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Commisurazione pena: quando il ricorso è inammissibile

Un’ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce i motivi di inammissibilità di un ricorso riguardante la commisurazione della pena. Il caso analizza un’impugnazione per spaccio di lieve entità, dove il ricorrente lamentava una motivazione insufficiente per una pena superiore al minimo edittale. La Corte ha respinto il ricorso, sottolineando che l’impugnazione deve confrontarsi specificamente con la ratio decidendi della sentenza precedente. La decisione del giudice di merito è stata considerata ben motivata, basandosi sulla quantità di stupefacente e sulla capacità a delinquere del reo, rendendo il ricorso generico e quindi inammissibile.

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Pubblicato il 27 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Commisurazione della pena: l’importanza di un ricorso ben motivato

La corretta commisurazione della pena è uno dei pilastri del diritto penale, un processo delicato in cui il giudice valuta la gravità del reato e la personalità dell’imputato per stabilire una sanzione giusta ed equa. Tuttavia, cosa accade quando si contesta questa valutazione in sede di legittimità? Un’ordinanza recente della Corte di Cassazione ci offre un’importante lezione sulla necessità di formulare un ricorso specifico e non generico, pena la sua inammissibilità.

I fatti del caso

Il caso trae origine dalla condanna di un imputato, confermata dalla Corte d’Appello, per una fattispecie di spaccio di sostanze stupefacenti di lieve entità, prevista dall’art. 73, comma 5, del d.P.R. 309/1990. La pena inflitta era di otto mesi di reclusione e 1.600 euro di multa. Questa sanzione era il risultato di una pena base di un anno e 2.400 euro, ridotta di un terzo per la concessione delle circostanze attenuanti generiche.

Il ricorso in Cassazione e la contestazione sulla commisurazione della pena

L’imputato, tramite il suo difensore, ha proposto ricorso per cassazione lamentando un unico motivo: la mancanza o l’insufficienza della motivazione riguardo alla commisurazione della pena. Secondo la difesa, i giudici di merito non avevano adeguatamente spiegato perché la pena non fosse stata fissata nel minimo edittale, limitandosi a una motivazione di poche righe.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, fornendo chiarimenti cruciali sui requisiti di un’impugnazione efficace e sul perimetro del proprio sindacato.

Mancato confronto con la sentenza impugnata: un vizio fatale

Il primo punto, dirimente, è che il ricorso era generico. La Corte ha sottolineato un principio consolidato: un’impugnazione è inammissibile se non si confronta specificamente con la ratio decidendi (le ragioni fondanti) della sentenza che contesta. Nel caso di specie, la Corte d’Appello aveva motivato la sua decisione, e il ricorso non aveva preso in esame tali argomentazioni, vanificando la sua stessa funzione.

Il potere discrezionale del giudice e la valutazione della commisurazione della pena

La Cassazione ha ribadito che la determinazione della pena rientra nei poteri discrezionali del giudice di merito. Questo potere non è assoluto, ma il suo esercizio può essere censurato in sede di legittimità solo se risulta frutto di mero arbitrio o di un ragionamento palesemente illogico. Il compito della Cassazione non è sostituire la propria valutazione a quella del giudice di merito, ma verificare che quest’ultima sia legalmente e logicamente corretta.

I criteri di valutazione: gravità del reato e capacità a delinquere

Nel caso concreto, la decisione della Corte d’Appello non era né arbitraria né illogica. I giudici avevano ritenuto congrua la pena basandosi su precisi elementi desunti dall’art. 133 del codice penale:

1. La gravità del reato: desunta dalla quantità non trascurabile di stupefacente (29,7 g di marijuana e 66,6 g di hashish), dal numero di dosi ricavabili (430) e dal fatto che una parte della sostanza fosse già suddivisa per la vendita.
2. La capacità a delinquere del reo: evidenziata dai suoi precedenti penali, che includevano altre condanne per reati in materia di stupefacenti.

Queste stesse circostanze erano state considerate sufficienti anche per negare la richiesta di sostituzione della pena detentiva con sanzioni alternative.

Conclusioni: cosa insegna questa ordinanza

L’ordinanza in esame è un monito fondamentale per la pratica forense. Contestare la commisurazione della pena in Cassazione richiede un’argomentazione puntuale e specifica, che demolisca la logicità del ragionamento del giudice di merito. Un ricorso generico, che si limita a lamentare una motivazione scarna senza analizzarla e confutarla, è destinato all’inammissibilità. La discrezionalità del giudice nella quantificazione della pena è ampia, ma deve essere esercitata nel rispetto dei parametri legali e con una motivazione coerente. Spetta al ricorrente dimostrare, non la mera opinabilità della scelta, ma la sua palese illogicità o arbitrarietà.

Perché il ricorso sulla quantificazione della pena è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché non si è confrontato specificamente con le motivazioni contenute nella sentenza della Corte d’Appello. Un’impugnazione deve affrontare e contestare la ‘ratio decidendi’ della decisione impugnata, altrimenti risulta generica e non svolge la sua funzione.

La Corte di Cassazione può modificare la pena decisa da un altro giudice?
La Corte di Cassazione non riesamina i fatti per decidere una nuova pena. Il suo compito è verificare che la decisione del giudice di merito sulla commisurazione della pena sia stata presa rispettando la legge e con una motivazione logica e non arbitraria. Può annullare la decisione solo se rileva un vizio di legittimità, non per una diversa valutazione di merito.

Quali elementi hanno giustificato una pena superiore al minimo legale in questo caso?
I giudici hanno giustificato una pena superiore al minimo sulla base di due criteri principali: la gravità del reato, valutata in base alla notevole quantità di droga sequestrata (quasi 100 grammi totali) e al numero di dosi ricavabili (430); e la capacità a delinquere dell’imputato, desunta dai suoi precedenti penali, inclusi altri reati legati agli stupefacenti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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