Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 539 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 539 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 10/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME, nato a Cassino il DATA_NASCITA avverso l’ordinanza del 30/04/2024 della Corte di appello di Perugia visti gli atti, il provvedimento innpr_ignato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME AVV_NOTAIO, ai sensi dell’art. 23, comma 8, del d. I. n. 137 del 2020, che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 30 aprile 2024, la Corte di Appello di Perugia ha dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza la richiesta di revisione della sentenza emessa da Tribunale di Cassino in data 14 luglio 2022, divenuta irrevocabile il 14 settembre 2022, con la quale, ai sensi degli artt. 444 e 448 cod. proc. pen., su concorde richiesta delle parti, la ricorrente era stata condannata alla pena di mesi 4 di reclusione con sospensione condizionale, per il
reato di cui all’art. 10-ter del cligs. n. 74 del 2000 per avere omesso, nella qualità di legale rappresentante pro tempore della società RAGIONE_SOCIALE, di versare l’iva per l’anno di imposta 2017.
Avverso tale ordinanza l’interessata ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione, chiedendone l’annul:amento.
2.1. Con un primo motivo di doglianza, si lamentano l’erronea applicazione della legge processuale e la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, in riferimento agli artt. 634, 630, 631, 129 e 127 cod. proc. pen.
Si sostiene che la richiesta di revisione è basata sulla sopravvenuta scoperta del modello F24, con il quale la società, aderendo all’accertamento dell’ufficio finanziario, aveva provveduto a pagare i debito IVA in contestazione a mezzo di compensazione tributaria, con successivo riconoscimento Ci detta compensazione da parte dell’Agenzia delle entrate. Si contesta l’affermazione della Corte d’appello secondo cui la compensazione del debito con i crediti del contribuente non integra la causa di non punibilità dell’art. 13 del d.lgs. n. 74 del 2000. Tale affermazione sarebbe il frutto di un’approfondita valutazione del merito, che avrebbe richiesto un contraddittorio tra le parti circa la normativa applicabile, non essendo consentita in sede di cielibazione sull’ammissibilità della richiesta di revisione.
2.2. In secondo luogo, si eccepiscono vizi della motivazione e l’erronea applicazione degli artt. 13 del d.lgs. n. 74 del 2000, noncné 1243 cod. civ. e 17 del d.lgs. n. 241 del 1997, di cui dovrebbe tenersi conto ai fini del pagamento del debito previsto dall’art. 13 citato.
Per la difesa, l’interpretazione seguita dall’ordinanza impugnata non è in linea con il caso di specie, caratterizzato da una compensazione ex art. 17 del d.lgs. n. 74 del 2000′ né con la formulazione letterale o ia ratio dell’art. 13 del d.lgs. n. 74 del 2000, che non prevede limiti alla compensazione tributaria, la quale ha comunque efficacia estintiva. Sarebbe erronea l’equiparazione operata dalla Corte d’appello fra l’art. 1241 cod. civ. nell’art. 13, d.lgs. n. 74 del 2000, perché la prima disposizione disciplina la compensazione legale, mentre la seconda disciplina una compensazione che opera anche in caso di mancanza di identità fra i soggetti che assumono le contrapposte in posizioni creditorie e debitorie.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
1.1. Il primo motivo di doglianza è manifestamente infondato.
Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, la revisione della sentenza di pattegglamento richiesta per la sopravvenienza o la scoperta di nuove prove, comporta una valutazione di cueste ultime alla luce della regola di giudizto posta per il rito alternativo, con la conseguenza che le stesse devono consistere in elementi tali da dimostrare la sussistenza di cause di proscioglimento dell’interessato secondo il parametro di giudizio dell’art. 129 cod. proc. pen., sì come applicabile nel patteggiamento (ex plurimis, Sez. 5, n. 12096 del 20/01/2021, Rv. 280759; Sez. 6 n. 5238 del 29/01/2018, Rv. 272129; Sez. 6, n. 10299 del 13/12/2013, dep. 04/03/2014, Rv. 258997).
