Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 9239 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 9239 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 11/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME nato a Rovigo il 11/08/1987
avverso la sentenza del 12/04/2024 della Corte di appello di Venezia
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso;
udito per l’imputato l’avv. NOME COGNOME che ha concluso riportandosi ai motivi e chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 12/04/2024, la Corte di appello di Venezia confermava la sentenza emessa in data 14/09/2023 dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Rovigo, con la quale, all’esito di giudizio abbreviato, COGNOME Nicholas era stato dichiarato responsabile del reato di cui all’art. 73, comma 4, d.P.R. n. 309/1990 (coltivazione di sostanza stupefacente del tipo marijuana) e condannato alla pena di anni uno e mesi quattro di reclusione ed euro 3.500,00 di multa
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione COGNOME Nicholas, a mezzo del difensore di fiducia, articolando sei motivi di seguito enunciati.
Con il primo motivo deduce violazione della norma processuale di cui all’art. 521 cod.proc.pen., lamentando che i Giudici di merito avevano valutato ai fini dell’affermazione di responsabilità anche 17 piantine di marijuana, prive di inflorescenza, non contemplate nel capo di imputazione e neppure oggetto di sequestro, così violando il principio di corrispondenza tra imputazione e sentenza.
Con il secondo motivo deduce vizio di motivazione in relazione all’affermazione di responsabilità, lamentando che la Corte di appello aveva dato rilievo alle 17 piantine di marijuana in questione per evidenziare la finalità di spaccio della detenzione.
Con il terzo motivo deduce vizio di motivazione in relazione all’affermazione di responsabilità.
Lamenta che la Corte di appello, con motivazione illogica, aveva dato rilievo alle dichiarazioni rese dai testi COGNOME e COGNOME, pur se riferibili a condotte non penalmente rilevabile (consumo di gruppo) e ad un contesto spazio-temporale non di interesse per la vicenda di cui all’imputazione e preso in considerazione, solo in chiave colpevolista, le dichiarazioni rese dalla compagna dell’imputato.
Con il quarto motivo deduce vizio di motivazione in punto di mancato riconoscimento dell’ipotesi delittuosa di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/1990, lamentando che la Corte di appello aveva dato rilievo ostativo al solo dato quantitativo, senza considerare che lo stupefacente sequestrato, come emergente dalle risultanze istruttorie, aveva, quantomeno in parte, una destinazione di consumo personale.
Con il quinto motivo deduce vizio di motivazione in punto di mancato riconoscimento della circostanza attenuante di cui all’art. 62 n. 4 cod.pen., lamentando che la Corte di appello aveva dato rilevo ostativo, con argomentazioni
illogiche, alla platea di vendita ed ai prezzi praticati, elementi che non emergevano dalle risultanze processuali.
Con il sesto motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in punto di applicazione delle circostanze attenuanti generiche, lamentando che la Corte di appello aveva dato rilievo, in maniera illegittima, alla mancata confessione dell’imputato e non considerato gli elementi favorevoli dedotti con l’atto di appello, quale il comportamento collaborativo successivo al reato.
Chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata.
La difesa del ricorrente ha chiesto la trattazione orale in pubblica udienza del ricorso. Il Pg ha depositato memoria ex art. 611 cod.proc.pen., nella quale ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 primo motivo di ricorso è infondato.
Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte di legittimità, si ha violazione del principio di correlazione tra contestazione e fatto ritenuto in sentenza solo quando il fatto ritenuto in sentenza si trovi rispetto a quello contestato in rapporto di eterogeneità o di incompatibilità sostanziale, nel senso che si sia realizzata una vera e propria trasformazione, sostituzione o variazione dei contenuti essenziali dell’addebito. La verifica dell’osservanza del principio di correlazione va, invero, condotta in funzione della salvaguardia del diritto di difesa dell’imputato cui il principio stesso è ispirato. Ne consegue che la sua violazione è ravvisabile soltanto qualora la fattispecie concreta – che realizza l’ipotesi astratta prevista dal legislatore e che è esposta nel capo di imputazione- venga mutata nei suoi elementi essenziali in modo tale da determinare uno stravolgimento dell’originaria contestazione, onde emerga dagli atti che su di essa l’imputato non ha avuto modo di difendersi.
