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Commissariamento giudiziale: quando si può annullare?

Una società del settore energetico, sottoposta a commissariamento giudiziale per presunte truffe su contributi pubblici, ottiene l’annullamento della misura. Il Tribunale del riesame, con decisione confermata dalla Cassazione, ha ritenuto non più attuali le esigenze cautelari. Fattori decisivi sono stati il cambio totale del management, l’adozione di nuovi modelli organizzativi e la cessazione del rapporto contrattuale con l’ente erogatore, rendendo impossibile la reiterazione del reato.

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Pubblicato il 17 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Commissariamento Giudiziale: Quando Decade il Pericolo di Recidiva?

Il commissariamento giudiziale è una delle misure cautelari più incisive previste dal D.Lgs. 231/2001 a carico degli enti. Ma cosa succede se, dopo l’applicazione della misura, la società adotta una serie di correttivi tali da eliminare il rischio di reiterazione del reato? Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 9921 del 2025, offre un’analisi dettagliata sui presupposti per l’annullamento di tale misura, sottolineando l’importanza di valutare il contesto aziendale attuale e non solo i fatti passati.

I Fatti del Caso: Accuse di Truffa Aggravata e Associazione a Delinquere

Una società operante nel settore energetico veniva sottoposta a commissariamento giudiziale dal G.I.P. su richiesta della Procura. Le accuse erano gravi: violazioni amministrative legate ai reati di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche (art. 640-bis c.p.) e associazione per delinquere (art. 416 c.p.).

Secondo l’accusa, i vertici aziendali, in concorso con soggetti esterni, avrebbero attuato artifizi e raggiri per ingannare l’ente preposto all’erogazione di contributi pubblici (il Gestore dei Servizi Energetici), ottenendo indebitamente un incentivo economico per un valore di oltre 6,8 milioni di euro. L’illecito si basava sull’utilizzo di materiale legnoso non conforme ai requisiti di ammissibilità. Inoltre, veniva contestato un vincolo associativo stabile finalizzato a commettere una serie indeterminata di reati, tra cui truffe e violazioni tributarie, attraverso l’uso di fatture per operazioni inesistenti.

La Decisione del Tribunale del Riesame e l’Annullamento del Commissariamento Giudiziale

La società proponeva appello cautelare e il Tribunale di Ravenna, in funzione di riesame, accoglieva l’istanza, annullando l’ordinanza del G.I.P. La motivazione del Tribunale si fondava su un punto cruciale: il venir meno delle esigenze cautelari.

Il Collegio evidenziava come il contesto aziendale fosse radicalmente cambiato rispetto al momento della commissione dei fatti. In particolare, il Tribunale sottolineava:
1. La caducazione della convenzione con l’ente erogatore, che rendeva di fatto impossibile la reiterazione delle specifiche condotte fraudolente.
2. Il completo azzeramento dell’amministrazione coinvolta nei fatti, con la nomina di un amministratore unico e una discontinuità netta rispetto alla gestione precedente.
3. L’elaborazione di nuovi modelli organizzativi generali, volti a strutturare in modo più efficace i compiti e le responsabilità interne per prevenire futuri illeciti.

In sostanza, il Tribunale riteneva che il pericolo concreto e attuale di recidiva non sussistesse più.

Il Ricorso in Cassazione e le Doglianze della Procura

Il Procuratore della Repubblica ricorreva per Cassazione, lamentando due principali vizi della decisione. In primo luogo, accusava il Tribunale di parzialità per non aver considerato l’apporto conoscitivo del commissario giudiziale sui nuovi modelli organizzativi, ritenendo il giudizio di idoneità formulato dal Tribunale privo di giustificazione. In secondo luogo, sosteneva che il Tribunale avesse erroneamente collegato la cessazione del pericolo di recidiva solo alla caducazione della convenzione, trascurando la contestazione di associazione a delinquere, che implicava un programma criminoso più ampio e non limitato a quella specifica truffa.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso del Procuratore inammissibile, confermando la decisione del Tribunale del riesame. La Corte ha chiarito diversi principi fondamentali in materia di misure cautelari verso gli enti.

