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Commisurazione della pena: la Cassazione chiarisce

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un imputato condannato per reati di droga, il quale lamentava una carenza di motivazione nella determinazione della pena. La Corte chiarisce che, per una pena inferiore alla media edittale, non è necessaria una motivazione rafforzata sulla commisurazione della pena, essendo sufficiente un richiamo al criterio di adeguatezza. L’appello è stato ritenuto dilatorio, con conseguente condanna alle spese e a una sanzione pecuniaria.

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Pubblicato il 1 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Commisurazione della pena: quando la motivazione del giudice è sufficiente?

La corretta commisurazione della pena rappresenta uno dei momenti più delicati del processo penale, in cui il giudice è chiamato a bilanciare la gravità del fatto con la personalità dell’imputato. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione offre importanti chiarimenti su quando la motivazione del giudice può essere considerata adeguata, anche se sintetica. Analizziamo insieme il caso e le conclusioni dei giudici supremi.

I Fatti di Causa

Il caso ha origine da una condanna per reati legati agli stupefacenti. In primo grado, l’imputato era stato condannato a quattro anni di reclusione e 6.000 euro di multa. La Corte d’Appello, in parziale riforma della sentenza, aveva escluso un’aggravante e ridotto la pena a due anni e otto mesi di reclusione e 4.000 euro di multa.

Non soddisfatto della riduzione, l’imputato ha presentato ricorso per cassazione. L’unico motivo di doglianza riguardava la presunta violazione dell’art. 133 del codice penale, sostenendo che la Corte d’Appello non avesse spiegato in modo adeguato il percorso logico seguito per determinare l’entità della sanzione, auspicando una pena ancora più mite.

L’analisi del ricorso e la Commisurazione della pena

Il cuore della questione sottoposta alla Corte di Cassazione riguarda l’obbligo di motivazione del giudice nella fase di commisurazione della pena. L’imputato lamentava, in sostanza, che i giudici di secondo grado non avessero dato conto in modo sufficientemente dettagliato delle ragioni che li avevano portati a quantificare la pena in quel preciso ammontare, anziché in una misura inferiore.

La difesa ha invocato la violazione dell’articolo 606, comma 1, lettera e), del codice di procedura penale, che sanziona la mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione. Secondo il ricorrente, la Corte territoriale avrebbe omesso di esplicitare il proprio ragionamento in relazione ai criteri stabiliti dall’articolo 133 del codice penale (gravità del reato e capacità a delinquere del reo).

Le Motivazioni della Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato, respingendo le argomentazioni della difesa. I giudici supremi hanno chiarito un principio fondamentale: l’obbligo di una motivazione rafforzata sulla commisurazione della pena non è assoluto.

Questo obbligo sorge soltanto quando la pena inflitta si discosta in modo significativo dal minimo edittale previsto dalla legge per quel reato. In altre parole, se il giudice decide di applicare una sanzione molto più severa del minimo, deve fornire una spiegazione particolarmente approfondita.

Al contrario, quando la pena irrogata si attesta su valori medi o, come nel caso di specie, addirittura al di sotto della media, è sufficiente che il giudice faccia riferimento al generico criterio di “adeguatezza” della pena. Questo richiamo, secondo la Corte, include implicitamente la valutazione di tutti gli elementi previsti dall’art. 133 c.p., senza la necessità di una loro analitica esposizione.

La Corte ha quindi ritenuto che la decisione dei giudici d’appello fosse adeguatamente motivata, avendo tenuto conto delle connotazioni fattuali e personali della vicenda. Il ricorso è stato giudicato inammissibile e, dato il suo palese carattere dilatorio (volto cioè a ritardare la conclusione del processo), l’imputato è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende.

Conclusioni

Questa ordinanza ribadisce un orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità. La decisione insegna che non ogni scelta sanzionatoria del giudice deve essere accompagnata da una motivazione chilometrica. L’obbligo di motivazione è graduato in base alla severità della pena applicata rispetto ai limiti fissati dalla legge. Per pene che si mantengono entro la “media edittale”, una motivazione sintetica che ne affermi l’adeguatezza è considerata sufficiente e legittima, rendendo vano un ricorso basato su una presunta carenza di motivazione in tal senso.

Quando è necessaria una motivazione dettagliata (o ‘rafforzata’) per la commisurazione della pena?
Una motivazione rafforzata è richiesta solo quando la pena inflitta dal giudice si discosta in modo significativo dal minimo previsto dalla legge per quel reato. In caso contrario, non è necessaria.

Cosa succede se un ricorso in Cassazione è giudicato ‘manifestamente infondato’?
Il ricorso viene dichiarato inammissibile. Il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e, se il ricorso appare avere un carattere puramente dilatorio, anche al versamento di una somma di denaro alla Cassa delle ammende.

È sufficiente un richiamo al ‘criterio di adeguatezza’ per motivare una pena sotto la media?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, quando la pena è irrogata al di sotto della media edittale, il richiamo al criterio di adeguatezza è sufficiente, in quanto si ritiene che esso contenga implicitamente la valutazione di tutti gli elementi di cui all’art. 133 del codice penale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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