Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 28186 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 28186 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 26/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato il 09/11/1978
avverso la sentenza del 04/12/2024 della CORTE APPELLO di CALTANISSETTA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
sentite le conclusioni del PG NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
udito il difensore del ricorrente, avvocato NOME COGNOME che insiste per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Caltanissetta ha confermato la decisione del Tribunale di Gela, che ha dichiarato NOME LU colpevole del reato di cui all’art. 474 comma 2 cod. pen., perché , quale legale rappresentante della società RAGIONE_SOCIALE esercente l’attività di grandi magazzini, deteneva , ai fini della vendita, o comunque poneva in vendita, oggetti carnascialeschi recanti marchi di fabbrica e segni
distintivi contraffatti relativamente a vestiti e maschere di Batman e Superman, maschere di Hulk ed altri personaggi di fantasia.
Con il ricorso in esame, il difensore dell’imputato, avvocato NOME COGNOME svolge tre motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la decisione.
2.1. Con il primo, denuncia violazione degli artt. 506 e 178 cod proc. pen. dolendosi della decisione con la quale il Tribunale di Gela, dopo avere disposto, all ‘ udienza del 26/09/2022, su richiesta del pubblico ministero, la citazione ex art. 507 cod. proc. pen., del teste NOME COGNOME che avrebbe dovuto riferire sul contenuto delle operazioni effettuate sulle res in sequestro e sulle conclusioni rassegnate in ordine alla contraffazione della merce, ritenendolo indispensabile ai fini della decisione, alla successiva udienza del 22/04/2024, stante la reiterata assenza del teste, dopo avere acquisito il documento a sua firma prodotto dal P.M., ha revocato immotivatamente la precedente ordinanza. In tal modo, la Corte territoriale -che pure ha formulato un giudizio di autosufficienza del materiale probatorio, prescindendo dal documento a firma del teste mai escusso – ha, nondimeno, trascurato una testimonianza dalla quale sarebbero potute emergere circostanze favorevoli al ricorrente , sulle quali l’appellante avrebbe potuto interloquire, in violazione del principio del contraddittorio.
Deduce, ancora, il travisamento dell’unica prova dichiarativa assunta nel dibattimento, quella resa dal teste di p.g. COGNOME il quale ha riferito di un giudizio del tutto probabilistico e congetturale, in assenza di accertamenti effettivi, in merito alla contraffazione delle res sequestrate; inoltre, la Corte di appello avrebbe evocato un precedente giurisprudenziale inconferente.
2.2. Con il secondo motivo, è denunciata erronea applicazione dell’art. 474 cod. pen. e correlati vizi della motivazione. Si sostiene che la Corte di appello non avrebbe raggiunto la prova della contraffazione, non essendo stato accertato che le immagini dei personaggi di fantasia riprodotti e/o raffigurati sulle merci in questione siano o meno oggetto di marchio, anche figurativo, non potendo sic et simpliciter assimilarsi la contraffazione di un marchio regolarmente registrato alla riproduzione di una figura o di un personaggio di fantasia, salvo che ricorra l’ipotesi del c.d. marchio forte, che, per la sua notorietà, non richiede la registrazione ai fini della sua tutela, punto sul quale, nondimeno, la Corte territoriale non ha speso argomenti.
2.3.Con il terzo motivo è denunciata erronea applicazione degli artt. 125bis cod. proc. pen. e 131bis cod. pen., per l’assenza di replica alla richiesta dell’appellante di qualificazione del fatto in termini di particolare tenuità.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso non è fondato.
Con riguardo al primo motivo, si osserva che la prova testimoniale, inizialmente ammessa dal Tribunale, ai sensi dell’art. 507 cod. proc. pen. , in quanto sollecitata dall’Accusa e finalizzata all’acquisizione di informazioni provenienti dal teste di polizia giudiziaria, deve essere considerata come prova contra sé rispetto alla posizione dell’imputato , tant’è che la difesa si era opposta, fin da subito, alla acquisizione della relazione a firma del consulente della Procura, avente a oggetto gli accertamenti sui quali il teste ammesso dal tribunale ex officio avrebbe dovuto deporre.
