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Compenso amministratore: quando è bancarotta?

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un amministratore condannato per bancarotta fraudolenta. La condanna riguarda il prelievo di un compenso amministratore senza una specifica delibera assembleare che ne determinasse l’importo, un’azione qualificata come ‘autoliquidazione’ e quindi come distrazione di beni sociali.

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Pubblicato il 21 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Compenso Amministratore e Rischio di Bancarotta: La Cassazione Fa Chiarezza

La gestione di una società comporta oneri e responsabilità significativi, tra cui la corretta definizione del compenso amministratore. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: l’autoliquidazione del proprio compenso da parte di un amministratore, in assenza di una chiara e specifica delibera assembleare, può integrare il grave reato di bancarotta fraudolenta per distrazione. Analizziamo questa decisione per comprendere le implicazioni pratiche per amministratori e società.

I Fatti del Caso

Il caso ha origine dalla condanna di un amministratore unico di una società a responsabilità limitata. I giudici di merito avevano accertato diverse condotte distrattive, tra cui la vendita di merce sottocosto e la sottrazione di beni dal magazzino. Tuttavia, il nucleo della contestazione, confermato in appello e giunto fino alla Cassazione, riguardava il prelievo di somme dalle casse sociali a titolo di compenso per la sua attività gestoria. Il problema cruciale era che, sebbene in passato fosse stato deliberato un compenso, a partire dal 2007 l’assemblea aveva sospeso la decisione sul compenso, rinviandola a future delibere mai adottate. Nonostante ciò, l’amministratore aveva continuato a prelevare fondi, giustificandoli come retribuzione per il suo lavoro.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso dell’amministratore inammissibile, confermando di fatto la condanna per bancarotta fraudolenta per distrazione. La decisione si fonda su un consolidato orientamento giurisprudenziale e ribadisce la necessità di un rigore formale nella gestione dei rapporti economici tra amministratore e società, specialmente quando quest’ultima si trova in una situazione di difficoltà finanziaria.

Le motivazioni sul compenso amministratore

Il cuore delle motivazioni della sentenza risiede nella distinzione tra un credito certo, liquido ed esigibile e una mera aspettativa. La Corte ha chiarito che, secondo l’articolo 2389 del Codice Civile, la misura del compenso amministratore deve essere stabilita all’atto della nomina o dall’assemblea. In mancanza di una delibera assembleare che determini non solo il diritto al compenso (‘an’), ma anche il suo preciso ammontare (‘quantum’), il credito non può considerarsi ‘liquido’.

Nel caso specifico, la delibera del 2007 che rinviava la decisione sul compenso aveva di fatto interrotto la precedente autorizzazione. Di conseguenza, i prelievi successivi sono stati qualificati come un’indebita ‘autoliquidazione’. L’amministratore, in sostanza, si è attribuito unilateralmente un compenso non definito dall’organo sovrano della società. Questo atto, secondo la Corte, non costituisce il reato meno grave di bancarotta preferenziale (che si ha quando si paga un creditore a preferenza di altri), ma integra la più grave fattispecie della bancarotta per distrazione, poiché il credito stesso era privo del requisito della liquidità e certezza.

La questione della prescrizione

La difesa aveva inoltre sollevato un’eccezione relativa alla prescrizione del reato, sostenendo che un rinvio dell’udienza avrebbe dovuto sospendere i termini per un massimo di 60 giorni. La Corte ha respinto anche questa argomentazione, precisando che, quando il rinvio è richiesto dalla difesa dell’imputato, la sospensione della prescrizione opera per tutta la durata del rinvio, come previsto dall’art. 159 del codice penale. Di conseguenza, il reato non era prescritto al momento della sentenza d’appello.

Le conclusioni

La sentenza in esame offre un monito fondamentale: la gestione del compenso amministratore richiede la massima trasparenza e il rispetto scrupoloso delle procedure legali. Un amministratore non può mai decidere autonomamente l’ammontare della propria retribuzione e prelevarla dalle casse sociali. Ogni compenso deve essere fondato su una delibera assembleare chiara, specifica e documentata, che ne determini l’importo esatto. Agire diversamente, soprattutto in un contesto di crisi aziendale, espone al rischio concreto di una condanna per bancarotta fraudolenta per distrazione, con conseguenze penali e patrimoniali gravissime. Per le società, è essenziale formalizzare sempre, attraverso verbali di assemblea, ogni decisione relativa alla remunerazione degli organi gestori per tutelare il patrimonio sociale e prevenire illeciti.

Quando il prelievo di un compenso da parte dell’amministratore costituisce bancarotta per distrazione?
Secondo la sentenza, ciò avviene quando l’amministratore preleva somme a titolo di compenso senza che vi sia una specifica delibera assembleare che ne determini l’esatto importo (il ‘quantum’). In assenza di tale delibera, il credito è considerato ‘illiquido’ e il prelievo integra una distrazione di beni sociali, non un legittimo pagamento.

Una delibera che riconosce il diritto al compenso in generale è sufficiente per legittimare i prelievi?
No. La Corte ha chiarito che il credito dell’amministratore deve essere certo non solo nell’esistenza (‘an’) ma anche nel suo ammontare (‘quantum’). Una delibera che si limita a riconoscere il diritto al compenso ma rinvia a un momento successivo la sua quantificazione non è sufficiente a rendere il credito liquido e, quindi, a giustificare i prelievi.

Come funziona la sospensione della prescrizione in caso di rinvio richiesto dalla difesa?
La sentenza ribadisce che, se il rinvio del processo è causato da una richiesta del difensore dell’imputato, la sospensione del corso della prescrizione si applica per l’intera durata del rinvio concesso dal giudice, e non è limitata al termine di sessanta giorni previsto per il legittimo impedimento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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