LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Coltivazione uso personale: quando è reato? Cassazione

Un’ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce i limiti della coltivazione uso personale di sostanze stupefacenti. Nel caso specifico, la coltivazione di quindici piante è stata ritenuta incompatibile con l’uso esclusivamente personale, portando alla conferma della condanna penale. La Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, sottolineando come il numero, l’altezza e la collocazione delle piante siano elementi oggettivi sufficienti a configurare il reato previsto dal Testo Unico Stupefacenti.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 24 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Coltivazione Uso Personale: Quando il Numero di Piante Supera il Limite?

La distinzione tra la coltivazione uso personale di sostanze stupefacenti e un’attività penalmente rilevante è una delle questioni più dibattute nel diritto penale. Sebbene la coltivazione domestica per autoconsumo sia stata oggetto di interventi normativi e giurisprudenziali, non esiste una soglia numerica fissa che determini la liceità del fatto. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fornisce importanti chiarimenti, ribadendo che la valutazione va condotta caso per caso, basandosi su indici fattuali oggettivi. Analizziamo insieme questa decisione.

I Fatti del Caso: Dalla Coltivazione al Ricorso in Cassazione

Il caso ha origine dalla condanna di un individuo per il reato di coltivazione di sostanze stupefacenti, ai sensi dell’art. 73, comma 5, del D.P.R. 309/1990. L’imputato era stato trovato in possesso di quindici piante, la cui coltivazione, a suo dire, era destinata esclusivamente al proprio consumo.

La Corte d’Appello di Messina, tuttavia, aveva confermato la condanna di primo grado. Secondo i giudici di merito, le circostanze concrete non supportavano la tesi difensiva. In particolare, il numero elevato di piante, la loro altezza e la loro specifica collocazione sono stati ritenuti elementi incompatibili con una finalità di mero autoconsumo. Di fronte a questa decisione, l’imputato ha proposto ricorso in Cassazione, insistendo sulla tesi dell’uso personale.

La Decisione della Corte sulla coltivazione uso personale

La Settima Sezione Penale della Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, definendolo ‘manifestamente infondato oltre che del tutto generico e aspecifico’. Con questa pronuncia, la Suprema Corte ha di fatto validato l’impianto logico-giuridico della sentenza della Corte d’Appello, ritenendolo esente da vizi.

La decisione si fonda sul principio che la destinazione al consumo personale non può essere presunta, ma deve essere valutata alla luce di tutti gli elementi fattuali disponibili. La Cassazione ha ritenuto che la motivazione della Corte territoriale fosse appropriata, ben argomentata e basata su acquisizioni probatorie definite e significative.

Le motivazioni: perché 15 piante non sono per uso personale?

Il cuore della motivazione risiede nella valutazione quantitativa e qualitativa della coltivazione. La Corte d’Appello, con un ragionamento approvato dalla Cassazione, ha spiegato in modo dettagliato perché la coltivazione di quindici piante non fosse riconducibile all’uso personale. Gli elementi chiave sono stati:

1. Il numero delle piante (quindici): Una quantità ritenuta intrinsecamente eccessiva per soddisfare il fabbisogno di un singolo consumatore.
2. L’altezza e la collocazione delle piante: Questi fattori, sebbene non specificati nel dettaglio nell’ordinanza, sono stati considerati indici di una coltivazione organizzata e potenzialmente produttiva, che va oltre la natura ‘domestica e rudimentale’ spesso associata all’autoconsumo.

La Corte ha richiamato un precedente specifico (Cass. Pen., Sez. 6, n. 3593/2021) per sostenere che la valutazione del giudice di merito, quando non è palesemente illogica o contraddittoria, non può essere messa in discussione in sede di legittimità. In sostanza, stabilire se una coltivazione sia per uso personale è un giudizio di fatto che spetta ai giudici dei primi due gradi di giudizio, e la Cassazione può intervenire solo se tale giudizio è viziato da errori logici evidenti, cosa che in questo caso non è avvenuta.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Pronuncia

L’ordinanza in esame ribadisce un principio fondamentale: non esiste un ‘numero magico’ di piante al di sotto del quale la coltivazione è sempre lecita. La valutazione sulla destinazione all’uso personale è un’analisi complessa che tiene conto di tutti gli indizi oggettivi. La decisione conferma che una quantità significativa di piante crea una forte presunzione contraria all’uso personale, spostando sull’imputato l’onere di dimostrare il contrario.

Di conseguenza, chiunque intraprenda una coltivazione, anche se minima, deve essere consapevole che il suo operato sarà giudicato non solo sulla base delle intenzioni, ma soprattutto sulla base di elementi concreti e misurabili. La condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione di 3.000 euro alla Cassa delle ammende serve da monito sulla serietà con cui l’ordinamento giuridico tratta questi casi, anche quando l’appello appare palesemente infondato.

Coltivare piante di stupefacenti per uso personale è sempre consentito?
No. La sentenza chiarisce che la tesi dell’uso personale deve essere valutata in base a elementi oggettivi. Se il numero di piante, la loro dimensione e le modalità di coltivazione sono ritenute incompatibili con l’autoconsumo, l’attività costituisce reato.

Quali elementi ha usato la Corte per escludere l’uso personale in questo caso?
La Corte ha basato la sua decisione principalmente su tre elementi: l’elevato numero di piante coltivate (quindici), la loro altezza e la loro collocazione. Questi fattori, considerati insieme, sono stati giudicati incompatibili con una coltivazione destinata esclusivamente al consumo personale.

Cosa succede se un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Come previsto dall’articolo 616 del codice di procedura penale, quando un ricorso è dichiarato inammissibile, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una somma di denaro, a titolo di sanzione pecuniaria, in favore della Cassa delle ammende. In questo caso, la somma è stata fissata in tremila euro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati