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Commisurazione della pena: la discrezionalità del giudice

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di una cittadina straniera condannata per inosservanza a un ordine di allontanamento. La ricorrente lamentava una pena sproporzionata. La Corte ha confermato la correttezza della decisione dei giudici di merito sulla commisurazione della pena, ritenendola adeguatamente motivata in base ai numerosi precedenti penali, alla gravità del reato e alla sfrontatezza della condotta, escludendo che si trattasse di argomenti riesaminabili in sede di legittimità.

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Pubblicato il 10 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Commisurazione della pena: i limiti alla discrezionalità del giudice

La determinazione della giusta punizione è uno dei compiti più delicati del giudice. L’ordinanza in esame offre un chiaro spaccato su come la Corte di Cassazione valuta le decisioni dei tribunali inferiori in materia di commisurazione della pena, specialmente quando l’imputato presenta numerosi precedenti penali. Approfondiamo come la discrezionalità del giudice viene bilanciata con l’obbligo di una motivazione logica e aderente ai fatti processuali.

I fatti del caso

Una cittadina straniera veniva condannata in primo grado e in appello alla pena di un anno di reclusione per aver violato la normativa sull’immigrazione, specificamente per non aver ottemperato a un ordine di allontanamento dal territorio nazionale (art. 13, c. 13, d.lgs. 286/1998).
La condannata ha presentato ricorso alla Corte di Cassazione, contestando la sentenza d’appello. L’unico motivo di ricorso si concentrava sulla pena inflitta, ritenuta sproporzionata e calcolata partendo da una pena base eccessivamente alta. In sostanza, la ricorrente proponeva una lettura alternativa degli elementi a disposizione dei giudici per ottenere una sanzione più mite.

La decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. Secondo gli Ermellini, le argomentazioni della ricorrente non erano idonee a essere valutate in sede di legittimità. La difesa, infatti, non contestava una violazione di legge o un vizio logico nella motivazione della sentenza, ma si limitava a proporre una diversa valutazione del merito dei fatti, attività preclusa alla Corte di Cassazione.

La Corte ha inoltre condannato la ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro alla Cassa delle ammende, come previsto in caso di inammissibilità del ricorso.

Le motivazioni sulla commisurazione della pena

Il cuore della decisione risiede nelle motivazioni con cui la Cassazione ha ritenuto corretta la sentenza impugnata. La motivazione della Corte d’appello è stata giudicata “congrua e rispettosa delle regole della logica e delle risultanze processuali”. I giudici di merito avevano già operato una comparazione tra le circostanze aggravanti e quelle attenuanti, ritenendole equivalenti. Questa valutazione è stata la base per negare la prevalenza delle attenuanti, richiesta dalla difesa.

La rilevanza dei precedenti penali

Un elemento decisivo per la commisurazione della pena al di sopra del minimo edittale è stato il riferimento ai numerosi precedenti penali della ricorrente. Questo fattore, unito alla “sfrontata violazione” dei provvedimenti dell’autorità di pubblica sicurezza, ha delineato un quadro di particolare gravità della condotta.

La gravità del fatto contestato

Oltre ai precedenti, i giudici hanno valorizzato la “concreta e notevole gravità del fatto”. La decisione di non rispettare un ordine legale, specialmente in un contesto normativo delicato come quello dell’immigrazione, è stata considerata un comportamento meritevole di una sanzione significativa. Pertanto, la scelta di una pena superiore al minimo è apparsa pienamente giustificata e immune da censure di legittimità.

Le conclusioni: cosa insegna questa ordinanza

L’ordinanza ribadisce un principio fondamentale del nostro sistema processuale: la Corte di Cassazione non è un terzo grado di giudizio nel merito. Non si possono riproporre ai giudici di legittimità argomentazioni che mirano a una nuova e diversa valutazione delle prove o della discrezionalità del giudice di merito, se questa è stata esercitata in modo logico e conforme alla legge. La commisurazione della pena rientra pienamente in questa discrezionalità, e può essere censurata solo se la motivazione è palesemente illogica, contraddittoria o basata su elementi non consentiti. Nel caso specifico, la presenza di precedenti penali e la gravità intrinseca del reato sono stati correttamente considerati elementi sufficienti a giustificare una pena superiore al minimo legale e a negare un trattamento sanzionatorio più favorevole.

Quando un ricorso contro la misura della pena viene considerato inammissibile?
Un ricorso è inammissibile quando, invece di denunciare vizi di legge o illogicità della motivazione, si limita a proporre argomenti di merito alternativi o generici, chiedendo alla Corte di Cassazione una nuova valutazione dei fatti, che è preclusa nel giudizio di legittimità.

Quali elementi può usare il giudice per la commisurazione della pena sopra il minimo?
Il giudice può basare la sua decisione su vari elementi, come i numerosi precedenti penali dell’imputato, la sfrontatezza della violazione delle norme e la concreta e notevole gravità del fatto contestato. Questi fattori giustificano una pena superiore al minimo edittale.

Il giudice può negare la prevalenza delle circostanze attenuanti sulle aggravanti?
Sì, il giudice può decidere di considerare le circostanze attenuanti equivalenti alle aggravanti, e non prevalenti, negando così una diminuzione della pena. Tale scelta deve essere motivata, come nel caso di specie, sulla base della gravità complessiva della condotta e dei precedenti penali del condannato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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