Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 34509 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 34509 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 30/09/2025
SENTENZA
Sul ricorso proposto da COGNOME NOME, nato a San Giovanni Rotondo il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 12/03/2024 emessa dalla Corte d’appello di Bari visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Il ricorrente impugna la sentenza con la quale la Corte di appello di Bari ne confermava la condanna per il reato di cui all’art. 336 cod. pen.
Il reato sarebbe stato commesso in occasione di una violenta protesta, per motivi lavorativi e sindacali, insorta nell’ambito dei rapporti tra la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE, posta in amministrazione straordinaria, procedura nel cui ambito era stato nominato quale commissorio straordinario NOME COGNOME.
I fatti si sono verificati a seguito RAGIONE_SOCIALE decisione assunta dal commissario
straordinario di risolvere il contratto di appalto tra l’ente amministrato e la RAGIONE_SOCIALE, di cui il COGNOME era dipendente, il che avrebbe inevitabilmente condotto a licenziamenti nei confronti dei dipendenti di quest’ultima società.
Stando alla ricostruzione operata dai giudici di merito, COGNOME – anche approfittando RAGIONE_SOCIALE qualità di sindacalista – si recava presso gli uffici RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE unitamente ad altri lavorativi e, ivi giunto, poneva in essere condotte di minaccia e violenza ai danni di COGNOME, al fine di costringerlo a revocare la risoluzione del contratto di appalto. In particolare, colpiva al volto COGNOME con una testata, minacciandolo di ulteriori gravi conseguenze e, per sincerarsi che il commissario straordinario desse seguito alla richiesta di revocare la risoluzione del contratto di appalto, contattava telefonicamente il titolare RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE per verificare la ricezione del fax inviato dal predetto commissario.
In tal modo, il commissario straordinario veniva costretto a compiere un atto ritenuto contrario ai propri doveri d’ufficio, atteso che la risoluzione del contratto di appalto si inseriva nella finalità di risanamento dell’ente in amministrazione straordinaria.
Avverso tale pronuncia il ricorrente ha proposto due motivi di ricorso.
2.1. Il primo motivo si articola in una pluralità di censure, articolate in relazione alla violazione di legge e al vizio di motivazione, che richiedono una distinta sintesi.
2.1.2. Seguendo l’ordine logico delle questioni da esaminare, deve preliminarmente richiamarsi la contestazione RAGIONE_SOCIALE qualifica di pubblico ufficiale in capo al commissario straordinario.
La difesa del ricorrente ha evidenziato che, come già riconosciuto dalla giurisprudenza civile (Sez.U, n. 21433 del 6/10/2020) il commissario straordinario, allorchè esercita il potere riconosciutogli dall’art. 50 d.lgs. n. 270 de 1999, pone in essere un atto di natura privatistica.
Se ne vuol far discendere che, con specifico riferimento all’atto oggetto RAGIONE_SOCIALE vicenda in esame, la persona offesa non rivestiva la qualifica di pubblico ufficiale, il che farebbe venir meno la configurabilità del reato di cui all’art. 336 cod. pen.
2.1.2. Il ricorrente contesta la ritenuta sussistenza del dolo specifico richiesto dall’art. 336 cod. pen., in base al quale la condotta illecita deve essere posta in essere al fine di costringere il pubblico agente al compimento di un atto contrario ai doveri d’ufficio, ovvero all’omissione di un atto dovuto.
La difesa giunge a tale conclusione dopo aver analiticamente esposto le vicende che avevano connotato la procedura di amministrazione straordinaria RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE.
In particolare, si evidenzia come il commissario straordinario aveva
inizialmente (nel 2014) rinegoziato il contratto con la RAGIONE_SOCIALE riducendone la durata a 24 mesi; al contempo, la RAGIONE_SOCIALE, nel corso dell’incontro tenuto con i rappresentati sindacali (nel gennaio 2016), garantiva che il commissario straordinario aveva dichiarato che non erano previste ulteriori riduzioni dell’attività lavorativa.
Sulla base di tali dati di conoscenza, la successiva decisione con la quale il commissario straordinario decideva di addivenire alla risoluzione anticipata del contratto, veniva percepita da COGNOME come del tutto illegittima e, quindi, anche il tentativo di ottenerne la revoca, sia pur con mezzi non consoni, non poteva ritenersi sorretta dal dolo specifico richiesto dalla norma incriminatrice.
