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Coltivazione stupefacenti: quando è reato? Cassazione

Un soggetto ricorre in Cassazione contro una condanna per coltivazione stupefacenti, sostenendo che le piante non fossero idonee a produrre un principio attivo rilevante. La Corte Suprema dichiara il ricorso inammissibile, ribadendo che il reato sussiste a prescindere dalla quantità di principio attivo immediatamente estraibile. È sufficiente che la pianta appartenga al tipo botanico vietato e abbia la potenzialità di maturare e produrre la sostanza, come accertato nel caso specifico. Il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese e di una sanzione di 3.000 euro.

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Pubblicato il 16 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Coltivazione Stupefacenti: Quando Scatta il Reato? La Cassazione Chiarisce

La coltivazione stupefacenti è un tema che genera spesso dubbi interpretativi. Quando si può parlare di reato? È rilevante la quantità di principio attivo presente nelle piante al momento del sequestro? Con l’ordinanza n. 265 del 2024, la Corte di Cassazione torna sull’argomento, ribadendo un principio consolidato di fondamentale importanza pratica.

Il Caso in Esame

Un individuo, condannato in secondo grado dalla Corte d’Appello di Bari per illecita coltivazione di sostanze stupefacenti, ha presentato ricorso alla Suprema Corte. La difesa si basava sull’assunto che non vi fosse prova della violazione di legge, contestando la qualificazione del reato. In sostanza, si sosteneva che le piante sequestrate non fossero idonee a produrre un quantitativo di principio attivo tale da renderle pericolose.

La Corte d’Appello aveva già respinto questa tesi, basandosi sulle risultanze di una perizia tecnica effettuata subito dopo il sequestro. Tale analisi aveva confermato che non esistevano ostacoli alla futura crescita delle piante e, di conseguenza, all’incremento del principio attivo.

La Coltivazione Stupefacenti e la Decisione della Corte

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso ‘manifestamente infondato’ e, quindi, inammissibile. Gli Ermellini hanno sottolineato come le argomentazioni del ricorrente fossero in palese contrasto non solo con la normativa vigente, ma anche con la consolidata giurisprudenza di legittimità.

Il punto centrale della decisione è un principio ormai pacifico, sancito anche dalle Sezioni Unite della Cassazione con la celebre sentenza n. 12348 del 2019.

Il Principio Consolidato delle Sezioni Unite

Perché si configuri il reato di coltivazione stupefacenti, non è necessario accertare la quantità di principio attivo estraibile al momento del controllo. Sono invece sufficienti due condizioni:

1. Conformità al tipo botanico: La pianta coltivata deve appartenere a una delle specie vegetali vietate dalla legge.
2. Attitudine alla produzione: La pianta deve avere la concreta potenzialità, anche in base alle modalità di coltivazione, di giungere a maturazione e di produrre sostanza stupefacente.

Nel caso di specie, entrambi i requisiti erano stati ampiamente dimostrati.

Le Motivazioni della Decisione

La Suprema Corte ha motivato la propria decisione evidenziando come i giudici di merito avessero correttamente applicato la legge. La perizia aveva accertato l’intrinseca capacità delle piante di produrre sostanza drogante, rendendo irrilevante la misurazione del principio attivo nell’immediatezza. La coltivazione, essendo idonea a portare le piante a maturazione, integrava già di per sé tutti gli elementi del reato contestato. L’approccio del ricorrente è stato giudicato errato perché si concentrava su un dato (la quantità attuale di principio attivo) che la giurisprudenza costante ritiene non decisivo ai fini della configurabilità del reato.

Le Conclusioni e le Implicazioni Pratiche

Questa ordinanza conferma un orientamento rigoroso in materia di coltivazione stupefacenti. Chiunque intraprenda la coltivazione di piante vietate, anche in numero esiguo, si espone a un serio rischio penale. La difesa basata sulla ‘scarsa qualità’ o sull’immaturità delle piante è destinata a fallire se viene provata la loro astratta potenzialità a produrre la sostanza. L’ordinamento, infatti, punisce la condotta per la sua potenziale pericolosità, ovvero la capacità di immettere sul mercato nuove quantità di droga. La condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione di 3.000 euro a favore della Cassa delle ammende sottolinea la serietà con cui la giurisprudenza tratta queste fattispecie, anche quando l’appello viene giudicato palesemente infondato.

Per configurare il reato di coltivazione di stupefacenti è necessaria una quantità minima di principio attivo nelle piante?
No. Secondo la Corte di Cassazione, il reato è configurabile indipendentemente dalla quantità di principio attivo estraibile nell’immediato. Ciò che conta è la potenzialità della pianta di giungere a maturazione e produrre la sostanza.

Quali sono i criteri per stabilire se la coltivazione è penalmente rilevante?
Sono sufficienti due elementi: la conformità della pianta al tipo botanico previsto dalla legge e la sua attitudine, anche in base alle modalità di coltivazione, a produrre una sostanza con effetto stupefacente.

Cosa succede se un ricorso viene dichiarato inammissibile dalla Corte di Cassazione?
Quando un ricorso è dichiarato inammissibile, come in questo caso, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e, come previsto dall’art. 616 c.p.p., al versamento di una somma di denaro alla Cassa delle ammende a titolo di sanzione pecuniaria.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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