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Compenso amministratore e bancarotta: la Cassazione

La Corte di Cassazione conferma la condanna per bancarotta distrattiva a carico dell’amministratore di una società fallita. Il prelievo di somme a titolo di compenso amministratore, in assenza di una delibera assembleare che ne determini l’importo esatto (quantum), integra il reato di distrazione e non quello, meno grave, di bancarotta preferenziale. La Corte ha stabilito che, senza tale delibera, il credito non è liquido ed esigibile, rendendo il prelievo una sottrazione di patrimonio ai danni dei creditori.

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Pubblicato il 23 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Compenso Amministratore e Rischio Bancarotta: La Cassazione Fa Chiarezza

La gestione del compenso amministratore rappresenta un punto cruciale nella vita di una società, specialmente quando si naviga in acque finanziarie turbolente. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: prelevare somme a titolo di compenso senza una specifica delibera assembleare che ne determini l’importo non è un semplice pagamento, ma può configurare il grave reato di bancarotta distrattiva. Analizziamo questa importante decisione per capire le implicazioni pratiche per amministratori e società.

I Fatti del Caso

Il caso riguarda l’amministratore di una S.r.l., dichiarata fallita nel luglio 2014, accusato di diversi reati fallimentari. Mentre le accuse di aggravamento del dissesto e bancarotta preferenziale sono state dichiarate prescritte, è rimasta in piedi la contestazione più grave: la bancarotta distrattiva.

Nello specifico, l’amministratore aveva prelevato dalle casse sociali delle somme a titolo di compenso per la propria attività. Il problema? Questi prelievi erano avvenuti in assenza di una delibera dell’assemblea dei soci che ne stabilisse l’esatto ammontare (il cosiddetto quantum). La difesa sosteneva che, essendo il diritto al compenso legittimo, l’azione avrebbe dovuto essere qualificata al massimo come bancarotta preferenziale, ovvero l’aver pagato sé stesso prima di altri creditori. Tuttavia, sia il Tribunale che la Corte d’appello hanno confermato la natura distrattiva della condotta.

La Questione Giuridica: Distrazione o Preferenza?

La differenza tra bancarotta distrattiva e preferenziale è sostanziale. La prima implica una diminuzione del patrimonio sociale a danno di tutti i creditori, mentre la seconda lede “solo” il principio della par condicio creditorum, ovvero la parità di trattamento. La Corte di Cassazione, nel confermare la condanna, ha seguito un orientamento consolidato.

Perché il compenso amministratore non è un credito qualunque

Il punto centrale della decisione risiede nella natura del credito dell’amministratore per il suo compenso. Secondo la giurisprudenza, affinché un pagamento possa essere considerato legittimo (e quindi, al limite, preferenziale), il credito sottostante deve essere “certo, liquido ed esigibile”.

Nel caso del compenso amministratore, l’art. 2389 del codice civile stabilisce che la sua misura deve essere determinata dall’atto costitutivo o da una delibera assembleare. In assenza di questa determinazione, anche se il diritto al compenso esiste in astratto (an), il suo ammontare non è definito (quantum). Di conseguenza, il credito è considerato illiquido. Un credito illiquido non può essere legittimamente pagato, e l’auto-liquidazione da parte dell’amministratore stesso equivale a una sottrazione di risorse dal patrimonio sociale.

L’impatto sulla pena

Un altro motivo di ricorso riguardava la mancata riduzione della pena nonostante la prescrizione degli altri capi di imputazione. La Corte ha respinto anche questa doglianza, spiegando che la pena era già stata calcolata partendo dal minimo edittale e che le circostanze attenuanti erano state giudicate prevalenti sull’aggravante della pluralità di fatti di bancarotta. In pratica, la prescrizione degli altri reati non ha avuto impatto perché la pena per il reato residuo era già stata determinata nella misura più favorevole possibile all’imputato.

Le Motivazioni della Cassazione

La Suprema Corte ha ritenuto il ricorso infondato, ribadendo con forza i principi già espressi. La motivazione si fonda sulla distinzione tra il rapporto societario (o di “immedesimazione organica”) che lega l’amministratore alla società e un normale rapporto di lavoro o d’opera. La retribuzione dell’amministratore, proprio per questa sua natura particolare, non può essere lasciata alla sua stessa discrezione. La liquidazione del suo importo deve necessariamente passare attraverso una determinazione formale dello statuto o, più comunemente, di una delibera dell’assemblea. Senza questo passaggio formale, il prelievo di somme è considerato una distrazione pura e semplice, in quanto si tratta di un’appropriazione di denaro a fronte di un credito non ancora quantificato e quindi non esigibile. La Corte ha sottolineato come la difesa non avesse fornito prove concrete sulla congruità delle somme percepite, limitandosi a contestazioni generiche.

Conclusioni

Questa sentenza è un monito severo per tutti gli amministratori di società di capitali. La formalità non è un optional. Il compenso amministratore deve essere deliberato in modo chiaro e formale dall’assemblea dei soci. Agire diversamente, soprattutto in contesti di crisi aziendale, espone al rischio di una condanna per il grave reato di bancarotta fraudolenta per distrazione. L’auto-liquidazione di compensi, anche se ritenuti congrui, in assenza di una delibera formale che ne fissi il quantum, viene interpretata dalla giurisprudenza non come il pagamento di un debito, ma come una spoliazione del patrimonio sociale ai danni della collettività dei creditori.

Quando il prelievo di un compenso da parte dell’amministratore costituisce bancarotta distrattiva?
Secondo la sentenza, il prelievo costituisce bancarotta distrattiva quando avviene in assenza di una delibera assembleare (o di una previsione statutaria) che determini l’esatto importo (quantum) del compenso. In tal caso, il credito è considerato illiquido e il prelievo una sottrazione di patrimonio sociale.

Perché il compenso dell’amministratore non approvato dall’assemblea non può essere considerato un semplice pagamento preferenziale?
Non può essere considerato un pagamento preferenziale perché, per integrare tale reato meno grave, è necessario che esista un debito certo, liquido ed esigibile. Senza la delibera che ne fissa l’importo, il credito dell’amministratore per il compenso è considerato illiquido, e quindi il prelievo non è un pagamento di un debito ma una distrazione di beni.

La prescrizione di alcuni reati fallimentari in appello comporta automaticamente una riduzione della pena per i reati residui?
No, non necessariamente. Nel caso specifico, la Corte ha stabilito che la pena non doveva essere ridotta perché era già stata fissata al minimo edittale, con le attenuanti generiche giudicate prevalenti sull’aggravante legata alla pluralità dei fatti. Di conseguenza, i reati prescritti non avevano contribuito ad aumentare la sanzione finale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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