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Commercializzazione cannabis: quando è reato

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un imprenditore condannato per l’invio all’estero di 4,4 kg di marijuana. La sentenza ribadisce che la commercializzazione di cannabis e dei suoi derivati costituisce reato ai sensi dell’art. 73 D.P.R. 309/90, anche con un basso contenuto di THC, a meno che il prodotto non sia concretamente privo di qualsiasi effetto psicotropo.

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Pubblicato il 22 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Commercializzazione Cannabis: La Cassazione Conferma, È Reato

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha ribadito un principio fondamentale in materia di stupefacenti: la commercializzazione cannabis e dei suoi derivati è un’attività illecita che integra il reato di spaccio, anche quando il contenuto di THC è basso. Questa pronuncia chiarisce ulteriormente i confini tra la liceità della coltivazione della canapa industriale (legge 242/2016) e l’illegalità della vendita al pubblico di prodotti come inflorescenze e resine.

I Fatti del Processo

Il caso ha origine dalla condanna, confermata in appello, di un imprenditore titolare di una ditta individuale di commercio all’ingrosso di fiori e piante. L’uomo era stato accusato di aver spedito in Olanda un pacco contenente 4,4 kg di marijuana. La sostanza era stata abilmente occultata in due sacchetti di plastica trasparente, etichettati come ‘integratore alimentare’. La condanna inflitta era stata di un anno e sei mesi di reclusione e 5000 euro di multa, con la concessione delle attenuanti generiche.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

L’imputato, tramite il suo difensore, ha presentato ricorso alla Corte di Cassazione, lamentando una serie di vizi tra cui la violazione di legge e il vizio di motivazione. In sostanza, la difesa contestava la ricostruzione dei fatti e l’interpretazione del materiale probatorio, come le intercettazioni, operata dai giudici di primo e secondo grado, ritenendola errata.

Commercializzazione Cannabis e la Decisione della Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. I giudici hanno sottolineato che il ricorso per cassazione non è una terza istanza di giudizio dove si possono ridiscutere i fatti. Le censure proposte dalla difesa erano ‘doglianze in fatto’, ovvero contestazioni sulla valutazione delle prove, un’attività che spetta esclusivamente ai giudici di merito. Secondo la Corte, la motivazione della sentenza d’appello era logica e coerente e non presentava alcuna manifesta illogicità, neanche nell’interpretazione di un eventuale linguaggio criptico usato nelle intercettazioni.

La Legge sulla Canapa ‘Light’ e il Reato di Spaccio

Il punto cruciale dell’ordinanza riguarda l’inquadramento giuridico della commercializzazione cannabis. La Corte ha definito la tesi difensiva ‘manifestamente contraria’ all’orientamento consolidato delle Sezioni Unite (sentenza ‘Castignani’ n. 30475/2019). Questo orientamento stabilisce che la vendita al pubblico di derivati della coltivazione di cannabis sativa L. (foglie, inflorescenze, olio e resina) integra il reato previsto dall’art. 73 del Testo Unico Stupefacenti (D.P.R. 309/1990).

Ciò vale anche se il contenuto di THC è inferiore ai limiti fissati dalla legge n. 242/2016 sulla canapa industriale. L’unica eccezione si ha quando, in base al ‘principio di offensività’, si dimostra che il prodotto è concretamente privo di qualsiasi efficacia drogante o psicotropa. La legge del 2016, quindi, non ha liberalizzato la vendita di tali derivati al consumatore finale.

Le Motivazioni

La Corte ha motivato la sua decisione su due pilastri. Il primo è di natura procedurale: il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché tentava di ottenere una nuova valutazione dei fatti, compito precluso al giudice di legittimità. Il secondo è di natura sostanziale: la tesi difensiva si scontrava apertamente con la giurisprudenza più autorevole delle Sezioni Unite della Cassazione, la quale ha tracciato una linea netta tra la coltivazione di canapa per usi industriali (permessa dalla legge 242/2016) e la vendita dei suoi derivati con potenziale effetto psicotropo, che rimane una condotta penalmente rilevante.

Le Conclusioni

Questa ordinanza rafforza un’interpretazione rigorosa della normativa sugli stupefacenti. Per gli operatori del settore, il messaggio è chiaro: la vendita di prodotti derivati dalla canapa, come le inflorescenze, destinati al consumo umano, espone al serio rischio di un’accusa per il reato di spaccio di sostanze stupefacenti. La distinzione tra ‘cannabis light’ e cannabis illegale non si basa solo sulla percentuale di THC indicata sulla confezione, ma sulla concreta capacità del prodotto di produrre un effetto drogante, la cui assenza deve essere provata per escludere la rilevanza penale del fatto.

La vendita di derivati della cannabis, come inflorescenze o resina, è sempre reato?
Sì, secondo la Corte di Cassazione, la commercializzazione al pubblico di derivati della coltivazione di cannabis sativa L. (foglie, inflorescenze, olio, resina) integra il reato previsto dall’art. 73 del d.P.R. 309/1990. L’unica eccezione è quando tali derivati siano, in concreto, privi di ogni efficacia drogante o psicotropa.

Un basso contenuto di THC rende lecita la commercializzazione di cannabis?
No. La Corte ha stabilito che il reato sussiste anche a fronte di un contenuto di THC inferiore ai valori indicati dalla legge n. 242 del 2016, a meno che non si dimostri la totale assenza di effetto psicotropo, in base al principio di offensività.

È possibile contestare l’interpretazione delle intercettazioni in Cassazione?
No. L’interpretazione del materiale probatorio, incluse le intercettazioni e l’eventuale linguaggio criptico utilizzato, è una questione di fatto riservata ai giudici di merito (Tribunale e Corte d’Appello). Non può essere riesaminata in sede di Cassazione, a meno che la motivazione della sentenza non sia palesemente illogica o contraddittoria.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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