1.1. Ne consegue che la difesa avrebbe dovuto, in primo luogo, specificamente rappresentare il proprio (affatto evidente) interesse all’assunzione della prova orale, anche formulando espressa opposizione alla revoca della prova ammessa, cosa che non risulta dal verbale dell’udienza, da cui si rileva, come detto, solo l’opposizione alla acquisizione della documentazione a firma del teste.
1.2. Da tale contraddittorio comportamento processuale discende la genericità del motivo di ricorso, che con essa non si è confrontato, giacché il ricorrente si è limitato a censurare la immotivata revoca del provvedimento ammissivo della prova ex officio, e a dedurre una altrettanto generica lesione del diritto al contraddittorio, sostenendo che la platea probatoria sarebbe stata illegittimamente depauperata di un elemento che poteva portare elementi favorevoli a ll’imputato, senza, però, indicare quali concreti elementi favorevoli, anche solo in astratto, avrebbe potuto riferire il teste dell’Accusa in sede di testimonianza, tanto più che, appunto, il contenuto della deposizione trovava rappresentazione nella documentazione a sua firma.
1.3. Giova, ancora, richiamare l’orientamento espresso da questa Corte, che non ritiene sindacabile in sede di legittimità, per omessa assunzione di una prova decisiva, la revoca del provvedimento di ammissione di una prova disposta d’ufficio su sollecitazione di parte, che sia congruamente motivata in riferimento alla raggiunta completezza del quadro istruttorio: Sez. 6, n. 13571 del 12/11/2010 (dep. 2011) Rv. 249906, in una fattispecie relativa alla revoca dell’audizione del consulente tecnico della difesa non presentatosi all’udienza per impedimento, in cui la revoca era conseguita sia all’impossibilità del consulente di intervenire nella prestabilita udienza di differimento, sia per la constatata completezza dell’esame del consulente del P.M.
In motivazione, la Corte di legittimità ha spiegato, condividendo la motivazione del Giudice di appello, che ‘ rimane(va) impregiudicato il diritto per il giudice di diversamente valutare, in base agli sviluppi del materiale probatorio fino ad allora acquisito, la rilevanza della prova ai fini della decisione, senza che la eventuale non ammissione possa comportare la nullità della sentenza impugnata; nullità previste tassativamente dalla legge, tra le quali non rientra la mancata ammissione di una prova”.
1.4. Nel caso di specie, contrariamente a quanto sostiene il ricorrente, la revoca è tutt’altro che ingiustificata: l’ implicita motivazione poggia, infatti, su due circostanze: da un lato, l’impossibilità di escutere il teste ammesso ex art. 507 su richiesta del P.M., assente numerose volte nelle disposte udienze di rinvio , e dall’altro, la ritenuta completezza del materiale probatorio già acquisito.
D’altronde, quanto, alla decisività, la Corte territoriale ha ritenuto implicitamente non decisiva quella testimonianza, né ha utilizzato il documento su cui il teste avrebbe dovuto deporre, avendo operato una sorta di prova di resistenza, attestando la autosufficienza del quadro probatorio ai fini della affermazione di responsabilità, sulla base di due elementi: in primo luogo, la mancanza di documentazione comprovante la legittima acquisizione dei capi di abbigliamento in sequestro, nonchè le modalità di confezionamento della merce, riposta in buste di plastica senza indicazioni di sorta circa la provenienza. Inoltre, con riguardo a quanto riferito dal teste di p.g., COGNOME, la Corte territoriale ha ritenuto che questi avesse espresso un apprezzamento del tutto affidabile in merito alla contraffazione dei prodotti, pur essendo mancato uno specifico accertamento tecnico.