NOME, al pari degli altri manifestanti, aveva agito per tutelare il mantenimento del posto di lavoro e non già al fine di ottenere da parte del commissario straordinario il compimento di un atto contrario ai suoi doveri d’ufficio.
Del resto, che COGNOME avesse agito sulla base del convincimento RAGIONE_SOCIALE illegittimità RAGIONE_SOCIALE risoluzione e, quindi, RAGIONE_SOCIALE spettanza RAGIONE_SOCIALE sua revoca, è un dato riconosciuto dalla stessa sentenza di appello, lì dove ha dichiarato non doversi procedere, per difetto di querela, in relazione al reato di esercizio arbitrario, ritenuto a seguito RAGIONE_SOCIALE derubricazione dell’originaria contestazione di estorsione.
2.1.3. Il ricorrente contesta anche l’esclusione RAGIONE_SOCIALE scriminante di cui all’art. 393-bis cod. pen., a fronte di una condotta del commissario straordinario adottata in spregio al rispetto degli accordi in precedenza raggiunti.
La risoluzione dei contratti era stata percepita come del tutto arbitraria, posto che fino al gennaio del 2016 il commissario aveva ritenuto conveniente il mantenimento del rapporto con la RAGIONE_SOCIALE e, in ogni caso, le precedenti decisioni si erano tutte inserite in una logica di conservazione e salvaguardia dei livelli occupazionali, finalità del tutto frustate dall’unilaterale e improvvis decisione di risolvere il contratto di appalto.
2.1.4. Valorizzando tali aspetti, il ricorrente censura l’omesso riconoscimento dell’attenuante RAGIONE_SOCIALE provocazione.
2.2. Con il secondo motivo di ricorso, si deduce la violazione dell’art. 133 e il vizio di motivazione relativamente al trattamento sanzionatorio, anche in considerazione del fatto che la persona offesa aveva rimesso la querela e revocato la costituzione di parte civile.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato.
La questione da affrontare in via preliminare concerne la sussistenza RAGIONE_SOCIALE qualifica di pubblico ufficiale in capo al commissario straordinario, trattandosi di requisito che, ove non sussistente, precluderebbe in radice la configurabilità del reato di cui all’art. 336 cod. pen.
In base all’art.15 del d.lgs. 8 luglio 1999, n.270 – che disciplina l’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza – il commissario giudiziale è, per quanto attiene all’esercizio delle sue funzioni, pubblico ufficiale.
Il successivo art. 40, disciplinando i poteri del commissario straordinario, precisa ulteriormente che «Il commissario straordinario ha la gestione dell’impresa e l’amministrazione dei beni dell’imprenditore insolvente e dei soci illimitatamente responsabili ammessi alla procedura, fermo, per questi ultimi, quanto previsto dall’articolo 148, secondo comma, RAGIONE_SOCIALE legge fallimentare. Per quanto attiene all’esercizio delle sue funzioni, egli è pubblico ufficiale
Sulla base di tali previsioni normative, la Corte di appello ha ritenuto sussistente il requisito soggettivo richiesto dall’art. 336 cod. pen., optando per il riconoscimento RAGIONE_SOCIALE qualifica a prescindere dal tipo di attività che, nell’ambito RAGIONE_SOCIALE complessa procedura di amministrazione straordinaria, il commissario è tenuto a svolgere.
2.1. L’attribuzione a fini penalistici RAGIONE_SOCIALE qualifica di pubblico ufficiale richie un ulteriore approfondimento, dovendosi premettere che, in base al disposto degli artt. 357 e 358 cod. pen., la qualifica soggettiva deriva non già dalla mera formale attribuzione, quanto dell’effettivo esercizio – riferito allo specifico atto compiuto di una pubblica funzione o in pubblico servizio.
Valorizzando tale profilo, deve verificarsi se, nell’esercizio del potere di risoluzione espressamente disciplinato dall’art. 50 del d.lgs. n. 270 del 1999, il commissario straordinario eserciti un potere di matrice pubblicistica e, quindi, rivesta la corrispondente funzione, ovvero ponga in essere un potere contrattuale riconosciutogli nell’ambito RAGIONE_SOCIALE gestione dell’ente ammesso all’amministrazione straordinaria.
