Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 20233 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 20233 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 15/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME nato il DATA_NASCITA in Turchia avverso la ordinanza del 25/08/2023 del tribunale di Palermo; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; udita la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale AVV_NOTAIO che ha chiesto il rigetto del ricorso; udite le conclusioni del difensore AVV_NOTAIO che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.Con ordinanza indicata in epigrafe, il tribunale del riesame di Palermo, adito nell’interesse di COGNOME avverso la ordinanza del Gip del tribunale di Palermo applicativa, nei confronti del medesimo, della misura cautelare della custodia in carcere con riferimento alle ipotesi di incolpazione di cui agli artt. 74 e 73 DPR 309/90 61 bis c.p., previa esclusione rispetto al capo 1 della aggravante di cui all’art. 61 bis cod. pen., rigettava l’istanza.
Avverso la predetta ordinanza ha proposto ricorso NOME mediante il proprio difensore deducendo otto motivi di impugnazione.
4. Con il secondo motivo, deduce il vizio ex art. 606 comma 1 lett. c) cod. proc. pen. in relazione agli artt. 390 comma 1 e 391 comma 5 cod. proc. pen. nonché il vizio di mancanza di motivazione in relazione alla competenza territoriale del Gip di Palermo, come dedotta alla udienza del 23 agosto 2023. Si sostiene che l’unico giudice legittimato ad applicare una misura cautelare nei confronti di un soggetto sottoposto a fermo, è funzionalmente e in via inderogabile il Giudice del luogo in cui il fermo è stato eseguito, sia che lo si identifichi nel Gip di Agrigento che di Termini Imerese.
5. Con il terzo motivo, deduce il vizio ex art. 606 comma 1 lett. c) cod. proc. pen. in relazione all’art. 309 comma 5 cod. proc. pen. e vizi di
motivazione in relazione al mancato deposito degli atti di indagine di cui all’art. 291 comma 1 cod, proc. pen. Si rappresenta il mancato deposito, da parte del P.M., di una ripresa audiovisiva che si assume essere l’unica fonte indiziaria a carico dell’equipaggio della motonave Plutus. E si osserva che tale circostanza inciderebbe in termini di inefficacia sulla misura personale applicata, secondo il combinato disposto di cui all’art. 309 commi 5 e 10 e 291 comma 1 cod. proc. pen. Si contesta, inoltre, la tesi del tribunale per cui la necessità del predetto deposito sarebbe stata superata dal fatto per cui la citata ripresa sarebbe stata sostituita da una relazione di polizia giudiziaria, in cui gli operanti avrebbero descritto quanto percepito attraverso un servizio di osservazione. Ciò in ragione del fatto per cui, dalla stessa ordinanza impugnata, che richiama il provvedimento di fermo, si evincerebbe che la predetta relazione di polizia giudiziaria si limiterebbe esclusivamente a dare atto della esistenza della ripresa audiovisiva piuttosto che descrivere quanto percepito dagli operanti. Pertanto, la videoripresa, quale unico elemento fondante il quadro indiziario e quindi la misura cautelare, avrebbe dovuto essere depositata e quindi conosciuta dal tribunale del riesame. In tale quadro, non sarebbe stata necessaria una apposita richiesta di deposito da avanzarsi da parte della difesa, come sostenuto in ordinanza. E vi sarebbe una contraddittoria negazione della finalizzazione dell’art. 309 comma 5 cod. proc. pen. Si contesta, poi, la tesi per cui, non essendo stata depositata la videoripresa presso il Gip, essa non avrebbe dovuto essere depositata neppure in sede di riesame, trattandosi di circostanza – quella del mancato deposito presso il AVV_NOTAIO – riferita esclusivamente dal pubblico ministero.
6. Con il quarto motivo, deduce il vizio ex art. 606 comma 1 lett. c) cod. proc. pen. in relazione all’art. 5 del D.L. 367/1991 (convertito in L. 8/1992) nonché vizi di motivazione in relazione alla dedotta incompetenza della Procura Distrettuale Antimafia di Palermo, in ragione della rappresentata insussistenza dei gravi indizi in ordine al reato ex art. 74 del DPR 309/90. Il tribunale si sarebbe limitato a sostenere la competenza della predetta Procura mediante mere affermazioni apodittiche.
7. Con il quinto motivo, ha dedotto il vizio ex art. 606 comma 1 lett. c) cod. proc. pen. in relazione all’art. 273 comma 1 cod. proc. pen. e vizi di motivazione per travisamento della prova. Si ribadisce il mancato deposito della ripresa audiovisiva prima citata, e si sottolinea la conseguente assenza di ogni indizio a carico del ricorrente e si evidenzia l’intervenuto travisamento della prova, da parte del tribunale, in quanto il collegio della cautela avrebbe
ritenuto, erroneamente, che una relazione della polizia giudiziaria avrebbe descritto quanto percepito direttamente dagli operanti, atteso che la stessa si sarebbe limitata a dare solo atto della esistenza della citata ripresa audiovisiva.
