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Commissario straordinario pubblico ufficiale: la Cassazione

Un sindacalista è stato condannato per violenza nei confronti di un commissario straordinario per costringerlo a revocare la risoluzione di un contratto. La Cassazione ha confermato la condanna, specificando che, sebbene la risoluzione del contratto sia un atto di natura privatistica, la fase decisionale che la precede rientra nella funzione pubblica. Pertanto, ai fini del reato di cui all’art. 336 c.p., il commissario straordinario è considerato pubblico ufficiale quando la condotta illecita mira a influenzare le sue scelte gestionali dettate da finalità pubblicistiche.

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Pubblicato il 28 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Commissario Straordinario Pubblico Ufficiale: la Cassazione Chiarisce

La Corte di Cassazione, con la sentenza in esame, affronta un’importante questione giuridica: quando un commissario straordinario pubblico ufficiale riveste tale qualifica ai fini del diritto penale? La pronuncia analizza il caso di un sindacalista condannato per violenza e minaccia nei confronti del commissario di un’azienda in amministrazione straordinaria, al fine di costringerlo a revocare la risoluzione di un contratto di appalto. La decisione offre una distinzione fondamentale tra la natura privatistica dell’atto finale e la natura pubblicistica della funzione decisionale che lo precede.

I Fatti del Caso: Protesta e Violenza

La vicenda trae origine da una violenta protesta sindacale scaturita dalla decisione di un commissario straordinario di risolvere un contratto di appalto tra l’ente amministrato e una società di servizi. Tale risoluzione avrebbe comportato il licenziamento dei dipendenti della società appaltatrice. Durante la protesta, un lavoratore e rappresentante sindacale si recava presso gli uffici dell’ente e, secondo la ricostruzione dei giudici, colpiva al volto il commissario con una testata e lo minacciava di ulteriori conseguenze per costringerlo a revocare la decisione.

La Corte d’Appello aveva confermato la condanna per il reato di cui all’art. 336 del codice penale (violenza o minaccia a un pubblico ufficiale). L’imputato ha proposto ricorso in Cassazione, contestando principalmente la qualifica di pubblico ufficiale del commissario in relazione all’atto specifico (la risoluzione del contratto) e la sussistenza del dolo specifico.

La Questione Giuridica: Il Commissario Straordinario è un Pubblico Ufficiale?

Il fulcro del ricorso si basava su un’argomentazione precisa: la risoluzione di un contratto è un atto di natura puramente privatistica. La difesa, richiamando una pronuncia delle Sezioni Unite Civili (n. 21433/2020), sosteneva che, nell’esercitare tale potere, il commissario non agisce con poteri autoritativi tipici della pubblica amministrazione, ma come un qualsiasi soggetto privato. Di conseguenza, non potrebbe essere considerato un pubblico ufficiale, facendo così venir meno un presupposto essenziale del reato contestato.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, ritenendolo infondato e fornendo un’interpretazione chiara sulla qualifica del commissario straordinario pubblico ufficiale.

La Distinzione Cruciale tra Fase Decisionale e Fase Attuativa

Il punto centrale della sentenza è la distinzione tra il momento gestionale-decisionale e quello meramente attuativo. La Corte riconosce che l’atto finale di risoluzione del contratto rientra nella dinamica privatistica. Tuttavia, la violenza e la minaccia dell’imputato non erano dirette contro l’atto in sé, ma contro la sfera decisionale del commissario.

L’imputato, infatti, mirava a influenzare la scelta gestionale del commissario, una scelta che precede e determina l’atto contrattuale. Questa fase decisionale, secondo la Corte, è intrinsecamente legata alle finalità pubblicistiche che la legge (D.Lgs. n. 270/1999) affida al commissario, come la conservazione dell’impresa e la salvaguardia dei livelli occupazionali.

