Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 16424 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 16424 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 12/03/2025
SENTENZA
sul ricorSo proposto da:
NOME nato a POLLENA TROCCHIA il 22/12/1997
avverso la sentenza del 12/07/2024 della CORTE di APPELLO di NAPOLI visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
letta la requisitoria del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
lette le conclusioni scritte presentate dall’avv. NOME COGNOME il quale, nell’interesse di NOME COGNOME ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
02)–
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RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 12 luglio 2024, la Corte di appello di Napoli ha confermato la sentenza in data 8 luglio 2021 con cui il Tribunale di Noia aveva condannato NOME COGNOME con le attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante, alla pena di 1 anno di reclusione e di 200,00 euro di multa per il delitto di furto aggravato, perché, al fine di trarne profitto usando violenza sulle cose consistita nel forzare una finestra e, successivamente, nel manomettere la cassetta porta-monete del distributore automatico di bibite installato dalla RAGIONE_SOCIALE presso i locali del Comando della Polizia municipale, si impossessava del denaro contante che vi era custodito, sottraendolo alla predetta società; in Sant’Anastasia, il 2 febbraio 2018. Rispondendo all’appello con cui la Difesa dell’imputato chiedeva l’applicazione delle attenuanti generiche nella loro massima estensione, con conseguente contenimento della pena nei minimi edittali, la Corte territoriale ha ritenuto che la richiesta dovesse essere disattesa alla luce del disvalore sociale e della spregiudicatezza della condotta tenuta, delle modalità con cui l’azione criminosa era stata compiuta nonché dell’assenza di segni di sentita resipiscenza mostrati da NOME per l’azione furtiva realizzata.
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione avverso il predetto provvedimento per il tramite del difensore di fiducia, avv. NOME COGNOME deducendo, con un unico motivo di impugnazione, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione dell’art. 133, comma primo, nn. 1 e 3 e comma secondo e dell’art. 62-bis cod. pen., nonché la manifesta illogicità della motivazione in relazione alla dosimetria della pena che avrebbe reso non intellegibile il processo logico-giuridico posto alla base della decisione impugnata. In particolare, il ricorso lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., che la sentenza impugnata muovesse dall’erroneo presupposto che la pena inflitta in primo grado fosse stata determinata nel minimo edittale, laddove esso, in realtà, sarebbe pari a sei mesi di reclusione; e senza considerare l’ulteriore riduzione per effetto del rito prescelto. La Corte territoriale, inoltre, non avrebbe tenuto conto delle argomentazioni addotte dalla Difesa nell’atto di appello, in particolare in relazione sia alla personalità dell’imputato, affetto da ludopatia e da problemi di dipendenza dall’alcool e assolutamente estraneo a contesti criminali, sia all’atteggiamento processuale da lui assunto, avendo egli optato per un giudizio allo stato degli atti. In questo modo, la Corte di appello si sarebbe sottratta all’obbligo di indicare i motivi alla base della decisione, i quali giustificano l’uso del potere discrezionale attribuito al giudice dall’art. 132 cod. pen.
(9,
In data 3 febbraio 2025 è pervenuta in Cancelleria la requisitoria scritta del Procuratore generale presso questa Corte, con la quale è stato chiesto il rigetto del ricorso.
In data 7 marzo 2025 è pervenuta via PEC una memoria a firma dell’avv. NOME COGNOME contenente conclusioni scritte, con la quale il Difensore ha insistito nell’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato e, pertanto, deve essere respinto.
Va premesso che in sede di commisurazione della pena la determinazione del relativo quantum alla stregua dei criteri enunciati agli artt. 132 e 133 cod. pen. costituisce esercizio di un apprezzamento discrezionale rimesso al giudice di merito che, se adeguatamente motivato e sempre che non sia il frutto di mero arbitrio o di un ragionamento illogico, si sottrae a qualunque sindacato di legittimità (cfr., tra le altre, Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 259142 01).