Con il sesto motivo, deduce il vizio ex art. 606 comma 1 lett. b) cod. proc. pen. in relazione agli artt. 73 e 74 del DPR 309/90 nonché vizi di motivazione circa gli elementi costitutivi RAGIONE_SOCIALE predette fattispecie di reato. In ogni caso, si ribadisce l’assenza di prova circa il contenuto, in termini di sostanza stupefacente, degli imballaggi che sarebbero stati lanciati in mare da bordo della motonave Plutus, siccome non individuati nella loro materialità a bordo della nave NOME d’NOME, come si evincerebbe dal provvedimento di fermo. Quanto all’ipotesi di incolpazione ex art. 74 del DPR 309/90, mancherebbe ogni indizio circa la partecipazione degli indagati a qualsiasi vincolo associativo, non emergendo alcuna incondizionata disponibilità alla realizzazione di una serie indeterminata di delitti, nel quadro di una struttura associativa stabile e connotata da un programma criminale. Neppure vi sarebbero indizi di consapevolezza in capo agli indagati, di partecipare stabilmente ad una serie indeterminata di reati.
Con il settimo motivo, deduce il vizio di violazione dell’art. 110 cod. pen. e vizi di mancanza e manifesta illogicità della motivazione, quanto agli elementi costitutivi del concorso di persone, non emergendo una responsabilità collettiva, per la sola presenza sulla motonave Plutus di più soggetti, neppure identificati quanto a coloro che sarebbero stati impegnati nel lancio a mare degli imballaggi. Si contesta la consapevolezza della presenza a bordo degli imballaggi e, comunque, del loro contenuto, e si osserva come sia mancata in ordinanza la illustrazione del necessario, specifico apporto causale fornito da ogni indagato, quale condizione per ipotizzare a loro carico i fatti di cui ai capi di incolpazione. Vi sarebbe stata confusione tra l’apporto di ciascun membro dell’equipaggio alla navigazione e il contributo causale che da ognuno sarebbe stato assicurato alla commissione RAGIONE_SOCIALE fattispecie ipotizzate.
Con l’ottavo motivo, deduce la violazione dell’art. 274 cod. proc. pen. e vizi di mancanza e manifesta illogicità della motivazione in relazione alle esigenze cautelari. Si premette che la insussistenza dei gravi indizi di cui all’art. 74 del DPR 309/90 implicherebbe la insussistenza della presunzione relativa di cui all’art. 275 comma 3 cod. proc. pen. Quanto al pericolo di fuga,
esso non sarebbe stato illustrato nella sua sussistenza né si sarebbe illustrata l’impossibilità di impedirlo con misure meno afflittive del carcere. Quanto al pericolo di reiterazione del reato, lo si contesta a fronte della assenza di ogni stabile inserimento in un sistema criminale o di professionalità nel reato e a fronte della assenza di attualità e concretezza del pericolo, e della mancata valutazione, da parte del tribunale, della personalità dell’indagato o RAGIONE_SOCIALE condizioni di vita di quest’ultimo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo, secondo, il terzo e il quarto motivo sono inammissibili ex art. 606, comma 3, cod. proc. pen., nella parte in cui deducono il vizio della motivazione sulla risposta alle questioni di diritto dedotte con il riesame sull’efficacia della misura cautelare, sull’individuazione del giudice territorialmente competente ad applicare la misura cautelare, sulla competenza della Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Palermo.
Secondo il costante orientamento della giurisprudenza, ribadito da Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020 Rv. 280027 – 01, “in tema di ricorso per cassazione, i vizi di motivazione indicati dall’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. non sono mai denunciabili con riferimento alle questioni di diritto, non solo quando la soluzione adottata dal giudice sia giuridicamente corretta, ma anche nel caso contrario, essendo, in tale ipotesi, necessario dedurre come motivo di ricorso l’intervenuta violazione di legge”.
Il primo motivo, sul vizio di violazione di legge processuale, è manifestamente infondato.
2.1. La tesi difensiva è manifestamente infondata perchè confonde la competenza funzionale del giudice per la convalida, che è collegata al luogo dell’arresto o del fermo, con la competenza ad emettere la misura cautelare che è ritenuta – dal ricorrente – funzionale ed “assoluta”, tanto che non si applicherebbero le ordinarie regole sulla competenza per territorio; ed è manifestamente infondata anche nel punto in cui ritiene che l’eventuale invalidità o l’inefficacia dell’ordinanza emessa dal giudice della convalida si estenda alla successiva ordinanza emessa dal giudice territorialmente competente: vi è, invece, totale autonomia tra i due provvedimenti. La tesi difensiva è, infatti, contraria alla giurisprudenza, anche RAGIONE_SOCIALE Sezioni Unite.