Sicché “non sussiste violazione del principio di correlazione della sentenza all’accusa contestata quando nella contestazione, considerata nella sua interezza, siano contenuti gli stessi elementi del fatto costitutivo del reato ritenuto i sentenza, in quanto l’immutazione si verifica solo nel caso in cui tra i due episodi ricorra un rapporto di eterogeneità o di incompatibilità sostanziale per essersi realizzata una vera e propria trasformazione, sostituzione o variazione dei contenuti essenziali dell’addebito nei confronti dell’imputato, posto, così, a sorpresa di fronte ad un fatto del tutto nuovo senza aver avuto nessun possibilità d’effettiva difesa” (cfr Sez.6, n.899 del 11/11/2014, dep.12/01/2015 ) Rv.261925; Sez.6,n.17799 del 06/02/2014, Rv.260156)
Nella specie, non vi è stata alcuna violazione del principio di correlazione tra contestazione e fatto ritenuto in sentenza, avendo i Giudici di merito ritenuto la responsabilità dell’imputato in piena aderenza ai fatti contestati e considerato anche le ulteriori piantine messe a dimora e non contemplate nel capo di imputazione al solo fine di evidenziare che la coltivazione era palesemente in fase di volontario ampliamento (pag 8 della sentenza impugnata).
2. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile.
Come evincibile dalla lettura della sentenza impugnata, i Giudici di merito hanno ritenuto assorbita la condotta detentiva in quella di coltivazione.
La doglianza proposta, con la quale si contesta l’accertamento della finalità di spaccio della detenzione è, dunque, generica perché avulsa dal decisum (Cfr Sez.3, n.39071 del 05/06/2009, Rv.244957, che ha affermato che è inammissibile il motivo di ricorso non attinente al decisum della sentenza impugnata).
3. Il terzo motivo di ricorso è inammissibile.
Il ricorrente, attraverso una formale denuncia di vizio di motivazione, richiede sostanzialmente una rivisitazione, non consentita in questa sede, delle risultanze processuali.
Nel motivo in esame, infatti, si espongono censure le quali si risolvono in una mera rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata, sulla base di diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, senza individuare vizi motivazionali, ricostruzione e valutazione, quindi, precluse in sede di giudizio di cassazione (cfr. Sez. 1, 16.11.2006, n. 42369, COGNOME, Rv. 235507; sez. 6, 3.10.2006, n. 36546, COGNOME, Rv. 235510; Sez. 3, 27.9.2006, n. 37006, COGNOME, Rv. 235508).
Va ribadito, a tale proposito, che, anche a seguito delle modifiche dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. introdotte dalla L. n. 46 del 2006, art. 8 non è consentito dedurre il “travisamento del fatto”, stante la preclusione per il giudice di legittimità di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito (Sez.6,n.27429 del 04/07/2006, Rv.234559; Sez. 5, n. 39048/2007, Rv. 238215; Sez. 6, n. 25255 del 2012, Rv.253099) ed in particolare di operare la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (cfr. Sez. 6, 26.4.2006, n. 22256, Rv. 234148).
4. Il quarto motivo di ricorso è infondato.
La Corte di appello, all’esito della valutazione globale del fatto, ha rimarcato che il fatto contestato non poteva ricondursi alla fattispecie di cui all’art. 73 comma 5, d.P.R. n. 309/1990, in considerazione sia del dato ponderale qualitativo della sostanza ritratta dalla coltivazione (p.a. di 37.000 mg netti, pari a 1480 dosi)
sia del contesto e delle circostanze dell’azione dimostrative del fatto che l’imputato poteva contare su un’ampia platea di consumatori della sostanza stupefacente coltivata tanto da evidenziarsi una significativa potenzialità offensiva del fatto e la diffusività dello stupefacente.