In primo luogo, ha ribadito che il giudizio di appello cautelare (ex art. 322-bis c.p.p.) non prevede poteri istruttori per il Tribunale. Quest’ultimo deve decidere sulla base degli atti già acquisiti, senza poter svolgere nuove indagini, come l’audizione del commissario. Tale attività sarebbe incompatibile con la speditezza del procedimento.

Nel merito, la Cassazione ha ritenuto l’argomentazione del Tribunale del riesame logica e completa. Ha specificato che il G.I.P. stesso aveva già ridimensionato l’accusa, escludendo il reato associativo e inquadrando i fatti come una serie di condotte illecite con un’unica finalità economica, destinata a esaurirsi con lo sfruttamento di quel meccanismo di incentivazione. Pertanto, la cessazione della convenzione con l’ente erogatore rappresentava effettivamente la fine della possibilità di commettere reati analoghi.

La Corte ha valorizzato l’analisi complessiva del Tribunale, che non si è limitato alla sola caducazione della convenzione, ma ha considerato tutti gli elementi di discontinuità: i nuovi modelli organizzativi e, soprattutto, il completo azzeramento della vecchia amministrazione. Citando un precedente (sent. n. 32626/2006), la Corte ha confermato che la sostituzione o l’estromissione degli amministratori coinvolti è un sintomo decisivo del fatto che l’ente ha intrapreso un percorso virtuoso, orientato alla prevenzione dei reati. Di conseguenza, il pericolo di recidiva non era più attuale.

Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa pronuncia rafforza un principio di fondamentale importanza: la valutazione delle esigenze cautelari deve essere sempre ancorata all’attualità. Non è sufficiente basarsi sulla gravità dei fatti passati se la situazione aziendale presente dimostra un cambiamento radicale e una concreta volontà di porre rimedio alle falle organizzative che hanno permesso il reato. Per le aziende, ciò significa che l’adozione post-fatto di efficaci modelli organizzativi e, soprattutto, un netto taglio con la gestione precedente, possono essere elementi determinanti per evitare o revocare misure cautelari invasive come il commissariamento giudiziale. La sentenza sottolinea che il diritto non punisce per il solo fatto commesso, ma interviene con misure preventive solo quando esiste un pericolo concreto e attuale che merita di essere neutralizzato.

Perché è stata annullata la misura del commissariamento giudiziale nei confronti della società?
La misura è stata annullata perché il Tribunale del riesame, con decisione confermata dalla Cassazione, ha ritenuto non più sussistente il pericolo concreto e attuale di reiterazione del reato. I fattori decisivi sono stati la caducazione della convenzione con l’ente pubblico che erogava i fondi, il completo azzeramento dell’amministrazione coinvolta e l’adozione di nuovi modelli organizzativi da parte della società.

Il Tribunale dell’appello cautelare può sentire il commissario giudiziale per valutare i nuovi modelli organizzativi?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che il giudizio di appello cautelare (ex art. 322-bis c.p.p.) è privo di poteri istruttori. Il Tribunale deve decidere basandosi sulle risultanze già acquisite nel procedimento principale, senza poter svolgere attività istruttorie autonome come l’audizione di testimoni o consulenti, inclusi i commissari giudiziali.

Che peso ha il cambiamento del management di una società ai fini della valutazione delle esigenze cautelari?
Ha un peso decisivo. La Corte, richiamando suoi precedenti, afferma che la sostituzione o l’estromissione degli amministratori coinvolti nei fatti illeciti può portare a escludere la sussistenza del ‘periculum’. Questo cambiamento è considerato un sintomo importante del fatto che l’ente ha iniziato a muoversi verso un diverso tipo di organizzazione, orientata alla prevenzione dei reati, facendo così venir meno l’attualità del pericolo di recidiva.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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