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Coltivazione stupefacenti: ricorso inammissibile

Un soggetto condannato per la coltivazione di 132 piante di cannabis ha presentato ricorso in Cassazione, chiedendo il riconoscimento della fattispecie di lieve entità. La Corte Suprema ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando che l’elevato numero di piante e l’ingente quantitativo di principio attivo ricavabile (oltre 49.000 dosi) sono elementi sufficienti per escludere la lieve entità del reato. La decisione ribadisce che il ricorso in Cassazione non può essere utilizzato per ottenere una nuova valutazione dei fatti, ma solo per contestare errori di diritto.

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Pubblicato il 29 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Coltivazione di Stupefacenti: La Cassazione Dichiara Inammissibile il Ricorso

L’ordinanza in esame della Corte di Cassazione affronta un caso di coltivazione di stupefacenti, offrendo importanti chiarimenti sui limiti del ricorso per cassazione e sui criteri per escludere la fattispecie di ‘lieve entità’. La Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato, condannato per aver coltivato un numero considerevole di piante di cannabis, ribadendo principi consolidati sia in materia sostanziale che processuale.

I Fatti del Caso: La Condanna per Coltivazione

Il caso ha origine dalla condanna di un individuo per la coltivazione di 132 piante di cannabis. Le analisi tecniche avevano stabilito che da tali piante era possibile ricavare un quantitativo di principio attivo pari a 1,226 kg, sufficiente per confezionare ben 49.038 dosi. La Corte d’Appello di Lecce aveva confermato la sentenza di primo grado, ritenendo provata la responsabilità penale dell’imputato.

I Motivi del Ricorso: Tra Lieve Entità e Vizi di Motivazione

L’imputato ha presentato ricorso alla Corte di Cassazione basandosi su tre motivi principali:
1. Violazione di legge e mancanza di motivazione: Si contestava la sussistenza stessa del reato e, in subordine, si chiedeva il riconoscimento della fattispecie di lieve entità (art. 73, comma 5, d.P.R. 309/1990). La difesa sosteneva che le prove erano basate su presunzioni e che le analisi erano state condotte solo su un piccolo campione (10 piante su 132).
2. Mancato riconoscimento di attenuanti: Si lamentava la mancata esclusione della recidiva facoltativa, il giudizio di equivalenza anziché di prevalenza delle attenuanti generiche e il mancato riconoscimento della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.).
3. Omessa applicazione di pene sostitutive: Si contestava la mancata applicazione d’ufficio di una pena sostitutiva alla detenzione.

La Decisione della Cassazione sulla Coltivazione di Stupefacenti

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso, dichiarandolo inammissibile. La decisione si fonda su argomentazioni precise che toccano tutti i punti sollevati dalla difesa.

La Questione della Lieve Entità e la Valutazione delle Prove

La Corte ha chiarito che il ricorso mirava a una rilettura dei fatti, attività preclusa in sede di legittimità. Il dato quantitativo e qualitativo della sostanza (1,226 kg di principio attivo per 49.038 dosi) è stato ritenuto elemento decisivo e correttamente valorizzato dai giudici di merito per escludere la lieve entità. Riguardo al campionamento, la Cassazione ha ricordato che l’art. 87 d.P.R. 309/1990 permette espressamente il prelievo di uno o più campioni, e spetta alla difesa fornire prove scientifiche per contestarne l’attendibilità, cosa non avvenuta nel caso di specie.

La Recidiva e le Circostanze Attenuanti

Anche le censure relative alla recidiva e al bilanciamento delle circostanze sono state respinte. La Corte ha sottolineato che la precedente condanna dell’imputato per tentato furto, unita alle modalità della condotta (la piantagione era stata dissimulata per eludere i controlli), dimostrava una spiccata pericolosità sociale che giustificava sia il mantenimento della recidiva sia il giudizio di equivalenza con le attenuanti generiche. Il potere discrezionale del giudice di merito, se logicamente motivato, non è sindacabile in Cassazione.

La Richiesta di Pene Sostitutive

Infine, è stato chiarito un importante principio processuale: in base al principio devolutivo dell’appello, il giudice di secondo grado non può applicare d’ufficio le pene sostitutive se non vi è una specifica e motivata richiesta nell’atto di gravame. Poiché il ricorrente non aveva formulato tale richiesta, la Corte d’Appello non aveva alcun obbligo di pronunciarsi in merito.

Le Motivazioni della Corte

Le motivazioni della Corte Suprema si concentrano sul rigido perimetro del giudizio di legittimità. Il ricorso è stato giudicato inammissibile perché, invece di denunciare vizi di legge, tentava di sollecitare una nuova e diversa valutazione delle prove, già compiuta in modo logico e coerente dai giudici di primo e secondo grado. La Corte ribadisce che il reato di coltivazione si configura con la semplice attitudine della pianta a produrre sostanza drogante, e il numero elevato di piante e il potenziale quantitativo di dosi escludono categoricamente sia la ‘lieve entità’ sia la ‘particolare tenuità del fatto’. La decisione sottolinea come la pericolosità della condotta, desumibile anche dai precedenti penali e dalle modalità di occultamento, sia un fattore determinante nella valutazione complessiva del fatto e nella commisurazione della pena.

Conclusioni

L’ordinanza conferma che la valutazione quantitativa e qualitativa della sostanza stupefacente è centrale per distinguere la coltivazione di stupefacenti ordinaria da quella di lieve entità. Inoltre, rafforza il principio secondo cui il ricorso in Cassazione non è una terza istanza di giudizio sui fatti. Infine, ricorda agli operatori del diritto l’importanza di formulare richieste specifiche negli atti di appello, poiché il giudice superiore è vincolato a decidere solo su quanto espressamente richiesto, come nel caso delle pene sostitutive.

Un elevato numero di piante di cannabis può rientrare nella fattispecie di lieve entità?
No. Secondo la Corte, l’elevato numero di piante (132 nel caso di specie) e l’ingente quantitativo di principio attivo potenzialmente ricavabile (sufficiente per 49.038 dosi) sono elementi che escludono la configurabilità del reato di lieve entità.

È legittimo analizzare solo un campione delle piante sequestrate per determinare la quantità di principio attivo?
Sì. La Corte ha confermato che la legge (art. 87 d.P.R. 309/1990) consente espressamente il prelievo di uno o più campioni. Se la difesa intende contestare l’attendibilità di tale metodo, ha l’onere di formulare specifici rilievi scientifici, cosa che non è avvenuta in questo caso.

Il giudice d’appello può concedere le pene sostitutive anche se non richieste nell’atto di impugnazione?
No. La Corte ha ribadito che, in base al principio devolutivo dell’appello, il giudice di secondo grado non può disporre d’ufficio (‘ex officio’) la sostituzione della pena detentiva. È necessaria una richiesta specifica e motivata formulata dalla parte nell’atto di appello.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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