Combustione Illecita di Rifiuti: Quando il Fatto Non è di ‘Particolare Tenuità’
La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, è tornata a pronunciarsi sul tema della combustione illecita rifiuti, un reato ambientale di crescente rilevanza. La decisione offre importanti chiarimenti sui criteri per valutare la gravità del fatto, escludendo l’applicazione della causa di non punibilità per ‘particolare tenuità’ quando emergono concreti profili di pericolo. Analizziamo nel dettaglio questa pronuncia.
I Fatti di Causa
Il caso riguarda due persone condannate in primo e secondo grado per aver appiccato il fuoco a rifiuti all’interno di un vigneto, in violazione dell’art. 256-bis del D.Lgs. 152/2006. Le corti di merito, il Tribunale di Foggia prima e la Corte d’Appello di Bari poi, avevano ritenuto provata la loro responsabilità penale, condannandoli anche al risarcimento dei danni in favore di un’associazione ambientalista costituitasi parte civile. Gli imputati hanno quindi proposto ricorso per Cassazione, lamentando una violazione di legge e un vizio di motivazione sia riguardo all’affermazione di colpevolezza sia al mancato riconoscimento della causa di non punibilità prevista dall’art. 131-bis del codice penale.
I Motivi del Ricorso e la Valutazione della Tenuità del Fatto
La difesa degli imputati si basava su due argomenti principali:
1. L’insussistenza della loro responsabilità, contestando gli elementi che li collegavano al luogo del reato.
2. In subordine, la richiesta di applicare l’art. 131-bis c.p., sostenendo che il fatto fosse di particolare tenuità e quindi non meritevole di sanzione penale.
La difesa, tuttavia, non ha convinto i giudici della Suprema Corte, i quali hanno rigettato le argomentazioni proposte, dichiarando il ricorso inammissibile.
Le Motivazioni della Cassazione sulla Combustione Illecita di Rifiuti
La Corte di Cassazione ha ritenuto le doglianze degli imputati come una mera riproposizione di argomenti già esaminati e motivatamente respinti dalla Corte d’Appello. Gli Ermellini hanno sottolineato la solidità del quadro probatorio che aveva portato all’affermazione di responsabilità, evidenziando come la presenza degli imputati sul luogo dei fatti, sorpresi dagli operanti, fosse un elemento decisivo.
Il punto cruciale della decisione riguarda però il rigetto della richiesta di applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto. La Corte ha validato pienamente il ragionamento dei giudici di merito, i quali avevano escluso tale beneficio sulla base di elementi concreti e non astratti. Nello specifico, sono stati valorizzati:
* La quantità del materiale: Era stata data alle fiamme una notevole quantità di rifiuti, e altro materiale era pronto per essere bruciato.
* La pericolosità dei fumi: L’incendio aveva generato una ‘significativa e pericolosa colonna di fumo’.
* Il rischio di propagazione: Esisteva una concreta possibilità che le fiamme si estendessero alle piante del vigneto circostante.
Questi fattori, nel loro insieme, hanno delineato un quadro di offensività del reato tutt’altro che trascurabile, giustificando pienamente la decisione di non applicare l’art. 131-bis c.p.
Le Conclusioni
L’ordinanza in esame ribadisce un principio fondamentale: la valutazione della ‘particolare tenuità del fatto’ deve essere ancorata a un’analisi concreta e specifica delle circostanze del reato. Nel contesto della combustione illecita rifiuti, non si può prescindere da elementi come la quantità e la natura dei materiali bruciati, il pericolo generato dai fumi e il rischio di propagazione dell’incendio. La decisione della Cassazione conferma che, anche in assenza di un danno ambientale esteso, la creazione di una situazione di pericolo concreto è sufficiente per considerare il reato grave e meritevole della sanzione penale. Infine, la pronuncia offre anche un’interessante precisazione processuale, chiarendo che la parte civile, per ottenere la liquidazione delle spese in Cassazione in certi procedimenti, deve svolgere un’attività difensiva effettiva e non limitarsi al deposito di documenti.
Perché il ricorso degli imputati è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato ritenuto inammissibile perché le argomentazioni presentate erano generiche e si limitavano a ripetere le stesse doglianze già esaminate e respinte con adeguata motivazione dalla Corte d’Appello, senza confrontarsi specificamente con le ragioni della sentenza impugnata.
