Commisurazione della Pena: Quando la Decisione del Giudice è Insindacabile
La determinazione della giusta pena è uno dei compiti più delicati del giudice. Ma fino a che punto un imputato può contestare la sua decisione? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce sui limiti del sindacato di legittimità sulla commisurazione della pena, ribadendo il principio della discrezionalità del giudice di merito. Questo articolo analizza il caso e le sue importanti implicazioni pratiche.
I Fatti del Caso
Un individuo, condannato in primo grado e in appello per reati di falso (previsti dagli articoli 477 e 482 del codice penale), ha presentato ricorso alla Corte di Cassazione. La sentenza della Corte d’Appello di Bologna aveva confermato integralmente la decisione del primo giudice, ritenendo l’imputato responsabile del delitto contestato.
Il Motivo del Ricorso: La Commisurazione della Pena
L’unico motivo di doglianza sollevato dall’imputato riguardava il trattamento sanzionatorio. Il ricorrente lamentava un’erronea applicazione della legge penale e vizi di motivazione in merito alla quantificazione della pena inflitta. In sostanza, non contestava la sua colpevolezza, ma riteneva che la pena decisa dai giudici fosse ingiusta o sproporzionata.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. Questa decisione non entra nel merito della questione, ma stabilisce che il motivo del ricorso non poteva essere esaminato in quella sede. La Corte ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Le Motivazioni: la Discrezionalità del Giudice di Merito
La Cassazione ha basato la sua decisione su un principio consolidato nella giurisprudenza: la commisurazione della pena è un’attività che rientra nella sfera di discrezionalità del giudice di merito (cioè il giudice del Tribunale e della Corte d’Appello). Questo potere non è arbitrario, ma deve essere esercitato nel rispetto dei criteri guida stabiliti dagli articoli 132 e 133 del codice penale, che impongono al giudice di valutare la gravità del reato e la capacità a delinquere del colpevole.
Secondo la Corte, il ricorso in Cassazione non può trasformarsi in un terzo grado di giudizio sul merito della vicenda. È possibile contestare la determinazione della pena solo se la motivazione del giudice è manifestamente illogica, contraddittoria o del tutto assente. Nel caso di specie, i giudici di legittimità hanno invece ritenuto che la Corte d’Appello avesse adeguatamente giustificato la propria decisione. In particolare, la sentenza impugnata aveva spiegato in modo circostanziato le ragioni per cui non erano state concesse le attenuanti generiche, era stata riconosciuta la recidiva e la sanzione finale era stata considerata proporzionata.
Le Conclusioni: i Limiti al Sindacato di Legittimità
Questa ordinanza riafferma un concetto fondamentale del nostro sistema processuale: la Corte di Cassazione è un giudice di legittimità, non di merito. Il suo compito è assicurare la corretta applicazione della legge, non riesaminare i fatti o le valutazioni discrezionali dei giudici dei gradi precedenti. La decisione sulla commisurazione della pena, se sorretta da una motivazione logica e coerente con i criteri di legge, è definitiva e non può essere messa in discussione davanti alla Suprema Corte semplicemente perché l’imputato la ritiene troppo severa.
È possibile contestare in Cassazione la quantità della pena decisa dal giudice?
No, di norma non è possibile. La quantificazione della pena rientra nel potere discrezionale del giudice di merito. Il ricorso in Cassazione è ammesso solo se la motivazione del giudice è manifestamente illogica, contraddittoria o assente, non per un semplice disaccordo sulla severità della sanzione.
Cosa significa che un ricorso è ‘inammissibile’?
Significa che la Corte di Cassazione non può esaminare il merito della questione perché il ricorso non possiede i requisiti richiesti dalla legge. In questo caso, il motivo (la misura della pena) non è un argomento che la Cassazione può, in linea generale, riesaminare.
Quali criteri usa il giudice per decidere la pena?
Il giudice deve seguire i principi degli articoli 132 e 133 del codice penale, valutando la gravità del reato e la capacità a delinquere del colpevole. Deve inoltre considerare le circostanze aggravanti, come la recidiva, e quelle attenuanti, motivando adeguatamente il calcolo della pena finale.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 45110 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 45110 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 13/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato il 01/03/1977
avverso la sentenza del 20/02/2024 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Rilevato che NOME COGNOME ricorre avverso la sentenza della Corte di Appello di Bologna, che ha confermato la sentenza di primo grado, con la quale l’imputato era stato ritenuto responsabile del delitto di cui agli artt. 482, 477 cod. pen.;
Considerato che il primo ed unico motivo di ricorso, con il quale il ricorrente denunzia inosservanza o erronea applicazione della legge penale e vizi di motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio, lamentando la commisurazione della pena operata dal giudice di merito, non è consentito in sede di legittimità, perché, secondo l’indirizzo consolidato della giurisprudenza, la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti e per fissare la pena base rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen.; che nella specie l’onere argomentativo del giudice è adeguatamente assolto attraverso un congruo riferimento agli elementi ritenuti decisivi o rilevanti (si veda, in particolare pag. 4 della sentenza impugnata, in cui la Corte ha ritenuto condivisibile il calcolo di pena operato dal giudice di prime cure con enunciati circostanziati a riguardo dell’impossibilità di concessione delle attenuanti generiche, della sussistenza della recidiva e della proporzionalità della sanzione inflitta);
Ritenuto, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende;
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso 13 novembre 2024
Il conere estensore
Il Presidente