2.2. Con la sentenza n. 17 del 14/07/1999, COGNOME, Rv. 214239-01, le Sezioni Unite hanno affermato il principio per cui, quando il luogo dell’arresto o del fermo sia diverso da quello della commissione del reato, l’ordinanza coercitiva emessa dal giudice per le indagini preliminari competente per la convalida ha efficacia provvisoria a norma dell’art. 27 cod. proc. pen.
In motivazione, si osserva che “il giudice indicato nell’art. 390.1 c.p.p. è funzionalmente competente per il giudizio di convalida dell’arresto o del fermo senza che siano previste deroghe; ma la misura coercitiva che, richiesta dal P.M., si applichi a norma dell’art. 391.5 è pur sempre esercizio di attività posta in essere da un giudice incompetente quando, come nel caso in esame, per la diversità fra luogo del commesso reato e luogo in cui il fermo è stato eseguito, non si identifichi col giudice indicato dall’art. 279, correlato agli artt 4 e segg. c.p.p.”; pertanto, “la competenza funzionale per la convalida dell’arresto o del fermo non si traduce automaticamente in competenza esclusiva e derogatoria riferita al potere di disporre (eventualmente) un provvedimento coercitivo, ferma restando la stretta relazione tra le due attività (cfr. Sez. U, n. 17 del 14/07/1999, in motivazione, par. 2 e 3 del “Considerato”).
2.3. La previsione dell’art. 391, comma 6, cod. proc. pen., secondo cui, ove il giudice in sede di convalida della misura precautelare non applichi una misura coercitiva, vi è l’obbligo di disporre l’immediata liberazione dell’indagato, “non autorizza a ritenere sussistente una competenza cautelare esclusiva e derogatoria attribuita al “giudice della convalida” che non si identifichi col “giudice che procede”, considerata l’inderogabilità della disciplina sulla competenza, normativamente prevista e costituzionalmente garantita. Ove coincidenza non vi sia, l’esercizio del potere precautelare e di quello cautelare non opera sullo stesso piano di competenza funzionale, non previsto dalle norme che regolano la materia (arg. ex artt. 390.1, 27, 291 nonchè 391.5 che a quest’ultimo fa espresso riferimento)” (cfr. Sez. U., n. 17 del 14/07/1999, par. 3 del “Considerato”).
2.4. Si è di conseguenza affermato che il provvedimento di convalida della misura precautelare e quello di applicazione della misura cautelare sono reciprocamente autonomi e la nullità del primo non si estende all’ordinanza impositiva della misura coercitiva (cfr. Sez. U., n. 17 del 14/07/1999, COGNOME, Rv. 214239-02).
2.5. I principi della sentenza COGNOME sono stati confermati da Sez. U, n. 12823 del 25/03/2010, COGNOME, Rv. 246273-01, secondo cui, nell’ipotesi in cui la misura cautelare sia stata disposta dal giudice della convalida ex art. 391, comma 5, cod. proc. pen., e il luogo dell’arresto o del fermo sia diverso da
quello di commissione del reato, solo la formale dichiarazione di incompetenza da parte del giudice determina l’inefficacia della misura cautelare che non sia stata rinnovata dal giudice competente entro venti giorni dall’ordinanza di trasmissione degli atti (principio ribadito da Sez. 5, n. 45176 del 02/10/2019, P., Rv. 277642-01).
In motivazione, le Sezioni Unite hanno richiamato la motivazione della sentenza COGNOME, con la quale ” si disse infatti allora che l’attribuzione prevista dal comma 5 dell’art. 391 c.p.p., in base alla quale il provvedimento cautelare era stato adottato, non configurava una competenza funzionale del giudice della convalida, come peraltro la maggioranza della giurisprudenza aveva fino al quel momento ritenuto, ma rientrava nel genus dell’art. 291 comma 2 c.p.p. avendo natura di intervento di urgenza e provvisorio” (cfr. par. 2 del “Considerato”); hanno ritenuto che vada ” tenuto fermo, a monte, che le misure cautelari disposte dal giudice della convalida non sono, solo perchè tali e ciò perchè emanate nell’esercizio dei poteri di cui all’art. 391 comma 5 .p., misure disposte da giudice competente” (cfr. par. 3 del “Considerato”).
Dunque, la tesi difensiva è del tutto infondata.
2.6. Nè è supportata da altre sentenze div questa Suprema Corte.
Con sentenza della sez. 6, n. 3268 del 18/10/1999, Nasone, Rv. 21637401, in motivazione, al par. 2 del “considerato”, si è esplicitamente richiamata la sentenza COGNOME e si è affermato che ” la competenza funzionale ex art. 391 cod. proc. pen. del giudice della convalida non deroga – come è reso evidente dal richiamo, effettuato dal quinto comma dell’art. 391, all’intero art. 291 cod. proc. pen. – alle norme sulla competenza per territorio stabilite dall’art. 8 segg. cod. proc. pen., cosicchè, quando il luogo dell’arresto o del fermo sia diverso da quello della commissione del reato, l’ordinanza coercitiva emessa dal giudice per le indagini preliminari competente per la convalida ha efficacia provvisoria a norma dell’art. 27 cod. proc. pen., per cui, ove il giudice per le indagini preliminari competente per territorio non provveda nel termine di venti giorni a emettere il nuovo provvedimento cautelare, la misura perde efficacia”.