Secondo l’orientamento consolidato sull’argomento, mentre l’applicazione di una pena base in misura pari o superiore alla media edittale richiede una specifica indicazione dei criteri, soggettivi e oggettivi, elencati dall’art. 133 cod. pen., che devono essere valutati e apprezzati tenendo conto della funzione rieducativa, retributiva e preventiva della pena (Sez. 5, n. 35100 del 27/06/2019, Torre, Rv. 276932 – 01; Sez. 3, n. 10095 del 10/01/2013, Monterosso, Rv. 255153 – 01), viceversa, tutte le volte in cui la scelta del giudice risulta contenuta in una fascia «medio bassa» rispetto al regime edittale della pena non è neppure necessaria una motivazione particolarmente articolata (Sez. 4, n. 41702 del 20/09/2004, COGNOME, Rv. 230278 – 01). In tali casi, infatti, può essere sufficiente «il richiamo al criterio di adeguatezza della pena, nel quale sono impliciti gli elementi di cui all’art. 133 cod. pen.» (Sez. 4, n. 46412 del 5/11/2015, COGNOME, Rv. 265283 – 01; in termini Sez. 4, n. 21294 del 20/03/2013, COGNOME, Rv. 256197 – 01) ovvero l’utilizzo di espressioni del tipo: «pena congrua», «pena equa» o «congruo aumento», come pure il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere (Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, COGNOME, Rv. 271243 – 01; Sez. 2, n. 36245 del 26/06/2009, COGNOME, Rv. 245596 – 01), quando comunque risulti, dal complesso della motivazione, pur riferita ad altri aspetti, che tali elementi sono stati adeguatamente considerati.
Sempre in premessa deve, altresì, osservarsi che le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione
discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimità
qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi quella che per giustificare la
soluzione dell’equivalenza si sia limitata a ritenerla la più idonea a realizzare l’adeguatezza della pena irrogata in concreto (Sez. U, n. 10713 del 25/02/2010,
COGNOME, Rv. 245931 – 01).
3. Nel caso di specie, i Giudici di merito sono giunti alla pena finale di 1 anno di reclusione all’esito di un giudizio di equivalenza tra l’aggravante prevista dall’art.
625, primo comma, n. 2, cod. pen. e le attenuanti generiche e determinando la pena inflitta, per effetto di tale bilanciamento, non sulla misura relativa all’ipotesi
aggravata, bensì su quella dell’ipotesi base del delitto di furto e procedendo, infine, all’ulteriore riduzione in ragione del rito abbreviato prescelto.
Ora, se deve da una parte riconoscersi che la Corte di appello sia incorsa in un evidente errore nell’affermare che la pena di 1 anno di reclusione e di 200 euro
corrispondesse al minimo edittale, pari, per il furto semplice, a soli 6 mesi di reclusione, deve dall’altra parte rilevarsi che la pena base, prima della riduzione
per il rito abbreviato, era stata determinata dal primo Giudice, con motivazione che la Corte ha ritenuto di condividere, in misura pari a 1 anno e 6 mesi di reclusione e a 300 euro di multa e, dunque, in misura inferiore al valore mediano della cornice edittale di tale delitto, pari a 1 anno e 9 mesi e a 330 euro. Inoltre, il risultato finale, cui si è pervenuti anche attraverso il riconoscimento dell’equivalenza tra aggravanti e attenuanti, è stato motivato attraverso il riferimento al disvalore sociale del fatto e alle modalità, ritenute spregiudicate, della condotta criminosa (ovvero mediante la forzatura della finestra posta al piano terra dell’edificio), nonché, quanto al profilo personologico, all’assenza di segni di resipiscenza da parte dell’imputato. Una motivazione, questa, tutt’altro che arbitraria o anche soltanto illogica, come tale non sindacabile in sede di legittimità.
Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
PER QUESTI MOTIVI
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in data 12 marzo 2025
Il Presidente