Coltivazione Uso Personale: Quando il Numero di Piante Supera il Limite?
La distinzione tra la coltivazione uso personale di sostanze stupefacenti e un’attività penalmente rilevante è una delle questioni più dibattute nel diritto penale. Sebbene la coltivazione domestica per autoconsumo sia stata oggetto di interventi normativi e giurisprudenziali, non esiste una soglia numerica fissa che determini la liceità del fatto. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fornisce importanti chiarimenti, ribadendo che la valutazione va condotta caso per caso, basandosi su indici fattuali oggettivi. Analizziamo insieme questa decisione.
I Fatti del Caso: Dalla Coltivazione al Ricorso in Cassazione
Il caso ha origine dalla condanna di un individuo per il reato di coltivazione di sostanze stupefacenti, ai sensi dell’art. 73, comma 5, del D.P.R. 309/1990. L’imputato era stato trovato in possesso di quindici piante, la cui coltivazione, a suo dire, era destinata esclusivamente al proprio consumo.
La Corte d’Appello di Messina, tuttavia, aveva confermato la condanna di primo grado. Secondo i giudici di merito, le circostanze concrete non supportavano la tesi difensiva. In particolare, il numero elevato di piante, la loro altezza e la loro specifica collocazione sono stati ritenuti elementi incompatibili con una finalità di mero autoconsumo. Di fronte a questa decisione, l’imputato ha proposto ricorso in Cassazione, insistendo sulla tesi dell’uso personale.
La Decisione della Corte sulla coltivazione uso personale
La Settima Sezione Penale della Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, definendolo ‘manifestamente infondato oltre che del tutto generico e aspecifico’. Con questa pronuncia, la Suprema Corte ha di fatto validato l’impianto logico-giuridico della sentenza della Corte d’Appello, ritenendolo esente da vizi.
La decisione si fonda sul principio che la destinazione al consumo personale non può essere presunta, ma deve essere valutata alla luce di tutti gli elementi fattuali disponibili. La Cassazione ha ritenuto che la motivazione della Corte territoriale fosse appropriata, ben argomentata e basata su acquisizioni probatorie definite e significative.
Le motivazioni: perché 15 piante non sono per uso personale?
Il cuore della motivazione risiede nella valutazione quantitativa e qualitativa della coltivazione. La Corte d’Appello, con un ragionamento approvato dalla Cassazione, ha spiegato in modo dettagliato perché la coltivazione di quindici piante non fosse riconducibile all’uso personale. Gli elementi chiave sono stati:
1. Il numero delle piante (quindici): Una quantità ritenuta intrinsecamente eccessiva per soddisfare il fabbisogno di un singolo consumatore.
2. L’altezza e la collocazione delle piante: Questi fattori, sebbene non specificati nel dettaglio nell’ordinanza, sono stati considerati indici di una coltivazione organizzata e potenzialmente produttiva, che va oltre la natura ‘domestica e rudimentale’ spesso associata all’autoconsumo.
La Corte ha richiamato un precedente specifico (Cass. Pen., Sez. 6, n. 3593/2021) per sostenere che la valutazione del giudice di merito, quando non è palesemente illogica o contraddittoria, non può essere messa in discussione in sede di legittimità. In sostanza, stabilire se una coltivazione sia per uso personale è un giudizio di fatto che spetta ai giudici dei primi due gradi di giudizio, e la Cassazione può intervenire solo se tale giudizio è viziato da errori logici evidenti, cosa che in questo caso non è avvenuta.
Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Pronuncia
L’ordinanza in esame ribadisce un principio fondamentale: non esiste un ‘numero magico’ di piante al di sotto del quale la coltivazione è sempre lecita. La valutazione sulla destinazione all’uso personale è un’analisi complessa che tiene conto di tutti gli indizi oggettivi. La decisione conferma che una quantità significativa di piante crea una forte presunzione contraria all’uso personale, spostando sull’imputato l’onere di dimostrare il contrario.
Di conseguenza, chiunque intraprenda una coltivazione, anche se minima, deve essere consapevole che il suo operato sarà giudicato non solo sulla base delle intenzioni, ma soprattutto sulla base di elementi concreti e misurabili. La condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione di 3.000 euro alla Cassa delle ammende serve da monito sulla serietà con cui l’ordinamento giuridico tratta questi casi, anche quando l’appello appare palesemente infondato.
Coltivare piante di stupefacenti per uso personale è sempre consentito?
No. La sentenza chiarisce che la tesi dell’uso personale deve essere valutata in base a elementi oggettivi. Se il numero di piante, la loro dimensione e le modalità di coltivazione sono ritenute incompatibili con l’autoconsumo, l’attività costituisce reato.
Quali elementi ha usato la Corte per escludere l’uso personale in questo caso?
La Corte ha basato la sua decisione principalmente su tre elementi: l’elevato numero di piante coltivate (quindici), la loro altezza e la loro collocazione. Questi fattori, considerati insieme, sono stati giudicati incompatibili con una coltivazione destinata esclusivamente al consumo personale.
Cosa succede se un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Come previsto dall’articolo 616 del codice di procedura penale, quando un ricorso è dichiarato inammissibile, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una somma di denaro, a titolo di sanzione pecuniaria, in favore della Cassa delle ammende. In questo caso, la somma è stata fissata in tremila euro.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 38092 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 38092 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 23/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a MILAZZO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 04/03/2024 della CORTE APPELLO di MESSINA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
NOME COGNOME ha proposto ricorso avverso la sentenza indicata in epigrafe e con la quale la Corte territoriale ha confermato la pena in ordine al reato previs dall’art.73, comma 5, d.P.R. 9 ottobre 1990, n.309, in riferimento alla dedott coltivazione di piante idonee al ricavo di sostanze stupefacenti,
Il ricorso è manifestamente infondato oltre che del tutto generico e aspecifico.
In particolare, in ordine all’unico motivo di ricorso e concernente l responsabilità dell’imputato in riferimento al dedotto uso personale del prodott della coltivazione, la pronunzia impugnata reca appropriata motivazione, basata su definite e significative acquisizioni probatorie ed immune da vizi logico-giuridic
Al riguardo, la Corte di appello ha motivatamente spiegato e ricostruito gli elementi riguardanti la responsabilità penale sulla base dei riscontri fattuali illustrati, con specifico riferimento al principio dettato da Sez. 6, n. 3593 03/11/2020, dep. 2021, Camelia, Rv. 280592, atteso il numero delle piante coltivate (quindici), la loro altezza e la loro collocazione, ritenendo quindi valutazione in fatto non palesemente illogica e non tangibile in sede di legittimi – non configurabile il dedotto uso personale.
Segue, a norma dell’articolo 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed al pagamento a favore della Cassa delle ammende, non emergendo ragioni di esonero, della somma di euro tremila a titolo di sanzione pecuniaria.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 23 settembre 2024
Il Consigliere estensore
La P idente