Nella motivazione della sentenza della sez. 2, n. 5226 del 16/11/2006, Lomanto, Rv. 235813-01, si afferma il carattere inderogabile della competenza ex art. 390, comma 1, cod. proc. pen. e, quanto alle misure cautelari disposte dal giudice della convalida del fermo o dell’arresto, si richiama testualmente il principio di diritto sancito della sentenza COGNOME.
2.7. Non sussiste, di conseguenza, alcuna c.d. “invalidità derivata” del provvedimento applicativo della misura cautelare ex art. 27 cod. proc. pen.,
GLYPH
(i,
non essendo, per altro, tale sanzione processuale espressamente prevista per il caso in esame da alcuna norma dell’ordinamento.
Il secondo motivo, con cui si deduce il vizio di violazione di legge processuale sulla competenza per territorio, è manifestamente infondato. L’incompetenza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Palermo ad emettere la misura cautelare è stata eccepita nel ricorso in base stesse argomentazioni, manifestamente infondate, del primo motivo. Va ribadita la differenza tra la competenza funzionale alla convalida del fermo e quella relativa alla competenza per territorio.
Il terzo motivo, con cui si deduce il vizio di violazione di legge processuale eccependo l’inefficacia della misura cautelare, è manifestamente infondato.
4.1. Secondo il costante orientamento della giurisprudenza, l’obbligo di trasmissione al Tribunale del riesame, previsto dall’art. 309, comma 5, cod. proc. pen., riguarda solo gli atti che il pubblico ministero ha selezionato per sostenere la sua richiesta cautelare, oltre che gli elementi a favore dell’indagato, mentre nessun onere sussiste di trasmettere tutto il contenuto del fascicolo processuale (Sez. 4, n. 5981 del 17/10/2019, dep. 2020, Monaco, Rv. 278436-01).
Il Tribunale del riesame ha rilevato che il supporto contenente le riprese video non è stato inviato neanche al G.I.P, con conseguente inapplicabilità dell’art. 309, comma 5, cod. proc. pen.
4.2. Ove la difesa del ricorrente avesse voluto smentire tale affermazione, non si sarebbe dovuta limitare ad una generica contestazione ma avrebbe dovuto provare ex art. 187, comma 2, cod. proc. pen., trattandosi di un fatto processuale, la presenza di tale video-ripresa tra gli atti trasmessi dal Pubblico ministero con la richiesta di misura cautelare al Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Palermo che ha, poi, applicato la misura cautelare.
La prova del fatto processuale era possibile poichè, ex art. 293, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., è diritto del soggetto nei cui confronti è eseguita la custodia cautelare di “accedere agli atti sui quali si fonda il provvedimento”. Tale prova non è stata in alcun modo fornita con il ricorso.
4.3. Nel caso in esame, la misura coercitiva è stata pacificamente applicata sulla scorta degli elementi indiziari evidenziati nella informativa di polizia giudiziaria.
Va sottolineato che, in tema di misure cautelari, il pubblico ministero non ha l’obbligo di mettere a disposizione, del Giudice per le indagini preliminari
prima e del Tribunale del riesame dopo, determinati atti tassativamente indicati, ma può utilizzare quelli più rilevanti o riassuntivi, con la conseguenza che il verbale di fermo, quando contenga la esposizione RAGIONE_SOCIALE indagini svolte anche se riassuntivamente menzionate – correttamente può essere posto a fondamento dell’ordinanza applicativa della misura (Sez. 4, n. 53168 del 05/10/2017, Rv. 271682-01) e che, come avvenuto nel caso in esame, il pubblico ministero non ha l’obbligo di trasmettere, ai sensi dell’art. 309, comma 5, cod. proc. pen., i supporti informatici contenenti le video riprese utilizzate ai fini dell’applicazione della misura quando gli esiti RAGIONE_SOCIALE stesse siano riportati nell’annotazione di polizia giudiziaria (Sez. 2, n. 19195 del 12/04/2019, COGNOME, Rv. 276444-01).
Non vi era, dunque, alcun obbligo per il Pubblico ministero di trasmettere al Giudice per le indagini preliminari – e tanto più al Tribunale del riesame – le riprese audio-video indicate dalla difesa, essendo gli esiti RAGIONE_SOCIALE stesse riportati nella relazione di polizia giudiziaria contenuta nel provvedimento di fermo.
