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Coltivazione uso personale: quando non è credibile?

Un soggetto condannato per la coltivazione di canapa indiana, da cui erano ricavabili 1188 dosi, ha proposto ricorso sostenendo la tesi della coltivazione per uso personale. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, sottolineando che, sebbene la quantità da sola non sia decisiva, le modalità organizzate della coltivazione (serra indoor, lampade specifiche, fertilizzanti) sono elementi che, uniti al dato quantitativo, escludono logicamente la destinazione al solo uso personale, configurando il reato di produzione di stupefacenti.

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Pubblicato il 27 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Coltivazione Uso Personale: Oltre la Quantità, Contano le Modalità

La distinzione tra la coltivazione uso personale di sostanze stupefacenti e la produzione finalizzata allo spaccio è una delle questioni più dibattute nel diritto penale. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione torna sul tema, fornendo criteri chiari per orientare la valutazione dei giudici. Il caso analizzato riguarda un individuo condannato per aver coltivato piante di canapa indiana in modo organizzato, ottenendo una quantità di principio attivo sufficiente per confezionare oltre mille dosi. La difesa sosteneva la tesi dell’uso personale, ma la Suprema Corte ha confermato la condanna, valorizzando non solo l’ingente quantitativo, ma soprattutto le modalità professionali della coltivazione.

I Fatti del Caso: Una Serra Indoor e 1188 Dosi

L’imputato era stato condannato in primo grado e in appello per il reato previsto dall’art. 73, comma 5, del D.P.R. 309/90. Nello specifico, gli veniva contestata la coltivazione di piante di canapa indiana dalle quali era stata prodotta marijuana per un peso di 683,3 grammi, con un principio attivo del 4,4%, da cui era possibile ricavare ben 1188 dosi medie singole. L’imputato ha presentato ricorso per cassazione, lamentando un vizio di motivazione da parte dei giudici di merito, che avrebbero erroneamente escluso la destinazione della sostanza a un uso puramente personale.

L’Analisi della Cassazione sulla coltivazione uso personale

La Corte di Cassazione ha ritenuto il ricorso manifestamente infondato, confermando la decisione della Corte d’Appello. Il ragionamento della Suprema Corte si basa su un principio consolidato: per determinare la finalità della detenzione o coltivazione di stupefacenti, il giudice deve compiere una valutazione globale di tutte le circostanze oggettive e soggettive del fatto.

Il Criterio Quantitativo non è l’Unico

Uno degli aspetti più interessanti della pronuncia è la precisazione sul valore del dato quantitativo. I giudici ribadiscono che il solo superamento dei limiti tabellari indicati dalla legge (art. 73-bis, d.P.R. 309/90) non crea una presunzione assoluta di spaccio. Sebbene la quantità acquisti un’importanza indiziaria crescente con l’aumentare delle dosi ricavabili, essa non può essere l’unico elemento su cui fondare una condanna. Tuttavia, un quantitativo di droga superiore ai limiti di legge può legittimamente contribuire a formare la prova della destinazione allo spaccio, se unito ad altri elementi.

Gli Elementi Organizzativi: Serra, Lampade e Fertilizzanti

Nel caso specifico, sono state proprio le modalità della coltivazione a risultare decisive. I giudici di merito avevano evidenziato in modo logico e coerente che la coltivazione non era affatto ‘domestica’ o ‘modesta’. L’imputato, infatti, aveva allestito una vera e propria serra indoor, completa di telaio di copertura, una lampada specifica per favorire la crescita delle piante e appositi fertilizzanti. Secondo la Corte, queste modalità organizzate e professionali esulano palesemente da una semplice coltivazione per autoconsumo e rappresentano, insieme all’enorme numero di dosi ricavabili, un quadro probatorio solido a sostegno della finalità di spaccio.

Le Motivazioni

La motivazione della Corte si fonda sulla necessità di una valutazione complessiva che non si limiti al solo dato ponderale. La giurisprudenza di legittimità ha costantemente affermato che, per escludere la destinazione meramente personale, il giudice deve considerare tutti gli indizi a sua disposizione: la quantità, certo, ma anche le modalità di presentazione della sostanza, le circostanze dell’azione e, come in questo caso, il livello di organizzazione della produzione. La presenza di un’attrezzatura professionale è stata interpretata come un chiaro segnale di un’attività non occasionale o limitata al soddisfacimento di un bisogno personale, ma proiettata verso una produzione sistematica e potenzialmente destinata a terzi.

Le Conclusioni

L’ordinanza conferma un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato. La tesi della coltivazione uso personale non può reggere di fronte a elementi fattuali che dimostrano un’organizzazione e una capacità produttiva superiori alle esigenze di un singolo consumatore. La decisione ribadisce che la valutazione del giudice non deve essere frazionata, ma deve tenere conto di ogni singolo indizio per ricostruire la reale finalità della condotta. Di conseguenza, chi coltiva stupefacenti con metodi professionali, anche se non viene colto nell’atto di cedere la sostanza, difficilmente potrà invocare con successo la scriminante dell’uso personale, specialmente se il prodotto potenziale è di quantità rilevante.

Il solo superamento della quantità massima di sostanza stupefacente detenibile prova automaticamente lo spaccio?
No. La Corte di Cassazione chiarisce che il superamento dei limiti tabellari non determina alcuna presunzione di destinazione allo spaccio. È un indizio importante, il cui peso aumenta con l’aumentare delle dosi, ma il giudice deve sempre valutare globalmente tutte le circostanze del fatto.

Quali elementi, oltre alla quantità, sono decisivi per escludere la coltivazione per uso personale?
Secondo la sentenza, elementi come le modalità organizzate della coltivazione sono decisivi. Nel caso specifico, la presenza di una serra indoor con telaio, una lampada specifica per la crescita e fertilizzanti appositi sono state considerate modalità che esulano da una modesta coltivazione domestica, indicando una finalità diversa dall’uso personale.

Cosa succede quando un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Quando il ricorso è dichiarato inammissibile e non si ravvisa un’assenza di colpa da parte del ricorrente nella causa di inammissibilità, quest’ultimo viene condannato al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una sanzione pecuniaria a favore della cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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