Invero, sulla revisione della pronuncia di applicazione della pena su richiesta delle parti si riflettono i limiti strutturali del rito speciale su cui si chied innestare il giudizio di revisione, atteso che il giudice è chiamato al controllo sui termini dell’accordo in base alle evidenze istruttorie disponibili e alla valutazione della sussistenza di cause di non punioilttà che potrebbero condurre ad una sentenza di proscioglimento ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen.
Alla stessa stregua, gli elementi in base ai quali si chiede la revisione della sentenza di patteggiamento dovranno essere tali da dimostrare che il soggetto cui è stata applicata la pena concordata deve essere prosoolto per la presenza di una o più delle cause elencate nell’art. 129 cod. proc. pen., per evitare che, attraverso lo strumento della revisione, possano essere alterate la struttura e la fisionomia del patteggiamento e vanificati gli obiettivi di accelerazione e deflazione propri del rito in parola. La soluzione prospettata, in altri termini, non deriva da un’astratta esigenza di “simmetria” tra la natura e l’ambito del patteggiannento e del relativo procedimento di revisione, ma da un’interna elementare esigenza di coerenza interna del sistema processuale che deve garantire, per un verso, il soddisfac mento delle istanze di giustizia e, per l’altro, la riparazione dell’errore, senza consentire che la riparazione diventi lo strumento per ottenere tutto ciò a cui si è consapevolmente rinunciato con la scelta del predetto rito alternativa (Sez. 6, n. 31374 del 24/05/2011, Rv. 250684).
Correttamente applicando tali principi, la Corte d’appello ha sommariamente apprezzato, sul piano astratto, l’idoneità della nuova prova – rappresentata dal modello F24 asseritamente scoperto dopo la sentenza – a comportare la rimozione del giudicato, e l’ha esclusa richiamando l’inapplicabilità della causa di non punibilità di cui all’art. 13 del d.Igs. n. 74 del 2000, nel caso in cui il debito tributario non si estingua per pagamento, ma per compensazione. A ciò deve aggiungersi che la sommarietà della valutazione operata risulta pienamente
adeguata, anche su un piano sostanziale, all’evidente infondatezza in punto di diritto della prospettazione difensiva.
1.2. Rispetto a tale ultimo profilo, deve rilevarsi l’inammissibilità del secondo motivo di doglianza.
Premesso che la richiesta di revisione si fonda sull asserita sopravvenuta scoperta del mod. NUMERO_DOCUMENTO con il quale si sarebbe operata la compensazione del debito IVA in contestazione ai sensi dell’art. 17 del d.lgs. n. 241 del 1997, deve ribadirsi che la Corte territoriale ha correttamente svolto il vaglio preliminare di manifesta infondatezza della richiesta di revisione in conformità sia con l’orizzonte cognitivo del giudice di revisione, sia con riferimento all’ipotesi in cui la sentenza oggetto di revisione sa stata pronunciata ex art. 444 cod. proc. pen., rilevando, in particolare, che il debito tributario non à stato propriamente “pagato”, ma semplicemente posto in compensazione con altro contrapposto credito tributario.
Come è ampiamente noto, la compensazione legale del debito IVA con i crediti del contribuente non integra la causa di non punibilità prevista dall’art. 13 d.lgs. 74/2000, in quanto rappresenta un modo di estinzione dell’obbligazione diverso dall’adempimento e non costituisce, pertanto, una forma di “pagamento”, del debito quale elemento richiesto espressamente dalla norma (ex multis, Sez. 3, n. 39122 del 12/072023; Sez. 3, n. 17806 del 29/01/2020, dep. 10/06/2020, Rv. 279426). Infatti, proprio agli specifici fini dell’applicazione di cause di non punibilità per i reati di c:ui agli artt. 10-bis, 10 -ter e 10 -quater, comma 1, l’art. 13, comma 1, del d.lgs. n. 74 del 2000 prevede la non punibilità «se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all accertamento previste dalle norme tributarie, nonché del ravvedimento operoso».
2. Per questi motivi, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della RAGIONE_SOCIALE delle ammende, equitativamente fissata in C 3.000,00.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma d C 3.000,00 in favore della RAGIONE_SOCIALE delle ammende.
Così deciso il 10/10/2024