Combustione Illecita di Rifiuti: Quando il Ricorso in Cassazione è Inammissibile
La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha affrontato un caso di combustione illecita di rifiuti, ribadendo principi fondamentali sia in materia ambientale sia in ambito processuale. La decisione sottolinea come il rispetto dei termini per l’impugnazione sia un requisito inderogabile e come il ricorso in Cassazione non possa trasformarsi in un terzo grado di giudizio sui fatti. Analizziamo insieme la vicenda.
I Fatti del Caso
Un soggetto veniva condannato nei gradi di merito per il reato previsto dall’art. 256-bis del Testo Unico Ambientale, per aver appiccato il fuoco a ingenti quantitativi di rifiuti. I fatti, ricostruiti dai giudici, erano particolarmente gravi: i roghi, appiccati su un fondo di proprietà di un terzo, avevano generato un fumo denso e acre, costringendo le famiglie residenti nella zona ad abbandonare le proprie abitazioni. Per alcuni soggetti affetti da Covid-19 si era reso necessario persino l’intervento dell’ambulanza.
L’intervento dei Vigili del Fuoco aveva confermato la natura dei materiali bruciati: non semplice legna o sterpaglie, ma tre diverse cataste di rifiuti comprendenti pneumatici, materiali plastici, secchi, reti di materassi e materiali ferrosi. La difesa dell’imputato, invece, sosteneva una tesi alternativa, ritenuta però non credibile dai giudici.
Le Ragioni del Ricorso e la Combustione Illecita di Rifiuti
L’imputato proponeva ricorso in Cassazione affidandosi a tre motivi principali:
1. Violazione di legge e vizio di motivazione: Secondo la difesa, il primo sopralluogo dei Carabinieri aveva rilevato solo la combustione di legna e arbusti, non di rifiuti.
2. Travisamento della prova: I giudici non avrebbero considerato la tesi difensiva secondo cui i rifiuti erano nascosti da decenni sotto la vegetazione e sarebbero emersi solo a seguito di lavori con un escavatore.
3. Errata attribuzione di responsabilità: Si sosteneva che solo l’operatore dell’escavatore avrebbe potuto accorgersi della presenza dei rifiuti bruciati, tentando così di spostare la responsabilità.
In sostanza, la difesa mirava a una completa rivalutazione dei fatti e delle prove già ampiamente esaminate e giudicate nei due precedenti gradi di giudizio.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, chiudendo definitivamente la vicenda. La decisione si basa su una duplice e solida argomentazione.
Le Motivazioni
In primo luogo, la Corte ha rilevato un vizio procedurale insuperabile: la tardività. Il ricorso è stato presentato il 13 giugno 2024, ben oltre la scadenza fissata per il 30 maggio 2024. Già solo questo elemento è sufficiente a rendere l’impugnazione inammissibile, senza necessità di entrare nel merito delle questioni.
Tuttavia, la Cassazione ha voluto aggiungere, quasi a scopo didattico, che anche nel merito il ricorso sarebbe stato comunque infondato. Le argomentazioni della difesa sono state definite ‘meramente fattuali’, ovvero un tentativo di spingere la Corte a riesaminare le prove e a sostituire la propria valutazione a quella dei giudici di merito. Questo, però, è un compito che esula dalle funzioni della Cassazione, la quale è giudice di legittimità (cioè della corretta applicazione della legge) e non di merito.
I giudici hanno evidenziato come la ricostruzione dei fatti fosse solida e basata su prove concrete: l’intervento dei Vigili del Fuoco, la natura dei materiali incendiati (pneumatici, plastica, etc.), e le conseguenze dannose per la salute pubblica, come il fumo acre che aveva costretto gli abitanti a lasciare le case. La tesi difensiva è stata quindi considerata un mero pretesto, incapace di scalfire la logicità e coerenza della sentenza impugnata.