Si tratta di una conclusione del tutto razionale non incisa, nella sua tenuta logica, dalle generiche deduzioni difensive, dovendo ricordarsi che è costante e condivisibile l’affermazione per cui la prova logica non costituisce uno strumento meno qualificato rispetto alla prova diretta (o storica) posto che la stessa prova storica, se da un lato ha il pregio di rappresentare il fatto in via diretta (ad es. la narrazione del teste che abbia assistito all’azione delittuosa o una videoripresa del delitto), dall’altro annida in sé rischi di errore (falsità della deposizione, errore percettivo del teste, alterazione del dato tecnologico e così via) tali da determinare la necessità di un dovuto approccio ‘critico’ da parte del giudice anche alle ipotetiche fonti dirette, nell’ambito di una ricostruzione che deve in ogni caso assicurare il massimo livello possibile di corrispondenza della decisione ai fatti, dati i valori in gioco (in tal senso la giurisprudenza stratificata di questa Corte, sin da Sez. 1, n. 6992, del 30/1/1992, ric. Altadonna, ove si ribadisce, in via generale, che il legislatore all’art. 192 del codice di rito non ha inteso introdurre alcuna «gerarchia di valore» nell’ambito delle diverse acquisizioni probatorie, ma ha unicamente indicato il criterio argomentativo che va applicato nella operazione ricostruttiva; cfr. da ultimo, S ez. 1, n. 46566 del 21/02/2017, Rv. 271228).
2. Parimenti infondato risulta anche il secondo motivo.
Come si è già detto, la Corte di appello ha estromesso dal giudizio in merito alla contraffazione la relazione illegittimamente acquisita, affidandosi alla prova logica fondata, per un verso, sulla valutazione di quanto riferito dal teste di p.g., invece, escusso in udienza – il quale ha dichiarato che quelle in sequestro erano res
presumibilmente falsificate -e, dall’altro , considerando, con argomenti del tutto razionali, la assenza di prova dell’acquisto delle res e la loro provenienza dalla Cina.
2.1. Quanto al tema della configurabilità del delitto di cui all’art. 474 cod. pen. nel caso di riproduzione di oggetti riproducenti, anche se non fedelmente, marchi protetti da registrazione, e al correlato tema del c.d. marchio forte, la Corte di appello ha correttamente replicato alle deduzioni difensive qui reiterate.
2.2. In primo luogo, occorre por mente al principio per cui ‘ai fini della configurabilità del delitto di introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi (art. 474 cod. pen.) non è sufficiente accertare la sussistenza della violazione del diritto d’autore, costituita dalla riproduzione, senza autorizzazione, di un personaggio di fantasia, ma è necessario verificare se detto personaggio costituisca oggetto di marchio registrato, in quanto la tutela penale predisposta dalla norma incriminatrice concerne segni distintivi regolarmente registrati e, in genere, indicativi della riferibilità del bene abusivamente riprodotto ad una data impresa industriale o commerciale.’ (Sez. 5, 6.11.2009-26.1.2010 n. 3403, Chen, Rv. 245838, riferito a magliette raffiguranti il personaggio di fantasia Lupin III).
2.2. Inoltre, per quanto qui di rilievo, l’orientamento maggioritario e condiviso dal Collegio è nel senso che «Non può dirsi estranea alla previsione di reato di cui all’art. 474 cod. pen. la condotta consistente nella produzione e messa in commercio di prodotti seriali riproducenti, ancorché in modo imperfetto e senza indicazione della sua denominazione, un personaggio di fantasia protetto da registrazione. (Nella specie, trattavasi di giocattoli gonfiabili riproducenti il pulcino “Calimero”)» (Sez. 5, n. 27032 del 25/05/2004, P.G. in proc. COGNOME, Rv. 229121), affermandosi che «in tema di commercio di prodotti con segni falsi, la riproduzione del personaggio di fantasia tutelato dal marchio registrato – ancorché non fedele ma espressiva di una forte similitudine – integra il reato quando, con giudizio di fatto demandato al giudice di merito e insindacabile se rispondente ai criteri della completezza e logicità, sia apprezzata una oggettiva e inequivocabile possibilità di confusione delle immagini, tale da indurre il pubblico ad identificare erroneamente la merce come proveniente da un determinato produttore.» (Sez. 5, n. 25147 del 31/01/2005, COGNOME, Rv. 231894).