Quali elementi hanno impedito l’applicazione della causa di non punibilità per ‘particolare tenuità del fatto’?
L’applicazione dell’art. 131-bis c.p. è stata esclusa a causa di tre fattori specifici: la considerevole quantità di materiale già combusto e di quello pronto per essere bruciato, la pericolosità della colonna di fumo sprigionata e la concreta possibilità che l’incendio si propagasse alle piante del vigneto.
Perché la Corte ha rigettato la richiesta di liquidazione delle spese legali avanzata dalla parte civile?
La richiesta è stata rigettata perché, secondo un consolidato orientamento della Suprema Corte, nel procedimento in camera di consiglio che si conclude con una dichiarazione di inammissibilità, la parte civile ha diritto al rimborso delle spese solo se ha svolto un’effettiva attività processuale per contrastare il ricorso. In questo caso, la difesa della parte civile si era limitata a depositare le proprie conclusioni e la nota spese, attività ritenuta non sufficiente.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 8962 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 8962 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 17/01/2025
ORDINANZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato il 24/06/1977
COGNOME nato il 09/10/1966
avverso la sentenza del 19/10/2023 della CORTE APPELLO di BARI
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Rilevato che NOME e NOME – imputati del concorso nel reato di cui all’art. 256-bis d.lgs. 152 del 2006 – hanno proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza del 19/10/2023, con cui la Corte d’Appello di Bari ha confermato la sentenza di condanna in primo grado emessa dal Tribunale di Foggia (anche al risarcimento dei danni subiti dalle associazioni costituitesi parte civile), deducendo violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento all’affermazione di penale responsabilità e al mancato riconoscimento della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen.;
ritenuto che il primo ordine di censure presenti in parte connotazioni meramente reiterative delle doglianze esaminate e motivatamente disattese dalla Corte territoriale, che ha diffusamente esposto – in linea con la sentenza del primo giudice – gli elementi fattuali comprovanti la fondatezza dell’ipotesi accusatoria anche quanto al coinvolgimento dei ricorrenti, sorpresi dagli operanti sul luogo dei fatti: a nulla rilevando, evidentemente, il fatto che gli imputati avessero altrove l loro residenza;
ritenuto che a fronte di risultanze del tutto convergenti, e di una diffusamente motivata reiezione anche dei rilievi in punto di qualificazione giuridica, la difesa si è limitata a deduzioni del tutto generiche sui principi in tema di ragionevole dubbio e ad una mera reiterazione delle proprie residue doglianze (peraltro manifestamente infondate, come correttamente osservato dalla Corte territoriale quanto alla prospettata insussistenza del reato contestato, avuto riguardo al fuoco appiccato ai rifiuti in vari punti del vigneto);
ritenuto che ad analoghe conclusioni debba pervenirsi quanto alla residua doglianza, dal momento che la difesa ricorrente non si è adeguatamente confrontata con la puntuale motivazione con cui la Corte territoriale ha escluso l’applicabilità dell’art. 131-bis cod. pen., valorizzando la quantità di material combusto e di quello che stava per essere dato alle fiamme, alla significativa pericolosità della colonna di fumo sprigionatasi, alla possibilità di propagazione alle piante collocate all’interno del vigneto (cfr. pag. 3 della sentenza impugnata);
ritenuto che le considerazioni fin qui svolte impongano una declaratoria di inammissibilità dei ricorsi, con conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende;
rilevato infine, quanto alla richiesta di liquidazione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile associazione RAGIONE_SOCIALE, che la difesa si è limitata a depositare le proprie conclusioni corredate da nota spese, e che pertanto tale
richiesta debba essere rigettata, facendo applicazione del consolidato insegnamento di questa Suprema Corte secondo cui «nel procedimento che si svolge dinanzi alla Corte di cassazione in camera di consiglio nelle forme previste dagli artt. 610 e 611 cod. proc. pen., quando il ricorso dell’imputato viene dichiarato per qualsiasi causa inammissibile, va disposta la condanna al pagamento delle spese processuali in favore della parte civile, purché questa abbia effettivamente esplicato, nei modi e nei limiti consentiti, un’attività diretta contrastare la avversa pretesa a tutela dei propri interessi di natura civile risarcitoria» (Sez. 7, Ord. n. 44280 del 13/09/2016, C., Rv. 268139 – 01)
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 17 gennaio 2025