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Commisurazione della pena: l’obbligo di motivazione

La Corte di Cassazione ha annullato una sentenza di condanna per mancanza di motivazione sulla commisurazione della pena. I giudici di merito avevano rideterminato la sanzione senza esplicitare il calcolo seguito, in particolare la pena base, le riduzioni per le attenuanti generiche e per il rito. Secondo la Suprema Corte, la discrezionalità del giudice nel quantificare la pena non può mai sfociare nell’arbitrio e deve essere sempre supportata da un percorso argomentativo trasparente e verificabile.

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Pubblicato il 2 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Commisurazione della pena: la Cassazione ribadisce l’obbligo di motivazione

La corretta commisurazione della pena è uno dei momenti più delicati del processo penale. Il giudice, pur godendo di un potere discrezionale, non può agire in modo arbitrario. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha riaffermato un principio fondamentale: ogni decisione sulla quantità della pena deve essere trasparente e fondata su un percorso logico-giuridico chiaramente esplicitato. In caso contrario, la sentenza è illegittima e deve essere annullata.

I Fatti Processuali

Il caso nasce dalla rideterminazione di una pena da parte della Corte d’Appello di Bari. Inizialmente, l’imputata era stata condannata per due reati: partecipazione ad associazione finalizzata al traffico di stupefacenti (art. 74 d.P.R. 309/90) e una specifica fattispecie di spaccio (art. 73 d.P.R. 309/90). Quest’ultimo reato era stato considerato in continuazione con il primo, comportando un aumento di pena di solo un mese.

Successivamente, a seguito di un giudizio di revisione, la condanna per il reato associativo veniva revocata. Di conseguenza, la Corte d’Appello si trovava a dover ricalcolare la pena per il solo reato di spaccio rimasto in piedi. La Corte stabiliva una nuova pena di un anno e quattro mesi di reclusione e 4.000 euro di multa, senza però fornire alcuna spiegazione su come fosse giunta a tale risultato.

Il Ricorso in Cassazione: La Critica alla Mancata Motivazione

La difesa dell’imputata ha proposto ricorso in Cassazione, lamentando proprio la violazione di legge da parte della Corte d’Appello. Il motivo del ricorso era semplice ma cruciale: la sentenza impugnata si era limitata a enunciare la pena finale, omettendo qualsiasi indicazione sull’iter seguito per determinarla.

In particolare, non era stato specificato:
* La pena base da cui il giudice era partito.
* La riduzione applicata per il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
* La diminuzione derivante dalla scelta del rito abbreviato.

Questa assenza di motivazione rendeva impossibile verificare la logicità e la correttezza della decisione, trasformando il potere discrezionale del giudice in mero arbitrio.

Le Motivazioni della Cassazione sulla Commisurazione della Pena

La Suprema Corte ha accolto il ricorso, ritenendolo fondato. Gli Ermellini hanno ribadito un principio consolidato nella giurisprudenza: la valutazione degli elementi per la commisurazione della pena rientra nei poteri discrezionali del giudice di merito, ma tale potere non è illimitato. L’esercizio di questa discrezionalità è sindacabile in Cassazione quando la motivazione è assente, illogica o contraddittoria.

Nel caso di specie, il giudice d’appello si era limitato a indicare la pena finale, senza esplicitare il percorso argomentativo che lo aveva condotto a quella conclusione. Questa modalità operativa viola l’obbligo di motivazione, poiché impedisce alle parti e alla stessa Corte di Cassazione di controllare la razionalità della decisione e la sua conformità ai criteri legali stabiliti dall’art. 133 del codice penale (gravità del reato, capacità a delinquere del reo).

Le Conclusioni: l’Obbligo di Trasparenza del Giudice

La sentenza si conclude con l’annullamento della decisione impugnata, limitatamente al trattamento sanzionatorio, e con il rinvio ad un’altra sezione della Corte d’Appello di Bari per un nuovo giudizio sul punto. Questa pronuncia riafferma con forza che la giustizia non può essere percepita come un atto d’imperio. La commisurazione della pena deve essere un processo trasparente, le cui tappe sono chiaramente delineate nella motivazione della sentenza. Solo così si garantisce il diritto di difesa e si assicura che la pena sia giusta, proporzionata e conforme alla legge.

Perché la sentenza della Corte d’Appello è stata annullata dalla Cassazione?
La sentenza è stata annullata perché mancava completamente la motivazione sul calcolo della pena. Il giudice non ha spiegato come ha determinato la sanzione finale, non indicando la pena base di partenza né le riduzioni applicate per le attenuanti o per il rito processuale scelto.

Il giudice ha piena libertà nel decidere l’entità di una pena?
No. Sebbene il giudice abbia un potere discrezionale nel determinare la pena entro i limiti minimi e massimi previsti dalla legge, questo potere deve essere esercitato seguendo i criteri dell’art. 133 del codice penale e deve essere sempre supportato da una motivazione logica e coerente. Una decisione non motivata è illegittima.

Cosa accade dopo l’annullamento con rinvio deciso dalla Cassazione?
Il processo torna alla Corte d’Appello, che dovrà celebrare un nuovo giudizio limitatamente al punto annullato, ovvero la determinazione della pena. Il nuovo giudice dovrà ricalcolare la sanzione, questa volta fornendo una motivazione completa e trasparente che illustri l’iter logico-giuridico seguito.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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