Nell’affermare il principio -in una fattispecie relativa alla riproduzione dell’immagine del canarino “NOME“, che la Corte ha ritenuto integrare reato nonostante la mancanza, accanto alla immagine stessa, del nome dell’animale, oggetto del marchio unitamente alla raffigurazione del personaggio -il Giudice di legittimità ha osservato che, nell’insieme figurativo del marchio, l’elemento di maggior richiamo visivo era l’immagine, mentre il nome, elemento secondario, non era determinante (cfr. in senso conforme, Sez. 2, n. 20040 del 20/04/2011, Rv. 250157, relativamente a pupazzi raffiguranti ‘NOME‘ e ‘ COGNOME‘ ; conforme: Sezione 2, n. 13235/2014, COGNOME, non
massimata , riguardante pupazzi raffiguranti il personaggio dei fumetti ‘RAGIONE_SOCIALE‘ ; Sez. 2, n. 9362 del 13/02/2015, Rv. 262841, relativamente a peluche raffiguranti il personaggio ‘ P antera rosa’ ).
2.3. E’ pur vero che , in senso contrario, si sono espresse Sez. 5, n. 33068 del 3/03/2005, Rv. 232326, secondo cui, per l’integrazione del reato di cui all’art. 474 cod. pen., occorre che il marchio figurativo sia riprodotto in maniera totalmente identica, non essendo sufficiente una semplice imitazione, orientamento che ha dato luogo alla remissione alle Sezioni Unite Penali della seguente questione: “se l’introduzione in commercio di oggetti seriali – privi di marchi – costituenti riproduzione morfologica di oggetti protetti da marchio integri o meno gli estremi del delitto di cui agli artt. 473/474, ovvero di cui all’art. 517 cod. pen.”, da parte di Sez. 2. n. 20040/ 2011, cit.
2.4. Nondimeno, il procedimento è stato restituito alla Sezione remittente con nota del Primo Presidente in data 21/11/2014, per una nuova valutazione della questione controversa, e la successiva giurisprudenza ha superato il contrasto segnalato, confermando l’orientamento affermativo, espresso dalle Sezioni quinta e seconda, sulla base di una interpretazione della definizione recata in materia di marchi dall’art. 7 del Codice della proprietà industriale (D.Lgs. 10 febbraio 2005, n. 30), che recita: ” Possono costituire oggetto di registrazione come marchio d’impresa tutti i segni suscettibili di essere rappresentati graficamente, in particolare le parole, compresi i nomi di persone, i disegni, le lettere, le cifre, i suoni, la forma del prodotto o della confezione di esso, le combinazioni o le tonalità cromatiche, purché’ siano atti a distinguere i prodotti o i servizi di un’impresa da quelli di altre imprese “, precisandosi poi all’art. 9 che : “Non possono costituire oggetto di registrazione come marchio d’impresa i segni costituiti esclusivamente dalla forma imposta dalla natura stessa del prodotto, dalla forma del prodotto necessaria per ottenere un risultato tecnico, o dalla forma che da un valore sostanziale al prodotto “.
