuto da alcun interesse del ricorrente, trattandosi di rilievo afferent ad un profilo privo di idoneità a pregiudicare la posizione del ricorrente ed inidoneo a viziare la ordinanza cautelare adottata; né ha un qualche rilievo la circostanza dedotta dalla difesa del ricorrente, secondo la quale non sussisterebbero gli elementi per radicare la competenza a condurre le indagini di fronte alla citata Procura distrettuale, non ricorrendo, in funzione degl elementi di giudizio offerti dalla difesa del ricorrente, gli elementi integrativi uno dei reati la cui esistenza comporta la legittimazione investigativa di tal organo della pubblica accusa; infatti, la competenza (anche quella funzionale
del Pm) si determina sulla base della imputazione, anche provvisoria (che nel nostro caso, concernendo l’art. 74 del dPR n. 309 del 1990, è sicuramente idonea a radicare la competenza della Procura distrettuale di Palermo), e non in funzione del fatto che, successivamente, siano emersi elementi atti a ridimensionare la originaria ipotesi accusatoria.
Passando al quinto motivo di ricorso, se ne rileva la manifesta infondatezza; in tema di misura cautelari personali, il ricorso per cassazione per vizio della motivazione in ordine alla consistenza degli indizi di colpevolezza consente al giudice della legittimità, stante la peculiare natura del suo giudizi ed i limiti di esso, la verifica delle sole censure inerenti la adeguatezza ai princ della logica ed alle regole del diritto disciplinanti l’apprezzamento degli element probatori, delle ragioni addotte in sede di merito, essendo, invece, impedito l’esame delle censure che si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze di fatto (Corte di cassazione, Sezione II penale, 24 giugno 2019, n. 27866).
Quanto al caso di specie, mediante la pretesa deduzione del travisamento della prova, il ricorrente tenta di sollecitare la Corte di cassazione a valutazione alternativa del compendio indiziario contenuto nella relazione di Pg già esaminata in sede di merito; egli, infatti, non indica quale specifico pass della relazione sarebbe stato oggetto di travisamento, né ha individuato le espressioni dalle quali emergerebbe che, quanto percepito dagli operanti, non è, invece, accaduto; al riguardo deve ribadirsi che il vizio di travisamento dell prova è riscontrabile solo il preteso errore cade sul “significante” della prova cioè sul suo contenuto materiale, e non sul suo “significato”, cioè quanto da essa i giudici del merito hanno trotto come informazione; solo in tale circostanza può parlarsi, infatti, di prova inesistente e non di valutazione di una element probatorio esistente agli atti (Corte di cassazione, Sezione V penale, 8 luglio 2022, n. 26455; Corte di cassazione, Sezione V penale, 11 maggio 2022, n. 18542).
Il successivo sesto motivo di ricorso è inammissibile in quanto privo della specificità estrinseca; invero, la difesa del ricorrente, sostenendo che no sussistano i gravi indizi di colpevolezza del reato in provvisoria contestazione solo in quanto mancherebbe la prova del contenuto degli imballaggi lanciati in mare dalla motonave ove si trovava anche l’indagato, non si confronta con il complessivo contenuto della ordinanza.
Il Tribunale del riesame ha fondato la propria decisione su diversi elementi di giudizio, anche ulteriori rispetto al rinvenimento su altra nave del compendio
costituito dalla sostanza stupefacente; fra questi l’uso di utenze telefonich criptate, numerose attività di controllo e pedinamento ed il monitoraggio della rotta percorsa dalla motonave ove si trovava l’indagato.
Con tali elementi il ricorrente non si è confrontato, né ha confutato la analitica motivazione con la quale il Tribunale del riesame ha confermato la esistenza dei gravi indizi di colpevolezza.
Ha, infatti, in primo luogo riscontrato la singolarità dell’avvenuto abbandono in mare di ben 188 colli trasportati dalla motonave.
Da tale elemento obbiettivo il Tribunale del riesame ha coerentemente tratto la conclusione che una tale condotta è compatibile solo con un quadro di incondizionata disponibilità degli indagati alla commissione, in associazione fra loro e con altri, di una serie indeterminata di reati in materia di stupefacenti
Significativo è anche il rilievo legato al fatto che il percorso seguito dall motonave fosse già stato tracciato da altri trafficanti, dei quali era st sequestrato il carico.
Chiaramente non priva di ragionevolezza è la inferenza operata dal Tribunale, secondo la quale il trasporto in alto mare di un carico di sostanza stupefacente avente un eccezionale valore commerciale, che ha visto il coinvolgimento degli equipaggi di due imbarcazioni, sprovviste di altro carico, una delle quali appositamente modificata onde occultare il carico illegittimo, potesse essere ricondotto solamente ad una complessa organizzazione, ricca di mezzi e di risorse anche umane, volta a concordare le varie fasi del traffico della sostanza, secondo le modalità operative tipiche della associazione per delinquere.
Questi essendo gli elementi di giudizio tenuti presenti dal Tribunale di Palermo, si rileva che il ricorrente non ne ha contestato analiticamente la concludenza, essendosi limitato ad asserire l’assenza di indizi in relazione a reato associativo, senza mai confrontarsi con il contenuto della ordinanza emessa dai Tribunale di Palermo, formulando, però, in tale modo un motivo di ricorso aspecifico e, pertanto, inammissibile.
Anche il successivo settimo motivo di impugnazione, avente ad oggetto il vizio di motivazione in ordine alla ricorrenza degli elementi per considerare tk/ sussistente a carico del prevenuto 010 concorso nel reato associativo, è inammissibile per genericità.