4.4. In ogni caso, appare utile aggiungere che va altresì rilevato il carattere meramente assertivo e quindi apodittico del motivo in esame, nella misura in cui si sostiene l’esistenza di una ripresa audiovisiva – descrittiva dello scarico in mare, da parte dell’equipaggio della motonave Plutus, di imballaggi contenenti la droga poi recuperata e quindi rinvenuta sulla nave NOME d’NOME – che sarebbe stata depositata dal P.M. ex art. 292 cod. proc. pen. ma non trasmessa ex art. 309 comma 5 cod. proc. pen., nonostante il tribunale abbia chiaramente evidenziato, lo si ripete, come tale ripresa non sia stata depositata presso la cancelleria del Gip neppure ai sensi dell’art. 291 cod. proc. pen. (così che non sussiste un obbligo di deposito ex art. 309 comma 5 citato, posto che tale ultima previsione fa espresso riferimento agli atti già depositati a norma dell’art. 291 comma 1 cod. proc. pen). Nè vale opporre, in proposito, la tesi, anche essa meramente assertiva, per cui la predetta affermazione del tribunale sarebbe solo frutto del passivo recepimento di affermazioni del P.M. formulate in tal senso, e tantomeno appare ammissibile argomentare nel senso per cui non si potrebbe concepire, nel caso concreto, la circostanza del mancato deposito presso il Gip della citata videoripresa, in ragione della assoluta rilevanza probatoria della stessa. Rilevanza, quest’ultima, che ancora una volta pare discendere da mere valutazioni di merito del ricorrente, nella misura in cui la difesa aggiunge che gli operanti, diversamente da quanto sostenuto dai giudici, non avrebbero mai illustrato in una loro relazione, all’esito della personale, diretta percezione dei fatti, la vicenda inerente il citato scarico a mare dei contenitori della sostanza stupefacente. Si tratta, in quest’ultimo caso, ancora una volta, di una
affermazione formulata in contrasto con quanto dedotto dal collegio della cautela e senza alcuna precisa allegazione in proposito: quale avrebbe dovuto essere, lo si ribadisce, la produzione della relazione di polizia giudiziaria controversa, cui il ricorrente ha invece preferito opporre, a proprio discapito, soltanto la poco perspicua allegazione di un provvedimento di fermo, reputandolo (erroneamente) idoneo a risolvere una questione che, invece, solo l’atto direttamente interessato ( la relazione di polizia giudiziaria più volte citata) avrebbe potuto dirimere attraverso la relativa lettura ed esame da parte di questa Suprema Corte.
Il quarto motivo, con cui si deduce il vizio di violazione di legge processuale sulla competenza della Direzione distrettuale RAGIONE_SOCIALE della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Palermo, è inammissibile trattandosi di provvedimento non impugnabile nè con il riesame nè con il ricorso per cassazione, trattandosi di questione che non concerne la legittimità dell’ordinanza genetica.
5.1. La persona sottoposta alle indagini o i suoi difensori, che abbiano conoscenza del procedimento ai sensi degli artt. 335 o 369 cod. proc. pen., se ritengono che il reato appartenga alla competenza di un giudice diverso da quello presso il quale il pubblico ministero che procede esercita le sue funzioni, hanno l’onere di richiedere la trasmissione degli atti ad un diverso Pubblico ministero ex art. 54-quater cod. proc. pen.
5.2. Non inciderebbe sull’individuazione della competenza l’insussistenza, valutata ex post, dei presupposti per l’emissione della misura cautelare in relazione al reato ex art. 74 d.P.R. n. 309 del 1999, giacchè la competenza si determina in base all’imputazione e non alla successiva valutazione di merito sulla sussistenza del fatto.
Le osservazioni esposte in relazione al terzo motivo spiegano anche l’inammissibilità del quinto motivo, inerente la ritenuta assenza – per l’asserito mancato deposito della più volte citata videoripresa e la mancanza di ogni atto di indagine in grado di tenerne luogo – di ogni indizio a carico del ricorrente per travisamento della prova da parte del tribunale, in ordine al reale contenuto della relazione di polizia giudiziaria già in precedenza richiamata.
Va aggiunto peraltro, riguardo al motivo in esame, che in tema di misure cautelari personali, il ricorso per cassazione per vizio di motivazione del provvedimento del Tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza consente al giudice di legittimità, in relazione alla
peculiare natura del giudizio ed ai limiti che ad esso ineriscono, la sola verifica RAGIONE_SOCIALE censure inerenti la adeguatezza RAGIONE_SOCIALE ragioni addotte dal giudice di merito ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento RAGIONE_SOCIALE risultanze probatorie e non il controllo di quelle censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze già esaminate dal giudice di merito (Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, COGNOME, Rv. 276976-01).
Nel caso in esame, mediante la apparente deduzione del travisamento della prova, ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., si sollecita la Corte ad una, non consentita, valutazione alternativa del compendio indiziario e, precisamente, dell’integrale contenuto della relazione di polizia giudiziaria esaminata dal giudice di merito.