Le Conclusioni
Questa ordinanza offre due importanti lezioni. La prima è di natura processuale: i termini per impugnare sono perentori e la loro violazione comporta l’immediata inammissibilità del ricorso. La seconda, di natura sostanziale, conferma la linea dura contro i reati ambientali come la combustione illecita di rifiuti. La Cassazione ribadisce che non è possibile utilizzare il ricorso di legittimità per tentare di ottenere una terza valutazione dei fatti. Quando le prove sono chiare e la motivazione dei giudici di merito è logica e coerente, le possibilità di successo in Cassazione sono nulle. L’imputato è stato quindi condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro alla Cassa delle ammende.
Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile dalla Corte di Cassazione?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile principalmente per un motivo procedurale: è stato presentato tardivamente, oltre la data di scadenza prevista dalla legge. In aggiunta, la Corte ha specificato che i motivi del ricorso erano meramente fattuali e non contestavano la corretta applicazione della legge.
Quali prove sono state considerate decisive per la condanna per combustione illecita di rifiuti?
Le prove decisive sono state la relazione dei Vigili del Fuoco, che hanno verificato la presenza di tre cataste di rifiuti (pneumatici, plastica, metalli), e le testimonianze sui danni causati dal fumo denso e acre, che aveva costretto i residenti a lasciare le proprie case e richiesto l’intervento di ambulanze.
È possibile chiedere alla Corte di Cassazione di riesaminare le prove di un processo?
No, non è possibile. La Corte di Cassazione è un giudice di legittimità, il che significa che il suo compito è verificare la corretta applicazione delle norme di diritto e la logicità della motivazione della sentenza, non può effettuare una nuova valutazione dei fatti o delle prove, attività che spetta esclusivamente ai giudici di primo e secondo grado.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 9501 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 9501 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 08/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a TERMINI IMERESE il 23/06/1973
avverso la sentenza del 16/01/2024 della CORTE APPELLO di PALERMO
dato av so alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
RG 26207/24
Rilevato che NOME COGNOME è stato condannato alle pene di legge, esclusa dalla Corte di appello la recidiva e rideterminata la pena, per il reato dell’art. 256-bis d.lgs. n. 74 del 200
Rilevato che l’imputato lamenta con il primo motivo la violazione di legge, la mancata assunzione di una prova decisiva e il vizio di motivazione in merito all’accertamento del fatto perché n primo sopralluogo con i Carabinieri non era stata rilevata la combustione di rifiuti, ma solo legni e arbusti; con il secondo il vizio di motivazione perché i Giudici di merito aveva immotivatamente disatteso la tesi difensiva secondo cui eventuali rifiuti erano nascosti dall sterpaglie e dalla vegetazione incolta per trent’anni e rimossa con l’escavatore; con il terzo violazione di legge perché l’unico soggetto che si sarebbe potuto avvedere del materiale abbruciato era l’escavatorista;
Rilevato che il ricorso è stato presentato tardivamente il 13 giugno 2024 quando la scadenza era il 30 maggio 2024;
Rilevato peraltro che le deduzioni sono meramente fattuali e non si confrontano con la decisione impugnata: i Giudici di merito hanno ricostruito in fatto che i roghi appiccati nel fondo di propr di soggetto non indagato avevano determinato un fumo acre e denso per cui le famiglie della zona avevano dovuto lasciare le case e per alcuni soggetti affetti dal virus del Covid-19 era stat necessario l’intervento dell’ambulanza; che i vigili del Fuoco avevano riportato il sito in sicure con molte difficoltà e avevano verificato che il fuoco era stato appiccato a tre cataste di ri costituiti da sterpaglie, pneumatici, materiali plastici, secchi in plastica e metallo, materasso, materiali ferrosi abbandonati o depositati in maniera incontrollata; che l’escavatorist stava lavorando a debita distanza dai roghi che erano ascrivibili unicamente all’imputato;
Ritenuto, pertanto, che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile e rilevato che all declaratoria dell’inammissibilità consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere del spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in tremila euro.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, 1’8 novembre 2024
Il Consigliere estensore
Il Presidente