Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 37071 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 37071 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 23/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a BOLOGNA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 21/11/2023 della CORTE APPELLO di BRESCIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Motivi della decisione
Il difensore di NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di Appello di Brescia indicata in epigrafe, di conferma di quella del Tribunale di Bergamo di condanna del già menzioNOME (titolare di ditta individuale esercente attività di commercio RAGIONE_SOCIALE‘RAGIONE_SOCIALE di fiori e piante), per il reato ascrittogli, in ragione dell’invio in Olanda di sostanza stupefacente del tipo marijuana per un peso complessivo di kg. 4,4 contenuta in due sacchetti di plastica trasparente con indicazione quale “integratore alimentare” (art. 73, comma 4, d.P.R. n. 309/1990, in data 6/10/2020); con conseguente condanna alla pena di anni uno e mesi sei di reclusione ed euro 5000 di multa, concesse le circostanze attenuanti generiche ed i doppi benefici.
Il ricorrente propone un unico motivo, con il quale si duole cumulativamente dei vizi di violazione di legge, di vizio motivazionale e della mancata assunzione di prova decisiva, in relazione alla ricostruzione ed interpretazione dei fatti realizzate dalle sentenze di merito.
Il motivo di ricorso è inammissibile, ai sensi dell’art. 606, comma 3, c.p.p., perché proposto per motivi non consentiti nel giudizio di legittimità, siccome costituiti da doglianze in fatto e non scandite da necessaria analisi critica delle argomentazioni poste a base della decisione impugnata (sul contenuto essenziale dell’atto di impugnazione, in motivazione, Sez. 6 n. 8700 del 21/1/2013, Rv. 254584; Sez. U. n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, Galtelli, Rv. 268822, sui motivi d’appello, ma i cui principi possono applicarsi anche al ricorso per cassazione); le censure propongono nuovamente temi motivatamente disattesi in sede di gravame, traducendosi nel mero dissenso rispetto alla lettura che i giudici del doppio grado hanno dato al materiale probatorio, in parte costituito anche da intercettazioni, la cui interpretazione, anche ove il linguaggio utilizzato sia criptico è questione di fatto, estranea al giudizio di legittimità, ove sostenuta da un ragionamento che, come nella specie, non evidenzia alcuna contraddizione e neppure manifeste illogicità (Sez. U, n. 22471 del 26/2/2015, Sebbar, Rv. 263715).
Peraltro, la tesi sostenuta è manifestamente contraria all’orientamento consolidato della Corte di cassazione, secondo cui (Sez. U, n. 30475 del 30/05/2019, Castignani, Rv. 275956) la cessione, la vendita e, in genere, la commercializzazione al pubblico dei derivati della coltivazione di cannabis sativa L., quali foglie, inflorescenze, olio e resina, integrano il reato di cui all’art. d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, anche a fronte di un contenuto di THC inferiore ai valori indicati dall’art. 4, commi 5 e 7, I. 2 dicembre 2016, n. 242, salvo che tali derivati siano, in concreto, privi di ogni efficacia drogante o psicotropa, secondo il principio di offensività; questa Corte nel suo massimo consesso ha ritenuto lecita
l’attività di coltivazione di canapa (inerenti alle sole varietà iscritte nel Catalog comune delle varietà delle specie di piante agricole, ai sensi dell’art. 17 della direttiva 2002/53/CE del Consiglio, del 13 giugno 2002) per le sole finalità tassativamente indicate dall’art. 2 della predetta legge (Sez. 3, n. 14244 del 17/01/2020, COGNOME, non massinnata; Sez. 4, n. 38850 del 19/07/2019, COGNOME, non massimata; Sez. 4, n. 33081 del 26/6/2019, COGNOME, non massimata). Tale principio si pone in linea di continuità con la giurisprudenza di questa Corte, secondo cui la I. n. 242 del 2016 non consente la commercializzazione dei derivati della coltivazione della canapa.
Alla inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi ragioni di esonero (Corte cost. n. 186/2000);
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Deciso in Roma, il 23 settembre 2024.