Non si indica nel ricorso quale sarebbe lo specifico passo della relazione che sarebbe stato travisato, nè da quale individuato sintagma dovrebbe desumersi che tale annotazione non contenga “quanto percepito” dagli operatori di polizia.
Deve ribadirsi che, a norma dell’art. 606, comma primo, lett. e) cod. proc. pen., costituisce un vizio denunciabile in cassazione l’errore cosiddetto revocatorio che cadendo sul significante e non sul significato della prova si traduce nell’utilizzo di una prova inesistente per effetto di una errata percezione di quanto riportato dall’atto istruttorio (il cosiddetto travisamento della prova) (cfr. sul punto Sez. 5, n. 18542 del 21/01/2011, Carone, Rv. 250168-01).
A ciò si aggiunga, in ogni caso, che, come prima evidenziato, l’annotazione o relazione di polizia giudiziaria ben può contenere la descrizione di immagini e riprese effettuate nel corso RAGIONE_SOCIALE indagini.
Quanto al sesto motivo, è opportuno ricordare che esso attiene a vizi di violazione non solo dell’art. 74 citato ma anche dell’art. 73 del DPR 309/90 oltre che a vizi di motivazione circa gli elementi costitutivi RAGIONE_SOCIALE predette fattispecie di reato. Con esso si aggiunge la deduzione della assenza di prova circa il contenuto, in termini di sostanza stupefacente, degli imballaggi che sarebbero stati lanciati in mare da bordo della motonave Plutus, siccome non individuati nella loro materialità a bordo della nave NOME, come si evincerebbe dal provvedimento di fermo.
Riguardo, in particolare, all’ipotesi di incolpazione ex art. 74 del DPR 309/90, mancherebbe ogni indizio circa la partecipazione degli indagati a qualsiasi vincolo associativo, non emergendo alcuna incondizionata disponibilità alla realizzazione di una serie indeterminata di delitti, nel quadro di una struttura
GLYPH
(
associativa stabile e connotata da una programma criminale. Si aggiunge che nessun altro episodio, oltre a quello di cui al capo due di incolpazione, si sarebbe verificato nè vi sarebbero indizi di consapevolezza, in capo agli indagati, nel senso di partecipare stabilmente ad una serie indeterminata di reati. Si tratta di una censura manifestamente infondata. I giudici hanno elaborato un’articolata motivazione osservando: 1) l’emersione, attraverso innanzitutto l’analisi di conversazioni intercettate e descrittive di contatti tra soggetti calabresi, palermitani e altri operanti in Europa, di modalità ripetute di traffico di stupefacenti a partire dal 2021 e consistite nell’abbandono in mare di contenitori di droga muniti di galleggianti e lampade, poi recuperati da altri natanti; 2) il recupero in mare di colli di tale tipo in data 14 marzo 2023; 3) il monitoraggio della motonave Plutus e dei suoi spostamenti, tanto in acque nazionali che internazionali, particolarmente anomali, attraverso l’effettuazione di cambi di rotta repentini rispetto al tragitto comunicato alle autorità marittime, ingiustificate soste in alto mare, incontri con diverse navi che poco prima disattivavano i rispettivi sistemi di rilevamento, e tra queste la NOME COGNOME, presente, negli ultimi anni di navigazione, ad una distanza doppia rispetto alla sua consueta e normale zona di pesca; 4) la presenza, in data 18.7.2023, di quest’ultima nave a circa 10 miglia dalla rotta della Plutus, con sistema di rilevamento disattivato; 5) lo svolgimento di notte, sul ponte della Plutus, da parte di personale dell’equipaggio, di manovre di movimentazione di una serie consistente di pacchi mentre si convergeva verso la NOME di NOME, con successivo abbandono in mare dei pacchi medesimi; 6) la raccolta successiva, da parte dell’equipaggio della NOME d’NOME, del predetto carico versato in mare; 7) il rinvenimento, all’interno di una apposita intercapedine, di sostanza stupefacente. Operate tale premesse, i giudici hanno evidenziato, con plurimi e coerenti motivi (pag. 8 della ordinanza impugnata), la consapevole e reale partecipazione di tutti i membri della Plutus – anche alla luce del variabile quanto necessario apporto di ciascuno al complessivo viaggio e del necessario rapporto fiduciario che li legava tra loro e con i finanziatori dell’operazione in ragione del notevole valore commerciale del carico – nel trasporto della sostanza, invero chiaramente e logicamente identificabile in quella poi rivenuta sula NOME di NOME alla luce della chiara connessione di eventi prima descritti. Si tratta di una motivazione coerente e completa, anche alla luce della tipologia della attuale fase, cautelare, in corso, che non trascura valide argomentazioni, valorizzanti in particolare le anomalie del viaggio, l’ampiezza del medesimo, i quantitativi notevoli dei colli, la merce trasportata, la peculiarità RAGIONE_SOCIALE operazioni per il trasferimento degli imballaggi Corte di RAGIONE_SOCIALEzione – copia non ufficiale
in coperta e di lì in mare, per evidenziare anche la piena conoscenza, da parte di ciascuno uomo- dell’equipaggio, della presenza di sostanza stupefacente.