In quest’ultimo senso si sono espresse le Sezioni unite civili, affermando che la facoltà, attribuita dall’art.50 del d.lgs. n. 270 del 1999 al commissario straordinario, di sciogliersi dai contratti ancora inseguiti o non interamente eseguiti da entrambe le parti alla data di apertura RAGIONE_SOCIALE procedura, non costituisce manifestazione di un potere autoritativo o di supremazia pubblicistica, ma espressione di un diritto potestativo di natura privatistica, coessenziale agli strumenti di gestione ed indirizzo dei rapporti patrimoniali dell’imprenditore insolvente in funzione RAGIONE_SOCIALE risoluzione RAGIONE_SOCIALE crisi, che trova il suo fondamento
generale nel disposto dell’art.1372 c.c., a norma del quale lo scioglimento del contratto può conseguire, oltre che al mutuo consenso delle parti, anche alle “cause ammesse dalla legge”, tra cui rientrano quelle riconducibili alla regolamentazione legale dei rapporti giuridici pendenti nelle procedure di insolvenza; pertanto, la controversia scaturente dall’impugnazione, ad opera del contraente “in bonis”, dell’atto con cui il commissario straordinario ha esercitato la predetta facoltà, è devoluta alla giurisdizione del giudice ordinario, integrando esso, per un verso, una manifestazione (recettizia) di volontà prettamente negoziale e non provvedimentale e, per l’altro, un atto diretto ad incidere sulle posizioni di diritto soggettivo derivanti dal rapporto contrattuale in capo all’impugnante (Cass.civ., Sez.U, n. 21433 del 6/10/2020, Rv. 659038).
2.2. Ritiene la Corte che il principio espresso dalle Sezioni unite in sede civile non sia tout court applicabile anche in ambito penale e al diverso fine di stabilire se e in che limiti il commissario straordinario abbia la qualifica di pubblico ufficiale, peraltro espressamente riconosciutagli dall’art.15 del d.lgs. 8 luglio 1999, n.270.
La citata sentenza delle Sezioni unite civili era chiamata ad occuparsi del riparto di giurisdizione in ordine alla spettanza alla giurisdizione amministrativa, piuttosto che a quella ordinaria, RAGIONE_SOCIALE controversia conseguente all’avvenuta risoluzione di un contratto ai sensi dell’ad 50 d.gls. n. 270 del 1999.
In tal caso, la Corte ha correttamente fatto leva sul profilo civilistico relativo alla natura dell’atto di risoluzione unilaterale, riconducendolo nell’ambito di una ipotesi, prevista per legge, di scioglimento del contratto.
2.3. Ben diversa è, invece, la questione devoluta all’attenzione del giudice penale, lì dove non si controverte in ordine agli effetti e alla legittimità dell risoluzione del contratto, quanto sulla condotta volta al compimento di un atto rientrante nel potere di gestione attribuito al commissario straordinario e che coinvolge la scelta in ordine all’opportunità o meno di mantenere in vita un determinato contratto.
La condotta ascritta all’imputato, infatti, concerne la violenza e le minacce finalizzate ad ottenere la revoca RAGIONE_SOCIALE risoluzione unilaterale del contratto tra l’ente in amministrazione straordinaria e la società da cui dipendeva il ricorrente. Si tratta di una condotta, pertanto, che esula dalla dinamica contrattuale e si incentra esclusivamente sul condizionamento delle scelte gestionali in capo al commissario straordinario.
Rispetto a tale ambito e, quindi, alla scelta se mantenere o meno in vita un determinato rapporto contrattuale, il commissario straordinario doveva ritenersi pienamente libero di agire, ottemperando esclusivamente ai doveri funzionali inerenti la propria carica.
2.4. Né vale l’obiezione secondo cui il commissario straordinario,
nell’espletamento delle proprie funzioni, agirebbe iure privatorum e mediante gli strumenti propri del diritto privato.
Ciò che occorre distinguere è, infatti, il momento prettamente gestionale e attuativo, dalla fase decisionale relativa alle scelte che il commissario straordinario ritenga maggiormente utili per l’adempimento dei compiti che gli sono attribuiti.
