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Commisurazione della pena: la discrezionalità del giudice

Un automobilista, condannato per guida in stato di ebbrezza con aggravanti, ha impugnato la sentenza lamentando una pena troppo severa rispetto a tabelle usate in altri procedimenti. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, sottolineando che la commisurazione della pena è un potere discrezionale del giudice. La pena è stata ritenuta equa data la gravità dei fatti, tra cui l’aver provocato un incidente con investimento di un pedone.

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Pubblicato il 27 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Commisurazione della pena: la Cassazione conferma i poteri del giudice

L’ordinanza in esame della Corte di Cassazione affronta un tema cruciale del diritto penale: la commisurazione della pena. Quando una sanzione può essere considerata ‘giusta’? E quali sono i limiti del potere del giudice nel deciderla? Con questa pronuncia, i giudici supremi ribadiscono un principio fondamentale: la determinazione della pena è un esercizio di potere discrezionale del giudice, censurabile solo in casi di palese illogicità o arbitrarietà. Analizziamo insieme il caso e le motivazioni della Corte.

I fatti del processo

Il caso riguarda un automobilista condannato in primo grado e in appello per il reato di guida in stato di ebbrezza, aggravato da diverse circostanze. Nello specifico, l’imputato era stato fermato alla guida dopo le ore 22, con un tasso alcolemico di 0,96 g/l, e aveva causato un incidente stradale investendo un pedone.

L’imputato, tramite il suo difensore, ha presentato ricorso in Cassazione lamentando un unico motivo: la presunta mancanza di motivazione riguardo alla congruità della pena inflitta. Secondo la difesa, la sanzione era sproporzionata se confrontata con una tabella, redatta dalla Procura della Repubblica locale, utilizzata per definire casi simili attraverso decreti penali di condanna.

La questione della commisurazione della pena e la discrezionalità

Il nodo centrale del ricorso era, quindi, il presunto scostamento della pena da uno standard applicato in altri contesti. La difesa sosteneva che tale difformità rendesse la sanzione non congrua e la motivazione della sentenza insufficiente.

La Corte di Cassazione ha respinto categoricamente questa argomentazione, dichiarando il ricorso inammissibile per manifesta infondatezza. Questo ci porta al cuore della decisione.

le motivazioni

La Corte ha ribadito un principio consolidato nella giurisprudenza: la valutazione degli elementi per la commisurazione della pena, ai sensi dell’art. 133 del Codice Penale, rientra nei poteri discrezionali del giudice di merito. Tale potere può essere sindacato in sede di legittimità solo se il suo esercizio risulta essere frutto di mero arbitrio o di un ragionamento palesemente illogico.

Nel caso specifico, i giudici hanno ritenuto che la Corte d’Appello avesse correttamente motivato la sua decisione, facendo propri gli argomenti della sentenza di primo grado. La pena è stata considerata congrua ed equa non sulla base di astratte tabelle, ma all’esito di una valutazione concreta della gravità del reato. Gli elementi decisivi sono stati:

* Le modalità della condotta: la guida in orario notturno.
* Il livello di alcolemia: un tasso di 0,96 g/l, ben al di sopra del limite consentito.
* Le conseguenze del reato: l’aver provocato un incidente stradale con l’investimento di un pedone.

Questi fattori, nel loro complesso, hanno giustificato una pena ritenuta adeguata alla gravità del fatto, rendendo irrilevante il confronto con altri casi specifici definiti con procedure diverse come i decreti penali.

le conclusioni

La pronuncia è chiara: la giustizia penale non opera per automatismi o tabelle standardizzate. Ogni caso deve essere valutato nella sua specificità. Il giudice ha il dovere di personalizzare la pena in base alla gravità del reato e alla colpevolezza del reo, come impone l’art. 133 c.p. Il ricorso a presunte prassi o tabelle di altri uffici giudiziari non può vincolare la sua decisione né costituire un valido motivo di ricorso in Cassazione.

L’inammissibilità del ricorso ha comportato, come previsto dall’art. 616 del codice di procedura penale, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende, a causa della colpa nell’aver promosso un’impugnazione priva di fondamento.

Un giudice può decidere una pena diversa da quella prevista in tabelle interne della Procura?
Sì. La Corte ha stabilito che la commisurazione della pena è un potere discrezionale del giudice, che deve basarsi sulla valutazione concreta della gravità del reato secondo l’art. 133 c.p., e non è vincolato da tabelle o prassi utilizzate in altri procedimenti, come i decreti penali di condanna.

Quando è possibile contestare la commisurazione della pena in Cassazione?
È possibile contestarla solo quando la decisione del giudice è frutto di mero arbitrio o di un ragionamento palesemente illogico. Non è sufficiente che la pena sia ritenuta semplicemente ‘alta’ o diversa da quella applicata in altri casi.

Quali elementi ha considerato la Corte per giudicare la pena adeguata in questo caso?
La Corte ha ritenuto la pena equa considerando la gravità complessiva del reato, desunta da elementi specifici come: la guida in orario notturno (dopo le 22), il tasso alcolemico di 0,96 g/l e, soprattutto, l’aver provocato un incidente stradale con l’investimento di un pedone.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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