Anche l’analisi degli elementi fondanti la fattispecie di cui al primo capo di incolpazione appare coerente: i giudici hanno ribadito il contesto criminale in cui si sono svolti i fatti, siccome connotato da modalità operative di trasporto e raccolta della droga risultate stabili, in quanto hanno consentito, anche in passato, di individuare analoghi trasporti di droga e sequestrarne ingenti quantitativi. Ed hanno altrettanto coerentemente valorizzato gli impegnativi profili organizzativi, coinvolgenti un elevatissimo quantitativo di droga, numerosi uomini di due distinti equipaggi, due navi, la predisposizione di intercapedini per l’occultamento, per sottolineare la sussistenza, necessaria, di una complessa organizzazione articolata nella predisposizione di uomini e mezzi in via stabile, per un ampio programma criminoso, capace di stabilire e concordare tutte le singole fasi dell’operazione, a partire dall’acquisto dello stupefacente, e interessante diversi ambiti spaziali. Notazioni, tutte, che risultano avere condotto, con adeguatezza e organicità logica, alla ricostruzione dell’esistenza di una struttura organizzativa criminale di riferimento stabile e ben articolata oltre che funzionale ad una serie indeterminata di reati, inerenti il traffico di droga, rendendo marginale e anzi del tutto inverosimile la diversa ipotesi della avvenuta concretizzazione di una mera circostanza episodica ed occasionale oltre che soggettivamente delimitata.
In sintesi, emerge una ragionevole illustrazione della effettuazione, da parte del ricorrente, di un contributo reale oltre che morale nelle condotte di cui al secondo capo di incolpazione, coerentemente valorizzate nella loro complessità organizzativa e nella loro portata fiduciaria rispetto a tutti i soggetti coinvolti, ancorchè non tutti identificati, anche quale indizio di una stabile e consapevole adesione ad un comune programma delittuoso, caratterizzante il sodalizio criminale delineato dai giudici e in precedenza sinteticamente illustrato. Tali argomentazioni appaiono essere in linea con il principio per cui, in tema di associazione per delinquere, è consentito al giudice, pur nell’autonomia del delitto-mezzo rispetto ai delitti-fine, dedurre la prova dell’esistenza -del sodalizio criminoso dalla commissione dei delitti rientranti nel programma comune e dalle loro modalità esecutive, posto che, attraverso di essi, si manifesta in concreto l’operatività dell’associazione. (Sez. 2 – , n. 33580 del 06/07/2023 Rv. 285126 – 02) nonchè con quello per cui, l’appartenenza di un soggetto a un sodalizio criminale può essere ritenuta anche in base alla partecipazione ad un solo reato-fine, laddove il ruolo svolto e le modalità dell’azione siano tali da evidenziare la sussistenza del vincolo,
condizione che può verificarsi solo quando tale ruolo non avrebbe potuto essere affidato a soggetti estranei, oppure quando l’autore del singolo reato impieghi mezzi e sistemi propri del sodalizio, in modo da evidenziare la sua possibilità di utilizzarli autonomamente, come membro e non già come persona alla quale il gruppo li ha posti occasionalmente a disposizione (Sez. 1 – n. 29093 del 24/05/2022 Rv. 283311 – 01).
Rispetto a tale organica motivazione, le deduzioni difensive indugiano in un’operazione critica volta – inammissibilmente – alla frammentazione del suesposto ordito motivazionale, si articolano in mere asserzioni in ordine alla insussistenza di prova circa il contenuto, in termini di sostanza stupefacente, degli imballaggi lanciati in mare, che si scontrano con una serie di circostanze – prima esposte nella loro intrinseca correlazione storica e cronologica e come tali valorizzate dai giudici – che le sconfessano in maniera lampante; si traducono, altresì, in mere personali valutazioni in ordine alla significatività del compendio indiziario, quanto alla sostenuta assenza di indizi circa la partecipazione degli indagati a qualsiasi vincolo associativo e alla reputata mancanza di indizi circa la consapevolezza, in capo agli indagati, di partecipare stabilmente ad un sodalizio criminale, oltre a tradursi in una mera svalutazione della portata dimostrativa, anche a fini associativi, del reato fine di cui al capo 2 di incolpazione, operata senza alcun confronto con i rilievi sviluppati al riguardo in ordinanza.