Quanto detto comporta che se da un lato è innegabile che l’attività contrattuale (ivi compresa l’esercizio del potere unilaterale di risoluzione) ha natura privatistica, non coinvolgendo l’esercizio di poteri pubblicistici, deve al contempo riconoscersi che l’attività decisionale in merito alle modalità mediante le quali perseguire le finalità pubblicistiche previste dal d.lgs. n.270 del 1999 (conservazione dell’impresa in funzione del mantenimento dei livelli occupazionali e di attività ed insediamenti produttivi reputati di interesse generale) ha una connotazione che travalica la mera sfera privatistica e coinvolge l’esercizio RAGIONE_SOCIALE pubblica funzione attribuita ex lege al commissario.
2.5. Applicando tali principi al caso di specie, deve concludersi nel ritenere che l’imputato, mediante la condotta violenta e minacciosa, abbia inciso non già sulla sfera di azione di tipo privatistico esercitata dal commissario straordinario, bensì ha leso la sfera decisionale che precede il compimento di atti di diritto privato, in quanto coinvolge direttamente quelle valutazioni di utilità, rispetto al fine pubblicistico perseguito, di competenza del commissario straordinario.
La condotta commessa, in buona sostanza, era finalizzata a influenzare la sfera decisionale e non già il mero rapporto contrattuale, del resto, è emblematico di ciò il fatto che l’imputato era un soggetto sostanzialmente estraneo alla vicenda contrattuale che concerneva la risoluzione di un rapporto intercorrente inter alios e rispetto alla cui sorte il predetto aveva solo un interesse di fatto (legato alla prosecuzione del rapporto di lavoro).
Concludendo sul punto, deve affermarsi che il commissario governativo nominato nella procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi riveste la qualità di pubblico ufficiale in relazione a tutte le decisioni attinen al perseguimento delle finalità dettate dal d.lgs. n. 270 del 1999, salvo restando che la successiva attività, in quanto meramente attuativa, può estrinsecarsi in rapporti regolati dalla disciplina privatistica (in generale, sulla qualifica soggettiva, Sez.6, n. 38986 del 24/6/2010, COGNOME, Rv. 248592; Sez.5, n. 20076 del 4/3/2003, Rv.224946; in tema di peculato, Sez.6, n. 1865 del 29/9/2021, Samnnartano, Rv.280343).
I restanti motivi di ricorso sono manifestamente infondati, in quanto ripropongono questioni già esaustivamente risolte dai giudici di merito.
In particolare, non ha fondamento la pretesa di vedersi riconoscere l’esimente
di cui all’art. 393-bis cod. pen., né l’attenuante RAGIONE_SOCIALE provocazione.
Correttamente la Corte di appello ha evidenziato come la persona offesa ha esercitato un potere attribuitogli dalla legge, rispetto al cui esercizio si sarebbe potuto al più discutere RAGIONE_SOCIALE legittimità, dovendosi in ogni caso escludere che l’atto posto in essere – e cioè la risoluzione del contratto in corso di esecuzione con la RAGIONE_SOCIALE – travalicasse i limiti dell’agire del commissario al punto da trasformarlo in atto arbitrario.
Per le medesime ragioni è stata esclusa anche l’attenuante RAGIONE_SOCIALE provocazione, essendosi motivatamente ritenuto che l’atto posto in essere dalla persona offesa, essendo carente del requisito dell’ingiustizia, non poteva in alcun modo attenuare l’offensività RAGIONE_SOCIALE condotta realizzata dal ricorrente.
Infine, la doglianza in ordine alla quantificazione RAGIONE_SOCIALE pena è manifestamente infondata, avendo i giudici di merito dato atto RAGIONE_SOCIALE particolare offensività RAGIONE_SOCIALE condotta realizzata, ciononostante riconoscendo anche le attenuanti generiche e, in tal modo, giungendo ad una quantificazione RAGIONE_SOCIALE pena che non esubera dalla discrezionalità attribuita al giudicante.
Infine, il fatto che la persona offesa abbia rimesso la querela è una condotta sostanzialmente indifferente rispetto alla quantificazione RAGIONE_SOCIALE pena, in assenza RAGIONE_SOCIALE prova di una qualche forma di riparazione del danno che possa aver dato motivo alla suddetta remissione.
Alla luce di tali considerazioni, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al paganneríto delle spese processuali.
Così deciso, 30/09/2025