2.5. Come osservato da Sez. 2, n. 9362 del 13/02/2015, Rv. 262841, «dette previsioni normative consentono di ritenere superato ogni dubbio sull’estensione della tutela penale alla riproduzioni figurative tridimensionali di marchi di prodotti industriali, ribadendo l’orientamento ormai consolidato secondo cui «integra il reato di commercio di prodotti con segni falsi la riproduzione del personaggio di fantasia tutelato dal marchio registrato, ancorché non fedele ma espressiva di una forte somiglianza, quando sia possibile rilevare una oggettiva e inequivocabile possibilità di confusione delle immagini, tale da indurre il pubblico ad identificare erroneamente la merce come proveniente da un determinato produttore.» [cfr. anche Sez. 2, n. 20040/2011, cit., che ha ritenuto non condivisibile l’orientamento negativo, giacché «Innanzi tutto, dovrebbe trattarsi di falso c.d. grossolano (cfr. Cass. Sez. 2, 3-23.4.2008 n. 16821) ed essendo comunque
sufficiente l’idoneità del prodotto contraffatto ad ingenerare confusione (Cass. Sez. 5, 1.7-15.10.2009 n. 40170).»].
2.6. A tali coordinate si sono attenuti i giudici di merito, che, sulla scorta degli elementi fattuali che si sono evidenziati, logicamente valutati, hanno ritenuto accertato che gli oggetti sequestrati (raffiguranti personaggi universalmente noti come Batman, Superman, Spiderman, Hulk, Deadpool, o parti e accessori altrettanto notoriamente riconducibili a tali personaggi di fantasia) fossero fortemente somiglianti a quelli originali, oggetto di specifica registrazione e, quindi, come tali assoggettati alla tutela dei marchi: si tratta, infatti, come annotato nella sentenza impugnata, di ‘maschere e costumi assolutamente identici ai personaggi di proprietà della Warner Bros Intertainment RAGIONE_SOCIALE e della RAGIONE_SOCIALE, oggetto di specifica registrazione e quindi come tali assoggettati alla tutela dei marchi ‘ .
2.7. La sentenza impugnata, con motivazione specifica, pertinente ed esaustiva, si è conformata all’orientamento giurisprudenziale più recente e maggioritario, -superando quello invocato dal ricorrente -e ha correttamente ritenuto integrato il delitto contestato anche nel caso di specie, avente a oggetto beni costituenti una mera imitazione figurativa di prodotti industriali, senza alcun marchio o altro segno distintivo della merce abusivamente riprodotto o falsificato, trattandosi, con ogni evidenza, di marchi rinomati e notoriamente riferibili alla casa produttrice ed alla tipologia di prodotti che li contraddistingue (Sez. 2 – n. 46882 del 03/12/2021, Rv. 282404).
2.8. Infatti, va ricordato che «ai fini della configurabilità del reato di commercio di prodotti con segni falsi è sufficiente e necessaria l’idoneità della falsificazione a ingenerare confusione, con riferimento non solo al momento dell’acquisto, bensì alla loro successiva utilizzazione, a nulla rilevando che il marchio, se notorio, risulti, o non, registrato, data l’illiceità dell’uso senza giusto motivo di un marchio identico o simile ad altro notorio anteriore utilizzato per prodotti o servizi, sia omogenei o identici, sia diversi, allorché al primo derivi un indebito vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del secondo (Sez. 5 n. 40170 del 01/07/2009, Rv. 244750). Confusione della quale i giudici di merito hanno dato ampiamente atto.
Non ha pregio il terzo motivo, con cui è denunciato il vizio di motivazione per non av ere la Corte territoriale replicato alla richiesta di qualificazione del fatto ai sensi dell’art. 131bis cod. pen.
3.1. Invero, al di là della considerazione che, nell’atto di appello , non v’è traccia di tale motivo, che risulta del tutto genericamente evocato solo nel verbale, con le richieste finali dell’appellante , v’è che una implicita motivazione del diniego della lieve entità del fatto è ravvisabile nella complessiva struttura argomentativa della sentenza impugnata,
non foss’altro per il riferimento a lla messa in vendita, in gran numero, di prodotti seriali ( ex plurimis , Sez. 4 – n. 5396 del 15/11/2022 -dep. 2023- Rv. 284096 ).
Al rigetto del ricorso segue, ex lege , la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, 26 giugno 2025