La valutazione, sorretta da congrue e logiche argomentazioni, è conforme ai principi espressi da questa Corte in subiecta materia.
Va ricordato che, ai fini della configurabilità dell’ipotesi delittuosa di cui all’a 73, comma 5, d.P.R. n. 309/1990, il giudice è tenuto a valutare complessivamente tutti gli elementi normativamente indicati, quindi, sia quelli concernenti l’azione mezzi, modalità e circostanze della stessa-, sia quelli che attengono all’oggetto materiale del reato -quantità e qualità delle sostanze stupefacenti oggetto della condotta criminosa (Sez.0 n.51063 del 27/09/2018; Sez.U, 24 giugno 2010, n 35737, Rv.247911; Sez.4, n.6732 del 22/12/2011, dep.20/02/2012, Rv.251942; Sez.3, n. 23945 del 29/04/2015, Rv.263651, Sez.3, n.32695 del 27/03/2015, Rv.264490; Sez.3, n.32695 del 27/03/2015, Rv.264491).
5. Il quinto motivo di ricorso è infondato.
Secondo il dictum delle Sezioni Unite, la circostanza attenuante del lucro e dell’evento di speciale tenuità di cui all’art. 62, n. 4, cod. pen. è applicabil indipendentemente dalla natura giuridica del bene oggetto di tutela, ad ogni tipo di delitto commesso per un motivo di lucro, ivi compresi i delitti in materia di stupefacenti (Sez. U, n. 24990 del 30/01/2020, Rv.279499 – 02).ed è stato chiarito che ai fini del riconoscimento di tale attenuante occorre che l’agente abbia perseguito o conseguito un lucro di speciale tenuità, sempre che la speciale tenuità riguardi congiuntamente l’entità del lucro e dell’evento dannoso o pericoloso (cfr. Sez.4, n. 38381 del 21/05/2019, Rv.277186 – 01; Sez.4, n. 5031 del 15/01/2019, Rv.275265 – 01; Sez. 6 n. 36868 del 23/06/2017, Taboui, Rv. 270671-01).
La Corte territoriale, con motivazione concisa ma adeguata, ha escluso che la circostanza attenuante in questione potesse trovare applicazione, rimarcando la platea di vendita dello stupefacente ed i prezzi praticati, elementi che denotavano il non ridotto disvalore della condotta e la significativa entità del potenziale lucro.
Il sesto motivo di ricorso è infondato.
Va richiamato il consolidato principio di diritto, secondo cui l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche è oggetto di un giudizio di fatto e non costituisce un diritto conseguente all’assenza di elementi negativi connotanti la personalità del soggetto, ma richiede elementi di segno positivo, dalla cui assenza legittimamente deriva il diniego di concessione delle circostanze in parola; l’obbligo di analitica motivazione in materia di circostanze attenuanti generiche qualifica, infatti, la decisione circa la sussistenza delle condizioni per concederle e non anche la decisione opposta (Sez.3,n. 35570 del 30/05/2017, Rv. 270694 –
01; Sez.1,n.46568 del 18/05/2017, Rv. 271315 – 01; Sez.3, n. 44071 del 25/09/2014, Rv.260610; Sez. 2, n. 38383 del 10.7.2009, Squillace ed altro, Rv. 245241; Sez.6, n.42688 del 24/09/2008, Rv.242419); ne consegue che è assolutamente sufficiente che il giudice si limiti a dar conto, come nel caso in esame, di avere ritenuto l’assenza di elementi o circostanze positive a tale fine.
7. In definitiva, il ricorso è per alcuni motivi infondato e per altri inammissibil e va rigettato nel suo complesso, con condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod.proc.pen., al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 11/02/2025