8. Con riguardo al settimo motivo, per cui vi sarebbe il vizio di violazione di legge e vizi di mancanza e manifesta illogicità della motivazione quanto agli elementi costitutivi del concorso di persone, non emergendo una responsabilità collettiva per la sola presenza, sulla motonave Plutus, di più soggetti, neppure identificati quanto a coloro che sarebbero stati impegnati nel lancio a mare degli imballaggi, con mancata illustrazione del necessario, specifico apporto causale fornito da ogni indagato e confusione tra l’apporto di ciascun membro dell’equipaggio alla navigazione e il contributo causale che da ognuno sarebbe stato assicurato alla commissione RAGIONE_SOCIALE fattispecie ipotizzate, le considerazioni sopra esposte e cui si rinvia consentono di evidenziarne la manifesta infondatezza. Anche attraverso il richiamo di quei coerenti passaggi argomentativi elaborati dai giudici, e relativi alla valenza, al fine di fondare la piena consapevolezza e compartecipazione nella attività illecita, sia della presenza a bordo solo di 188 imballaggi muniti di luci di posizioni e galleggianti, sia del necessario coinvolgimento, seppur a vario titolo – per il peso e numero dei colli -, dell’intero equipaggio, nel trasbordo degli stessi dalla stiva al ponte della nave, in funzione dello scarico a mare,
sia del contributo, da ciascuno offerto, per la realizzazione non di una semplice traversata bensì di una navigazione unicamente diretta all’unico scopo del trasferimento di carichi di droga. Anche in tal caso, va ribadito come le censure appaiono meramente rivalutative nonché generiche, anche in assenza di specifiche deduzioni critiche riguardanti direttamente la posizione, il ruolo, l’atteggiamento psicologico e la condotta del ricorrente.
9. L’ottavo motivo, riguarda la violazione dell’art. 274 cod. proc. pen. e vizi di mancanza e manifesta illogicità della motivazione in relazione alle esigenze cautelari. Esso è inammissibile innanzitutto perché ribadisce la insussistenza dei gravi indizi di cui all’art. 74 del DPR 309/90, con conseguente insussistenza della presunzione relativa di cui all’art. 275 comma 3 cod. proc. pen., laddove, invece, le considerazioni suesposte escludono l’assenza del citato quadro indiziario. Sono inoltre meramente rivalutative del merito in ordine alla tematica del pericolo di fuga, a fronte di plurime argomentazioni al riguardo, rispetto alle quali manca ogni specifica confutazione, nonostante il principio per cui i motivi di ricorso per cassazione sono inammissibili «non solo quando risultano intrinsecamente indeterminati, ma altresì quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato» (Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, Sammarco, Rv. 255568) e le ragioni di tale necessaria correlazione tra la decisione censurata e l’atto di impugnazione risiedono nel fatto che il ricorrente non può trascurare le ragioni del provvedimento censurato (Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014, Lavorato, Rv. 259425). E quanto alla critiche relative al rilevato pericolo di reiterazione del reato, sono anche esse fondate su una mera rivalutazione del merito della questione, laddove si sostiene, per escludere il detto pericolo, l’assenza di ogni stabile inserimento in un sistema criminale o di professionalità nel reato, nonostante la sopra rilevata adeguatezza RAGIONE_SOCIALE motivazioni rispetto a tale ultimo aspetto. Generiche sono le critiche in tema di assenza di attualità e concretezza del pericolo e in ordine alla mancata valutazione, da parte del tribunale, della personalità dell’indagato o RAGIONE_SOCIALE condizioni di vita di quest’ultimo, posto che i giudici, oltre ad avere valorizzato la presunzione relativa ricorrente, hanno sottolineato, ai fini da ultimo in esame, le modalità particolarmente gravi della condotta e lo stesso carattere recente della medesima. In linea con il principio per cui, da una parte, in tema di misure coercitive, l’attualità e la concretezza RAGIONE_SOCIALE esigenze cautelari non deve essere concettualmente confusa con l’attualità e la concretezza RAGIONE_SOCIALE condotte criminose, sicché il pericolo di reiterazione di cui all’art. 274, comma 1, lett. c) cod. proc. pen. può essere Corte di RAGIONE_SOCIALEzione – copia non ufficiale
GLYPH
éTh
legittimamente desunto dalle modalità RAGIONE_SOCIALE condotte contestate, anche se risalenti nel tempo. (Sez. 2 – n. 38299 del 13/06/2023 Cc. (dep. 19/09/2023 ) Rv. 285217 – 01), dall’altra, la sussistenza di un pericolo “attuale” di reiterazione del reato deve essere affermata qualora – all’esito di una valutazione prognostica fondata sulle modalità del fatto, sulla personalità del soggetto e sul contesto socio-ambientale in cui egli verrà a trovarsi, ove non sottoposto a misure – appaia probabile, anche se non imminente, la commissione di ulteriori reati; ne deriva che il requisito dell’attualità del pericolo può sussistere anche quando l’indagato non disponga di effettive ed immediate opportunità di ricaduta. (Sez. 2, n. 44946 del 13/09/2016 Rv. 267965 – 01).
10. Sulla base RAGIONE_SOCIALE considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000,00 in favore della RAGIONE_SOCIALE.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE
Così deciso il 15/01/2024.