Ribadita la limitata ampiezza del sindacato che questa Corte può svolgere in tema di gravi indizi di colpevolezza, essendo esso ridotto alla valutazione della ricorrenza o meno di una motivazione manifestamente illogica ovvero mancante, si rileva che nella ordinanza impugnata si è ritenuto che ciascuno dei membri dell’equipaggio della motonave ha consapevolmente intrapreso la navigazione, durata mesi, allo scopo di contribuire, ciascuno svolgendo le proprie mansioni, al trasporto della sostanza stupefacente.
Correttamente il Tribunale di Palermo, replicando alle deduzioni svolte in sede di presentazione della istanza di riesame, ha osservato che non vi era il bisogno, tanto più nella presente fase cautelare, di individuare i singoli individu che hanno materialmente gettato in mare il carico costituito dalla sostanza stupefacente, posto che, tenuto conto del già rilevato esiguo numero dei membri dell’equipaggio, ciascuno dei soggetti imbarcati sulla motonave, accettando l’ingaggio e mettendo a disposizione le proprie specifiche competenze, foss’anche meramente esecutive ed estrinsecatesi in una condotta astrattamente lecita, ha fornito il proprio consapevole contributo causale alla auspicata riuscita dell’impresa, in tal modo, stante la natura attiva e no meramente passiva ed omissiva del proprio comportamento, travalicando i
Una tale conclusione è stata raggiunta sulla base di diversi elementi indiziari, costituiti dall’esiguo numero dei componenti l’equipaggio, rispetto alla grandezza della motonave; le scarse condizioni di manutenzione della medesima, la durata apparentemente ingiustificata della traversata, la mancanza di altro carico a bordo di quella e la mancanza di documenti di trasporto per quello presente a bordo; il suo smaltimento in mare, dopo averlo fornito di galleggianti e di lampade, sì da consentirne, in un secondo momento, il recupero da parte di altra imbarcazione, la quale – comunque cercando di fare perdere le proprie tracce – aveva in precedenza incrociato la rotta della prima, appositamente modificata onde consentire l’occultamento del carico illecito; la mancata indicazione di qualsivoglia altro scopo della spedizione; tali essendo gli elementi di giudizio, non appare manifestamente illogica la conclusione cui è pervenuto il Tribunale di Palermo nel ritenere che tutti i componenti dell’equipaggio, a fronte di una così atipica operazione navale, ttcin fosser ic consapevoli della finalità delittuosa che la stessa perseguiva, tanto più ove rilevi che, data la mole dei colli trasferiti, si trattava di 188 colli provvisti d e galleggianti, la loro movimentazione, sia in fase di accesso sulla motonave che in fase di abbandono in alto mare, non potesse essere eseguito altro che con il concorso di tutto l’equipaggio. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
limiti della semplice connivenza ma partecipando a titolo concorsuale ai delitti materialmente posti in essere.
La piena logicità del ragionamento accusatorio seguito dal Tribunale esclude, pertanto, l’ammissibilità della doglianza volta ad evidenziare, in termini, peraltro del tutto generici in quanto sviluppati sulla sola ba dell’affermazione che non erano stati identificati personalmente i soggetti che avevano provveduto allo scarico a mare della merce trasportata dalla motonave la cui natura sarebbe stata ignota al ricorrente, un insussistente rilevante viz di motivazione nella ordinanza censurata.
Venendo all’ottavo ed ultimo motivo di impugnazione, se ne deve segnalare la manifesta infondatezza.
Osserva, infatti, la Corte che, una volta ritenuti sussistenti i gravi indizi colpevolezza per il reato associativo di cui all’art. 74 del dPR n. 309 del 1990 a tanto consegue la doppia presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari e di idoneità a presidiarle della sola misura custodiale (cfr: Corte di cassazione Sezione V penale, 10 febbraio 2022, n. 4950).
A ciò si aggiunga che, comunque, il Tribunale di Palermo ha motivato sia in ordine alla sussistenza della esigenza cautelare connessa al pericolo di reiterazione di reati della medesima specie di quello per cui si procede sia in ordine al pericolo di fuga dell’indagato.
Infatti, quanto al primo sono stati valorizzati i legami operativi esistent fra i vari associati – fra i quali, pertanto, anche l’odierno ricorrente – ed ambi dediti, ad un livello di manifestamente straordinaria capacità criminale, al traffico internazionale degli stupefacenti, quanto al secondo la cittadinanza straniera ed extraunionale dell’indagato, che renderebbe anche di più complessa attuazione gli strumenti di cooperazione giudiziaria, e la totale mancanza di qualsivoglia radicamento (né, invero, men che occasionale contatto) del medesimo con il territorio nazionale, il che, sia detto p completezza, rende del tutto impraticabile l’ipotesi della applicazione degli arresti domiciliari (Si veda al riguardo, anche con riferimento alla assenza di un vulnus a valori di rilevanza costituzionale in tale affermazione: Corte di cassazione, Sezione III penale, 16 luglio 2019, n. 31204).
Conclusivamente il ricorso de essere dichiarato inammissibile, stante la manifesta infondatezza ovvero tta13 immediata inammissibilità dei motivi di impugnazione posti a suo sostegno ed il ricorrente va condannato, visto l’art.
616 cod. proc. pen. al pagamento delle spese processuali e della somma di euri 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Considerato che alla presente decisione non consegue la liberazione del ricorrente, di essa deve essere data informazione, a cura della cancelleria, all autorità indicate dall’art. 94, comma 1-ter, disp att. cod. proc. pen.
PQM
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso in Roma, il 15 gennaio 2024
Il AVV_NOTAIO estensore
Il Presi nte