L’analisi della qualifica di commissario straordinario pubblico ufficiale

La Corte afferma che, sebbene l’attività successiva possa concretizzarsi in atti di diritto privato, le decisioni che portano a tali atti sono espressione della funzione pubblica attribuita ex lege al commissario. La condotta dell’imputato ha leso proprio questa sfera decisionale, interferendo con le valutazioni di utilità che il commissario doveva compiere nell’interesse pubblico. Pertanto, in questo contesto, il commissario riveste a tutti gli effetti la qualifica di pubblico ufficiale.

Rigetto delle Altre Censure Difensive

La Cassazione ha respinto anche le altre argomentazioni difensive:
* Dolo specifico: La Corte ha ritenuto sussistente l’intento di costringere il commissario a compiere un atto contrario ai suoi doveri d’ufficio (la revoca della risoluzione), essendo la risoluzione stessa parte del piano di risanamento.
* Scriminante e provocazione: Sono state escluse sia la reazione ad un atto arbitrario (art. 393-bis c.p.) sia l’attenuante della provocazione, poiché il commissario ha esercitato un potere legittimo conferitogli dalla legge, non un atto ingiusto o arbitrario.
* Trattamento sanzionatorio: La remissione della querela da parte della persona offesa è stata considerata irrilevante ai fini della determinazione della pena, in assenza di una prova di effettiva riparazione del danno.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano su un’interpretazione funzionale e non meramente formale della nozione di pubblico ufficiale. Non è la natura dell’atto finale (privatistico o pubblicistico) a determinare la qualifica, ma la funzione che si sta esercitando nel momento in cui la condotta illecita viene posta in essere. La violenza non era volta a contestare una clausola contrattuale, ma a coartare la volontà del gestore di un’amministrazione pubblica, impedendogli di perseguire le finalità di interesse generale che la legge gli impone. La scelta di mantenere o risolvere un contratto, in questo contesto, non è una mera scelta di convenienza privata, ma una decisione strategica per il risanamento dell’ente, e come tale rientra a pieno titolo nell’esercizio della funzione pubblica.

Le Conclusioni

In conclusione, la sentenza stabilisce un principio di diritto importante: il commissario governativo nominato in una procedura di amministrazione straordinaria riveste la qualità di commissario straordinario pubblico ufficiale in relazione a tutte le decisioni strategiche e gestionali volte a perseguire le finalità pubblicistiche previste dalla legge, anche quando queste decisioni si traducono in atti di natura privatistica. La tutela penale rafforzata prevista dall’art. 336 c.p. si applica quindi per proteggere non solo l’atto formale, ma anche e soprattutto l’autonomia e l’integrità del processo decisionale che persegue un interesse pubblico.

Il commissario straordinario di una grande impresa in crisi è sempre considerato un pubblico ufficiale?
Non sempre. Secondo la sentenza, egli è pubblico ufficiale quando la condotta illecita di terzi mira a influenzare la sua sfera decisionale legata alle finalità pubblicistiche della procedura (es. risanamento aziendale), anche se l’atto finale che ne deriva è di natura privatistica come la risoluzione di un contratto.

Perché la violenza contro un commissario straordinario che risolve un contratto privato è un reato contro la pubblica amministrazione?
Perché la violenza non era diretta all’atto privato in sé, ma alla decisione che lo ha generato. Tale decisione è parte integrante della funzione pubblica del commissario, finalizzata al perseguimento di interessi generali. La condotta illecita ha quindi leso l’autonomia di questa funzione pubblica.

La convinzione di subire un’ingiustizia, come la perdita del posto di lavoro, giustifica una reazione violenta contro il commissario straordinario?
No. La Corte ha escluso l’applicazione della scriminante della reazione ad un atto arbitrario e dell’attenuante della provocazione, poiché il commissario stava esercitando un potere attribuitogli dalla legge. La legittimità o meno del suo operato può essere discussa nelle sedi appropriate, ma non giustifica l’uso della violenza.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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