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Coltivazione stupefacenti: ricorso inammissibile

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un individuo condannato per la coltivazione di stupefacenti. La decisione si basa su due punti chiave: i motivi del ricorso erano una mera ripetizione di argomenti già respinti in appello e l’ingente quantità di sostanza (pari a 1.274 dosi) escludeva la possibilità di qualificare il reato come di lieve entità. La Corte ha confermato la validità della valutazione dei giudici di merito, che avevano tenuto conto dell’ammissione dell’imputato di coltivare con l’intenzione di vendere.

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Pubblicato il 31 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Coltivazione Stupefacenti: Quando la Difesa si Limita a Ripetere le Stesse Tesi

L’ordinanza n. 6169/2024 della Corte di Cassazione offre un importante chiarimento sui limiti del ricorso in sede di legittimità, in particolare nel contesto dei reati legati alla coltivazione stupefacenti. La Suprema Corte ha dichiarato inammissibile un ricorso basato su motivi già ampiamente discussi e respinti nei precedenti gradi di giudizio, ribadendo principi fondamentali sia di diritto processuale che sostanziale.

I Fatti del Caso

Il caso trae origine da una condanna per la coltivazione di piante destinate alla produzione di sostanze stupefacenti. L’imputato, durante l’interrogatorio, aveva ammesso di aver coltivato le piante rinvenute, sia in fase di essiccazione sia a dimora in un campo, e di avere l’intenzione, se possibile, di venderne la sostanza ricavata.

Contro la sentenza di condanna della Corte d’Appello, l’imputato proponeva ricorso per Cassazione, lamentando vizi di motivazione e violazione di legge. Le censure si concentravano su tre aspetti: una presunta errata valutazione della prova, la contestazione della sua responsabilità penale e, infine, la mancata riqualificazione del fatto nell’ipotesi di reato di lieve entità, prevista dall’art. 73, comma 5, del Testo Unico Stupefacenti.

La Decisione della Corte di Cassazione e la coltivazione stupefacenti

La Settima Sezione Penale della Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, dichiarandolo inammissibile. La decisione si fonda su due pilastri argomentativi che meritano un’analisi approfondita: la natura ripetitiva dei motivi del ricorso e la valutazione della gravità del fatto basata sul dato quantitativo.

La Ripetitività dei Motivi come Causa di Inammissibilità

Il primo e fondamentale motivo di inammissibilità risiede nel fatto che le argomentazioni presentate dall’imputato erano una mera riproduzione delle stesse censure già sollevate e adeguatamente confutate dalla Corte d’Appello. La Cassazione non è un terzo grado di giudizio nel merito, dove si possono rivalutare le prove, ma un giudice di legittimità, che verifica la corretta applicazione della legge. Proporre gli stessi argomenti fattuali, già vagliati e respinti, senza evidenziare un vizio di legge o un errore logico manifesto nella motivazione del giudice precedente, rende il ricorso privo dei requisiti per essere esaminato.

La Quantità e l’Esclusione dell’Ipotesi Lieve nella coltivazione stupefacenti

Anche la richiesta di derubricare il reato a fatto di lieve entità è stata respinta. La Corte ha sottolineato come la valutazione complessiva della condotta e, soprattutto, il ‘dato ponderale’ fossero decisivi. Dalla sostanza coltivata era possibile ricavare ben 1.274 dosi. Questo dato è stato ritenuto ‘significativo’ e sufficiente a escludere la lieve entità del fatto. La Corte ha quindi confermato che, per la coltivazione stupefacenti, la quantità potenziale di principio attivo ricavabile è un elemento cruciale per determinarne la gravità.

Le motivazioni

La Corte ha motivato la sua decisione evidenziando che il ricorso non introduceva elementi di critica nuovi rispetto a quelli già esaminati e motivatamente respinti dalla Corte d’Appello. È stato ribadito che l’ammissione dell’imputato, che aveva confessato non solo la coltivazione ma anche l’intenzione di vendere il prodotto, non era stata travisata. Inoltre, la Corte ha valorizzato il dato quantitativo come elemento oggettivo e determinante per escludere l’ipotesi della lieve entità, confermando un orientamento consolidato secondo cui la potenzialità offensiva del bene giuridico protetto (la salute pubblica) è direttamente proporzionale alla quantità di sostanza producibile.

Le conclusioni

Questa ordinanza riafferma due principi cardine. In primo luogo, un ricorso per Cassazione deve basarsi su vizi di legittimità concreti e non può limitarsi a riproporre questioni di fatto già decise. In secondo luogo, nel contesto della coltivazione stupefacenti, la quantità della sostanza coltivata rimane un criterio fondamentale per distinguere i fatti di lieve entità da quelli ordinari. Per gli operatori del diritto, ciò significa che la strategia difensiva deve concentrarsi, in sede di legittimità, su specifici errori di diritto o palesi illogicità della motivazione, piuttosto che tentare una nuova e inammissibile valutazione del merito.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché i motivi presentati erano una mera ripetizione di censure già esaminate e respinte dalla Corte d’Appello, senza sollevare nuove questioni di diritto.

La confessione dell’imputato è stata considerata valida?
Sì, la Corte ha confermato che non vi è stato alcun travisamento della dichiarazione dell’imputato, il quale aveva ammesso di coltivare le piante con l’intenzione di venderle, qualora possibile.

Perché il reato non è stato qualificato come di lieve entità?
La qualifica di lieve entità è stata esclusa a causa della condotta complessiva e, in particolare, del significativo dato ponderale: dalla sostanza era possibile ricavare 1.274 dosi, una quantità ritenuta incompatibile con tale ipotesi di reato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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